50mo Karlovy Vary International Film Festival - Pagina 4

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50mo Karlovy Vary International Film Festival
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lebruitdesarbresLe bruit des arbres (Il rumore degli alberi), opera prima del canadese François Péloquin, è un rapido – solo 79 minuti – ritratto dell’inquietudine di un giovane che lavora in una segheria con il padre. Il quadro è quello della provincia rurale del Québec ove i giorni passano senza che nulla accada o venga a interferire con un rituale fatto di lavoro, bevute, corse in macchina, amori fugaci, interni familiari con madri disfatte, padri abbruttiti da un’incipiente vecchiaia e da una vita priva di orizzonti. Tanto grigia che qualcuno, anche se benestante, la fugge suicidandosi. E’ il caso dell’allevatore di vacche da latte che s’impicca, apparentemente senza un motivo, dopo aver aperto le valvole che disperdono sul pavimento il prezioso liquido. La sua morte sarà l’occasione per un’asta dei beni lasciti che consentirà al diciasettenne Jéremie un ultimo gesto d’amore verso il padre, prima di partire (definitivamente?) dalla casa in cui è nato e che il fratello ha già abbandonato sposandosi. E’ un ritratto preciso e impietoso della solitudine che trasmigra negli animi dalla grandi distanze e riempie esistenze immerse nel vuoto del tempo e dello spazio. Un esempio di come sia possibile, quando si hanno le idee giuste, fare cinema senza grandi mezzi o storie roboanti.
The red spiderQualche cosa di simile accade anche in Gzerwoni pająk (Il ragno rosso) del polacco Marcin Koszałka che ambienta il film nella Cracovia del 1967 quando la città è sconvolta da una serie di omicidi di donne e bambini perpetrati da un serial killer che la polizia battezza Il Ragno Rosso. Karol, che i genitori vorrebbero diventasse medico come il padre, per ora è assorbito dall’attività sportiva di tuffatore ove sta ottenendo ottimi risultati. Casualmente scopre l’ultimo omicidio dell’assassino seriale e lo vede pochi istanti dopo che ha commesso il delitto. Lo pedina e identifica (un veterinario ombroso, affascinato dal potere che ha chi può dare la morte agli altri) ma non lo denuncia, anzi si presenta a lui sperando di diventarne una sorta di suo discepolo. Quando il delinquente lo mette alla prova, chiedendogli di uccidere una fotografa di cui è diventato l’amante, lui vacilla. Sarà allora il vero ragno rosso ad ammazzare la donna a martellate. Schiacciato dalla propria impotenza trova sfogo confessandosi autore dei crimini al posto dell’altro. Sarà condannato a morte e impiccato. Undici anni dopo il suo ritratto comparirà in una mostra d’arte e sarà proprio il vero assassino, tutt’ora in libertà, ad andare a vederlo fra i primi. Il regista e il direttore della fotografia immergono il film in un’atmosfera cupa a simbolizzare il grigiore della Polonia realsocialista e l’oppressione esercitata sugli spiriti non allineati, anche se l’aver scelto un criminale come filo conduttore della storia rischia di compromettere, almeno in parte, l’essenza del discorso. Ciò che emerge con forza è, invece, la duplicità e l’opportunismo di un potere pronto ad accogliere, magari al ritmo di botte inferte nel chiuso di una questura, una pseudo verità che conviene, ma che nessuno si preoccupa di verificare sino in fondo. In questo due piccoli dettagli confermano le line guida su cui si muove il regista: la sequenza in cui l’inquisitore si vanta con il detenuto di aver ricevuto un orologio, che vale due suoi stipendi, quale premio per la scoperta del (pseudo) assassino e l’altra in cui lo stesso inquirente chiede all’autoaccusato di firmagli e dedicargli le foto dei sopraluoghi a cui ha partecipato. Come dire un film molto ben costruito, ma meno simbolico di quanto avrebbe potuto essere.

(U.R.) 

chemiaChemo (Chemioterapia, 2015) è un film polacco dai due volti, uno da allegra commedia, l’altro da toccante dramma con varie connotazioni da melò. In queste sue due anime sta la maggiore difficolta nel tentare di avere coesione e continuo interesse. Il giovane regista Bartek Prokopowicz dimostra di avere grande padronanza del mezzo e dirige con bravura attori validi e convincenti, anche i vari medici più o meno senza cuore, colleghi che tra pietà e astio mettono da parte questa bellissima ventisettenne affetta da una grave forma di tumore al seno. Non vuole curarsi, accetta con rabbia il suo destino, il suo volto è a tratti illuminato da un sorriso diplomatico che nulla ha a che fare col suo stato d’animo. Coprotagonista un fotografo trentaduenne appena licenziato da giornale su carta patinata, in guerra col mondo intero che crede suo nemico. Casualmente, i due si incontrano, trascorrono tempo felice assieme e, alla fine, s’innamorano. Lei rimane incinta, lui vuole sposarla e, in quel momento, la ragazza confessa di avere il terribile male. Lui la convince a tenere la bimba ma anche a combattere con la malattia tanto da farsi asportare tutti e due i seni. Tutto va apparentemente per il meglio, la bimba cresce bene ma la coppia entra drammaticamente in crisi. Questo amore non tradizionale sboccia fra i due immersi ma non succubi di questioni di vita o di morte tanto che decidono di sfidare l'ordine naturale e le malattie che minano la ragazza per avere un bambino. Un racconto triste reso più leggero dalla ricerca della reciproca identità, nel vivere intensamente l'amore, nella battaglia contro una malattia mortale che è quasi impossibile vincere. Peccato che al regista manchi la capacita per portare in porto un film meno discontinuo.
You Carry meTi mene nosiš (Tu mi trasporti) è un film lunghissimo ed interessante in cui si mescolano varie storie unite da fatti che si vengono a scoprire nel corso della storia. Scritto molto bene, interpretato da attori di Croazia, Slovenia, Serbia e Montenegro – gli stessi che hanno coprodotto il film – è diretto con bravura da Ivona Juka, cineasta di cui continueremo a sentire parlare. Sono storie normali nella loro anormalità, con drammi che possono colpire anche i più deboli. Dora vorrebbe diventare un allenatore di calcio e durante un periodo difficile della crescita si avvicina al padre, che è nei guai con la legge. Lui è un ex militare che per guadagnare è stato vari anni lontano dalla famiglia perdendo l’amore della moglie che ora ha un voglioso amante. C’è anche una giovane donna che lavora in televisione come segretaria che si annulla per curare il padre malato di Alzheimer. Questa fase estenuante della sua vita la rende consapevole del fatto che, mentre a poco a poco perde ogni sicurezza, lei stessa diventa più debole. Nataša, un produttrice di successo di mezza età, è incinta e ha dei problemi connessi per la sua decisione di affrontare il marito da cui è separata. Nel suo ultimo film Ivona Juka costruisce un mosaico di storie il cui denominatore comune è la lotta per la sopravvivenza, il perdono, e nuove opportunità. La durata di oltre centocinquanta minuti richiede dedizione da parte dello spettatore che, comunque, assiste ad un film di rara bellezza.

(F.F.)