59ma SEMINCI - Semana Internacional de Cine - Valladolid

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59ma SEMINCI - Semana Internacional de Cine - Valladolid
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1399367291 159ma Semana Internacional de Cine - Valladolid

Sito del festival:  http://www.seminci.es

In Spagna l’autunno è la stagione dei Festival di cinema. Ha aperto San Sebastián, seguito a ruota da Sitges, ora tocca alla 59ma edizione della SEMINCI di Valladolid, seguita a sua volta dai Festival di Siviglia, Huelva e Gijón. Forte di una lunghissima tradizione e sede di famose università, Valladolid, capitale dei re cattolici, offre più di duecento film in almeno una dozzina di sezioni, i cui fiori all’occhiello restano il Concorso, Punto de Encuentro e Tiempo de Historia. Si apre sabato 18 col film dei fratelli Dardenne Due giorni, una notte, poi tra film inediti e alcuni di altri Festival se ne vedranno 16 in concorso. Tra i più attesi Miss Julie (La signorina Julie) di Liv Ullmann. Il dramma di Johan August Strindberg (1849 – 1912), già portato sugli schermi da Alf Sjöberg (1903 – 1980) nel 1951, questa volta è interpretato da Jessica Chastain e Colin Farrell.

Arriva dalla Berlinale il film di Volker Schlöndorff Diplomatie (Diplomazia) interpretato da André Dussolier e Niels Arestrup, mentre giunge da Cannes il film di Zhang Yimuo Gui lai (Tornando a casa). Tra le anteprime europee, Little Feet (Piccolo piede) di Alexander Rockwell, Parkolò (Parcheggio) dell’ungherese Bence Miklauzic, Lucifer (Lucifero) del belga Gus van den Berghe, What we did in our Holiday? (Cosa abbiamo fatto durante le vacanze?), opera prima degli scrittori e produttori britannici Guy Jenkin e Andy Hamilton. Sarà presente anche l’ultimo film interpretato da Robin Williams The Angriest Man in Brooklyn (L’uomo più arrabbiato di Brooklyn) di Phil Alden Robinson che sostituirà, fuori concorso, Boychoir (Il ragazzo del coro) di François Girard, che uscirà soltanto nel 2015. E ancora due inediti spagnoli, El arca de Noé (L’arca di Noè) di Adàn Allaga e David Valero; Rastres de sàndal (Tracce di sandalo) di Maria Ripoll. Film di chiusura la commedia francese Bon rétablissement (Guarisci presto) di Jean Becker.   
Miss Julie French posterPunto de Encuentro, sezione riservata a opere prime e seconde, presenta dieci esordi e cinque seconde regie. L’Italia concorre con Più buio di mezzanotte di Sebastiano Riso, già alla Semaine de la critique di Cannes. Tra le anteprime, il belga  7, rue de la folie (7, via della pazzia) di Jawad Rhalib; il messicano Las horas contigo (Le ore con te) di Catalina Mastretta Aguilar, figlia degli scrittori Angeles Mastretta e Héctor Aguilar; Trouw mij (Sposami) del belga Kadir Balci; Vonarstraeti (Al centro dell’attenzione) dell’islandese Baldvin Zophoniasson; En el ultimo trago (Nell’ultimo sorso) del messicano Jack Zagha Kababie; Schimbare dello spagnolo Alex Sampayo; Blue Lips (Labbra blu) di sei registi esordienti tra Spagna e Argentina.
Tempo de Historia completa il trio delle sezioni di concorso. Da registrare quindici film in competizione tra cui, per l’Italia, SmoKings, i re del tabacco di Michele Fornasero. L’Italia è presente anche col grande omaggio a Ermanno Olmi, Olmi, mas vivo que nunca 2014, (Olmi, più vivo che mai 2014). Del regista, del quale sta per uscire in Italia Torneranno i prati, il Festival - in collaborazione con l’università di Valladolid e la cattedra di cinema, il Campus Maria Zambrano di Segovia e l’Istituto Italiano di Cultura - presenterà il profilo di Olmi, regista e sceneggiatore italiano creatore della corrente cinematografica Ipotesi Cinema. Antica la relazione di questo autore con la SEMINCI perché nel 1960 Il tempo si è fermato (1959) ebbe una menzione speciale nella ermanno-olmi-leonedoro-2sezione Valori Umani, e due anni più tardi questo cineasta vinse la Spiga d’oro con Il posto (1961). Un convegno si terrà dal 20 al 22, presenti due rappresentanti di Ipotesi Cinema, Mario Brenta e Rodolfo Bisatti. Sarà presentato anche il documentario Corpo a corpo (2014) firmato dal primo e due titoli di Ermanno Olmi, Il posto e L’albero degli zoccoli (1978), che hanno ricevuto numerosi premi. Si vedranno, inoltre Osolemio - Autoritratto italiano (2004), quattro film di Mario Brenta [Vermisat (1975), Robinson in laguna (1985), Barnabo delle montagne (1994), Calle de La Pietà (2010)] e il film di Rodolfo Bisatti Voci nel buio (2013).
Altro omaggio del Festival al regista sudcoreano Bong Joon-ho, Spiga d’onore alla carriera, presente con dieci film, e membro della giuria internazionale. Tuttavia la manifestazione più importante di questa edizione è La decade d’oro del cinema turco (2004/2014), una ventina di film premiati in Festival Internazionali, tre in concorso nelle sezioni principali, grande partecipazione di registi turchi e del corpo diplomatico del paese che il 23 ottobre celebrerà Il giorno della Turchia con convegni e feste, che si chiuderanno nella Cupola del Millennio con la partecipazione del gruppo musicale turco Ba Ba ZuLa.
Tra gli altri cicli, La primera guerra mundial y el cine: El proyecto EFG1914 (La prima guerra mondiale e il cinema: il progetto EFG1914) organizzato da CulturArts IVAC e dalla Cineteca spagnola con la collaborazione di 23 cineteche europee che hanno concorso alla digitalizzazione di 740 ore di filmati, che verranno presentati in cinque spettacoli separati.
Da non dimenticare la tradizionale sezione Spanish Cinema con dieci film, il meno spagnolo dei quali è Open Windows (Finestre aperte) di Nacho Vigalongo con Elijah Wood e Sasha Grey. Nella sezione per i bambini, MINIMINCI, partecipa un film italiano, L’inventore di giochi di Pablo Buscarini.


WhiplashIn un clima ancora estivo il festival ha dato il via alla sezione ufficiale con Due giorni, una notte di Jean Pierre e Luc Dardenne. I due registi belgi, giá applauditi a Cannes, hanno ricevuto calorosi omaggi sul tappeto rosso. Secondo film in concorso, invece, l’inedito Whiplash (Colpo di frusta) del trentenne statunitense Damien Chazelle, che era stato premiato al Sundance Film Festival l’anno scorso con un corto dallo stesso titolo. Evidente e dichiarato sviluppo del corto, il lungo dura 105 minuti, ed è interpretato da J. K. Simmons nella parte di un direttore d’orchestra jazz che insegna in maniera tirannica e aggressiva in un importante istituto della East Coast. Andrew (Miles Teller) è un batterista del primo anno che attira la sua attenzione e che si misurerá con lui durante tutta la durata del film. Lotta durissima tra chi detiene il comando e un diciannovenne determinato e giá segnato dal fallimento del padre, scrittore di insuccesso, che insegna in un istituto superiore. Più concerto che film - le performance dell’orchestra occupano piú di due terzi della durata - s’inserisce nella durissima lotta per emergere nella societá americana dove il gioco è nelle mani di un direttore d’orchestra che insulta gli allievi e si comporta come un sergente addetto all’addestramento delle reclute. Probabilmente un regalo per gli appassionati di jazz, meno intrigante per lo spettatore comune.
DplomatieDuro confronto anche quello tra il generale Dietrich Von Choltitz, governatore militare tedesco di Parigi nell’agosto del 1944, e il console svedese Raoul Nordling. Superbamente interpretato da Niels Arestrup e André Dussolier, Diplomatie (Diplomazia) di Volker Schlöndorff, giá alla Berlinale, nasce dal dramma di Cyril Gély che i due attori avevano recitato in teatro in almeno trecento repliche. Il regista, che si è formato a Parigi e che giá aveva girato un film sull’occupazione nazista, La mer à l’aube (Il mare all’alba, 2011) ha racchiuso in ottantotto minuti il serrato confronto - nel giorno in cui gli americani stanno per entrare a Parigi - tra l’ufficiale che ha ricevuto l’ordine di distruggere la città - e il console che tenta di dissuaderlo. Sorta di teatro da camera, (si svolge per intero in una stanza d’albergo), il racconto è una finzione sullo sfondo di avvenimenti storici. Apprezzabili i dialoghi che mettono in risalto le psicologie dei due contendenti e che rendono vivace e a volte curiosa la disputa. In altre parole un omaggio alla ville lumière e come un imbroglio ben riuscito.
La gran invenci n C-449436620-largeE se Hitler avesse avuto un piano due per l’occupazione dell’Europa? Lo stigmatizza il catalano Fernando Trías de Bes nel corto di venti minuti La gran invención (La grande invenzione). Tra realtá e fantascienza il regista celebra, nel 2027, i dieci anni dalla dissoluzione dell’Unione Europea e dell’abbandono dell’euro e mostra Hitler, alla vigilia della disfatta, che consegna gli studi del suo staff per l’occupazione economica del vecchio continente qualora non fosse riuscita la conquista militare. E’ un pamphlet, ma con tanto senno e con tanta arguzia che il pubblico ha riso e applaudito. Il regista afferma che dietro la finzione filmica, esistono documenti rintracciabili su Internet ove si può consultare il piano di Hitler.


miss-julie-2348232Dopo Whiplash (Colpo di frusta) e Diplomatie (Diplomazia) ancora un film in concorso basato sul confronto tra due protagonisti. Questa volta ospite del festinal è l’attrice e regista Liv Ullmann con unl nuovo adattamento del famoso dramma di August Strindberg Fröken Julie (1888), qui intitolato Miss. Julie  (La signorina Julie). Musa del grande Ingmar Bergman (1918 –2007), che questo testo utilizò in teatro nel 1985, la regista ha puntato sulla fotografia (Mikhail Krichman), la musica (Arve Tellefsen, Havard Gimse, Truls Morj) e gli attori: Jessica Chastain, Colin Farrell (nei ruoli di Julie e del domestico John) e Samantha Morton, la cuoca. Il film dura 129 minuti e si svolge in Irlanda nel 1880, durante la notte di San Giovanni. La cineasta ha evidenziato lo scontro fra le classi sociali spingendo quasi al parossismo la relazione tra servo e padrona. Luogo di seduzione la cucina dove lei, arrogante, invita John a bere e a ballare. Tra attrazione e repulsione, i due si prendono e si respingono in un continuo scambio dei ruoli. Coscienza dello scontro è la cuoca, promessa dell'uomo, che intuisce ciò che sta accadendo pur rimanendo nella sua camera. E come tutti sanno gli avvenimenti volgeranno in tragedia. Silenzio in sala fino al caloroso e liberatorio applauso finale. Forse un po’ lungo, forse qualche eccesso nel lavoro degli attori, tuttavia il film  ha contribuito a rendere più attuale la figura del servo e a catturare l’attenzione del pubblico.
Marie HeurtinIn concorso anche un'opera che ha vinto il premio del pubblico al Festival di Locarno 2014, Marie Heurtin del francese Jean-Pierre Améris. E ancora uno scontro a due, questa volta dei veri e propri corpo a corpo, ma scontri d’amore tra una ragazza sordocieca, allo stato selvaggio fino a dieci anni, e una suora che si occupa del giardino di un convento. Il regista voleva riproporre sugli schermi il testo teatrale di William Gibson (1914 – 2008) che ispiró Arthur Penn (1922 – 2010) per Anna dei miracoli (The Miracle Worker, 1962) ma a corto di denaro per acquisirne i diritti, ha scoperto un caso analogo nella Francia fine Ottocento. Marie, a quattordici anni, sta per essere rinchiusa in manicomio perché nessuno crede possa essere inserita in societá. Marguerite, suora dell’istituto di Larnay (Poitiers), che si occupa di ragazze disabili, intuisce di poter far qualcosa per lei. Il film segue passo passo durante mesi la problematica riabilitazione dell’adolescente alla quale il linguaggio dei segni deve essere insegnato tramite contatto tattile e spesso anche attraverso momenti di lotta. Film edificante, come si suole dire, dove persone apparentemente sprovvedute si sacrificano per la vita degli altri. E il pubblico ha applaudito perché il racconto è scorrevole e le attrici sono brave (Isabelle Carré, Ariana Rivoire), tuttavia non aggiunge niente di nuovo al repertorio.
00d660616ef7ba5f1fbb1a6a5671c6f096Il film in concorso meno apprezzato è stato quello del belga Gust van den Berghe, Lucifer (Lucifero) che uscirà in Italia col titolo Il diavolo. Non si tratta di un’opera becera o, tantomeno, di un cineasta senza qualità, perché chiude la trilogia con cui il regista ha tentato di studiare il rapporto dell’individuo col mondo. C’é peró una sorta di black out tra le idee dell’autore e la messinscena. Il film è diviso in tre parti (paradiso, peccato, miracolo) e si svolge in una povera contrada del Messico. Un forestiero che si fa passare per un angelo, fa camminare un anziano che per quattro anni ha finto di non potersi muovere. Si grida al miracolo e il giovanotto ne approfitta per mettere incinta una ragazza e dileguarsi. Segue un totale disorientamento. Il film dura 103 minuti e la proiezione non approfitta di tutto lo schermo perché le immagini sono contenute in un cerchio. Forse il regista vuol ricordarci che il mondo è rotondo e che in quel mondo circolano falsi profeti. Il fatto è che la sala si è andata svuotando e gli spettatori rimasti fino alla fine, all’uscita si chiedevano cosa avessero visto.


Arca si noeL'unico film spagnolo in concorso al festival è stato El arca de Noé (L’arca di Noè) ed è un disastro. Diretto da Adán Aliaga (1969) e David Valero (1977), rispettivamente al secondo e al terzo film oltre a corti e lavori di pubblicitá, parla di due quarantenni che decidono di costruire una macchina che li trasporti in un mondo migliore. Siamo nel 2020, nel mezzo della più grande crisi globale. I due, addetti alla sicurezza di una fabbrica abbandonata, lasciano il posto dopo otto anni e si dedicano alla costruzione della macchina. Quando l’esperimento riesce, si vedono catapultati nella società dei consumi degli anni pre-crisi. Qualche immagine capovolta, la fotografia nitida e piena di luce, i due protagonisti, generalmente a torso nudo, colti in azioni quotidiane, spesso di natura fisiologica. C’è da augurarsi che i registi tornino a girare film, che i pittori tornino a dipingere e che i politici si occupino di politica.
Nella sezione ufficiale, fuori concorso, si è visto l’ultima storia interpretata da Robin Williams, The angriest The Angriest MamMan in Brooklyn (L’uomo piú arrabbiato di Brooklyn) di Phil Alden Robinson, regista attivo da oltre cinque, che si è ispirato a un film del 1997, The 92 minutes of Mr. Baum (I 92 minuti del signor Baum) degli israeliani Daniel Taplitz e Assi Dayan. Non si puó non pensare al messaggio premonitore del film, considerando che poco dopo la fine della lavorazione, totalmente depresso, Robin Williams si sarebbe tolta la vita. Nel film, infatti, è un incazzatissimo newyorkese che aggredisce verbalmente una giovane dottoressa (Mila Kunis), perché un check up gli diagnostica un aneurisma cerebrale, e vuol sapere quanto tempo gli resta da vivere. Incalzata dal paziente, ormai fuori di sè, gli dice che gli restano novanta minuti. Lui scappa per le vie di New York: ha da poco perso il figlio che piú amava, col secondo figlio i rapporti sono tesi, e da molto tempo non ha piú avuto rapporti sessuali con la moglie. Vorrebbe riconciliarsi con tutti, ma come in novanta minuti? Henry Altmann, questo è il suo nome, decide di buttarsi dal ponte di Brooklyn. La dottoressa, riacquistata la calma con un paio di pillole, si mette sulle sue tracce e lo scorge sul ponte. Finirá come finirá, ma del film, che si muove tra dramma e commedia, allinea alcune gag originali, e probabilmente non dispiacerá al pubblico perché è stato confezionato per lui e non pecca di lungaggini essendo contenuto in ottantatré minuti.
7 via della folliaPoco più lungo, ottantasette minuti, l’esordio del belga quarantottenne di origini marocchine, Jawad Rhalib, nella sezione Punto de Encuentro col film 7, rue de la folie (7, via della pazzia). Autore di corti e di documentari, il regista affronta il problema di molte famiglie islamiche in Europa con genitori tradizionalisti che tengono le loro figlie chiuse in casa, costrette a rimanere illibate fino a quando un pretendente islamico non chiederá la loro mano. Lo fa in chiave di cinema nero narrando di tre sorelle e della fidanzata della maggiore, che vivono in una fattoria isolata. Le donne, alla morte del padre, lo sotterrano nel giardino rispettando la sua volontà. Però festeggiano anche l’anelata libertá. Comprano Ipad e gadget fino allora proibiti, si vestono all’occidentale e meditano piccole vendette. Senonché il padre ha lasciato molti debiti, la fattoria rischia di essere messa sotto sequestro, e loro gettate in mezzo a una strada. Si devono inventare qualcosa. Lo fanno tramite Internet aprendo un’agenzia per accogliere in Europa musulmani devoti. Dapprincipio le cose vanno bene, poi causa le loro intemperanze, alla visita di una zia fondamentalista e al desiderio di vendicare la non tanto misteriosa morte della madre, le cose precipitano e il giardino accoglierà altri cadaveri, si potrebbe dire a ritmo sincopato. Il dramma procede con qualche spunto bizzarro dovuto alle incontrollate esternazioni delle sorelle.


Hermosa-juventud-e1399645014806Sono sedici i film della sezione Spanish Cinema della SEMINCIi. Considerando che nella sezione ufficiale sono passati due film visti, uno a Cannes - Gui lai (Tornando a casa) di Zhang Yimou) - e l’altro a Karlovy Vary (La tirisia di Jorge Pérez Solano), apriamo una finestra sul cinema spagnolo. Tralasciando due film di livello, visti e premiati in molti Festival quali 10.000 Km di Carlos Marques-Marcet e La jaula de oro (La gabbia d’oro) di Diego Queimada-Díez, parliamo invece di due film sul disorientamento e sul senso di precarietá della gioventú spagnola. Hermosa juventud (Bella gioventú) di Jaime Rosales e Ártico di Gabri Velázquez pongono lo stesso problema: cosa fare quando non si trova un lavoro? Il primo si svolge a Madrid. Natalia e Carlos, ventidue e ventitre anni, sono innamorati. Hanno grandi sogni, ma poco lavoro. Lui si rompe le ossa in un cantiere per dieci euro l’ora, lei cerca invano un impiego. Accettano di esibirsi in un pornofilm per seicento euro, poi è buio totale. La nascita di una bambina grava sulla madre di Natalia che mantiene anche un altro figlio. Carlos lascia il cantiere. Dopo mesi di miserie, Natalia raggiunge un’amica ad Amburgo e accetta qualsiasi lavoro pur di inviare soldi alla famiglia.
ArticoIl secondo si svolge dalle parti di Salamanca, dura ottantacinque minuti e mostra due giovani sbandati, Jota e Simón, vent’anni e nessuna voglia di lavorare. In rivolta contro genitori tradizionalisti, si dedicano a truffe e furti, e spesso lasciano esplodere la loro rabbia colpendo cose e persone. Simón vuol essere indipendente: è stanco della famiglia e non sopporta neanche la compagna che a sedici anni gli ha dato una bambina, Jota, invece, non vuol restare solo. La sua compagna è incinta e lui la installa in una vecchia casa di campagna che per la ragazza diventa una prigione. Le loro scorrerie comunque avranno un termine: Simón dovrá vedersela con gente senza scrupoli: Jota tornerá dalla compagna, ma lei è scappata nei campi. Hermosa juventud dura 102 minuti, mette bene in evidenza gli anni di crisi e le vicissitudini dei giovani, ma lo fa quasi in maniera didattica e ripetitiva, seppure sostenuta dal lavoro dei giovani attori, Ingrid García Morales, Carlos Rodríguez. Il film è suddiviso in quadri che lasciano spazio a personaggi secondari, complementari al racconto, come la ragazza che spaccia droga nel passeggino del figlio. L’ impianto è piú cinematografico, il montaggio rapido e dedica molta attenzione al paesaggio.

MITA TOVA GIn concorso è stato un film presentato un film già nel cartellone dei Venice Days: Mita tova (La festa di congedo) degli israeliani Sharon Maymon e Tal Granit, commedia di novanta minuti ambientata in una struttura per anziani di Gerusalemme. Tra gli ospiti, in maggioranza tra gli ottanta e i novant’anni, Yehezkel, ingegnere di settantacinque anni, decide di mettere a punto una macchina che permetta a degenti, incurabili e stanchi di soffrire, di trapassare in maniera indolore. Lo fa soprattutto per il suo amico Max che sta soffrendo le pene dell’inferno, ma con l’aiuto di due anziani, un medico e un veterinaio, é disposto a farne usufruire eventuali richiedenti. Sebbene con la massima discrezione,  per non infrangere la legge, Yehezkel dovrá vedersela con la moglie afflitta da Alzheimer, due collaboratori gay non dichiarati, la vedova di Max e il controllo dei responsabili della struttura. Vincente il fatto che un plateau di vecchi attori sconosciuti in Europa riesca ad accattivarsi l’attenzione del pubblico, a farlo ridere e a strappargli un caloroso applauso finale. Girato con voluta leggerenza e con alcune gag riuscite, il film riesce a parlare di cose gravi senza far pesare sullo spettatore i problemi che affliggono gli anziani. Tuttavia gli serve un promemoria, con i dovuti scongiuri, per l’ineludibile tramonto. Ze’ev Revach è l’attore protagonista.


ParcheggioSulla dirittura d’arrivo, i premi sarano comunicati sabato notte, due film europei in concorso al festival: l’ungherese Parkoló (Parcheggio) di Bence Miklauzic e il turco Kuzu (Il capretto) di Kutlug Ataman, due film che descrivono differenti forme di lotta per la vita: il primo di carattere esistenziale, l’altro sotto forma di favola. Bence Miklauzic, 44 anni, al suo terzo film dopo alcuni corti e un paio di telefilm, scrive e dirige un racconto di novantun minuti che si configura come un duro scontro tra due personalitá opposte. Protagonista un ex legionario che in cittá gestisce uno spazio adibito a parcheggio. Lo controlla dalla sua roulotte, e difende un nido dagli assalti di un gatto. Quando un volatile muore, lo seppellisce sotto l’unica tettoia. Suo antagonista diverrá un ricchissimo magnate i cui uffici si elevano sul parcheggio. Possiede una Ford Mustang del 1968, la cosa che ama di piú, sicuramente piú della bellissima moglie dalla quale si sta separando, e desidera parcheggiarla sotto la tettoia. Il legionario, peró, è irremovibile: nessuno puó mettere la sua auto in quello spazio. E il confronto si trasforma in una lotta senza quartiere. Il magnate mobilita i suoi avvocati per poter cogliere eventuali illegalitá e compra gli amici dell’antagonista per isolarlo e sconfiggerlo. Pur essendo un uomo all’antica, solido e leale, il legionario scoprirá che quello che aveva sempre considerato il suo mondo non gli appartiene piú. Il film assume aspetti da thriller quando la lotta si fa dura, ma il regista, sempre attento a definire i caratteri dei contendenti, mette in evidenza la differenza di classi sociali e scava nelle ragioni dei due lasciando emergere personaggi devastati. Molte le figure di contorno che incidono sul racconto: peccato che i loro destini confluiscano in una sorta di facile happy end per il protagonista.
Il caprettoInfinitamente piú dure le condizioni di vita degli abitanti dello sperduto paese nell’est dell’Anatolia dove si svolge il racconto di Kuzu (Il capretto) ed è piú feroce lo scontro seppure in chiave di favola nera, con qualche spunto umoristico. Medine, 27 anni, vuole offrire un banchetto per onorare la circoncisione del figlio Mert di cinque anni. Suo marito, Ismail, è disoccupato. Per comprare il capretto da arrostire per il paranzo lei, Mert e la figlia Vicdan raccolgono legna da vendere. Vicdan, peró, è gelosa delle cure della madre per il fratello, e lo terrorizza dicendogli che sono poveri e che lui sará sacrificato al posto del capretto. Il bambino scappa. I genitori si preoccupano, ma hanno problemi piú gravi da risolvere anche perché Ismail si lascia ingenuamente truffare da due presunti amici che per saldare un loro debito lo gettano tra le braccia di una cantante e prostituta di passaggio. I soldi della festa finiscono nelle tasche della cantante, che ne sollecita altri. Ismail trova lavoro in un mattatoio, ma sará Medine, intervenendo in maniera risoluta, a raddrizzare la situazione. Tuttavia lei non parteciperá al pranzo, né tantomeno i suoi figli che nessuno sa dove siano andati. Racconto compatto, di ottantacinque minuti, con l’eccellente fotografia di Feza Çaldiran che riprende immagini originali del paesaggio innevato intorno al villaggio rurale. Un film che si propone anche come racconto morale. Kutlug Ataman, cinquantatre anni, artista che ha esposto alla Biennale di Venezia e al Moma di New York, è al quinto lungometraggio che ha diretto con polso sicuro e con attori che meritano almeno una citazione: Nesrin Cavadzade, Cahit Gök, Mert Tastan, Sila lara Cantürk.


 I premi

MITA TOVA GAlla fine della settimana di ottobre più calda del secolo sulle rive del Pisuerga, il festival si è congedato dal pubblico con la partecipazione di due famosi attori spagnoli, Verónica Forqué e Imanol Arias, ambedue Spiga d’oro d’onore come il regista coreano Bong Joon Ho, membro della giuria internazionale. Con lui altri cinque professionisti: Yvonne Blake, Ahmed Boyacioğlu, Laurence Kardish, Alexandra Stewart, Eduardo Rossof hanno assegnato i premi della sezione ufficiale. Gran vincitore il film israeliano Mita tova (La festa di congedo) di Sharon Maymon e Tal Granit che ha ottenuto la Spiga d’oro quale miglior film e due premi ex-aequo per le migliori attrici a Levana Finkelshtein e Aliza Rozen.
La Spiga d’argento è andata al film tedesco Kreuzweg (Via Crucis) di Dietrich Brüggemann, del quale abbiamo scritto a giugno dal Festroia, e che ha vinto qui anche il premio Fipresci (critica internazionale) e il Premio della Gioventù.
Migliore regia è stata considerata quella di Volker Schlöndorff per il film Diplomatie (Diplomazia) che ha vinto anche il premio al miglior attore, Niels Arestrup.
Il Premio Pilar Miró riservato ai nuovi registi è stato assegnato all’opera prima dello statunitense Damien Chazell per il film Whiplash (Colpo di frusta).
Kuzu (Il capretto), il bellissimo film del turco Kutluğ Ataman ha vinto il Premio Miguel Delibes per la migliore sceneggiatura e quello per la migliore fotografia.
Per i cortometraggi della sezione ufficiale la Spiga d’oro è stata assegnata all’ungherese Symphony n° 42 (Snfonia n° 42) di Réka Bucsi. Il belga Sahim Omar Kalifa ha vinto la Spiga d’argento col film Bad Hunter (Il cattivo cacciatore). Finalista al premio annuale della European Film Academy è risultato lo spagnolo El corredor (Il corridore / Il mediatore) di José Luis Montesinos.
Vincitrice, nella sezione Punto de Encuentro, l’ungherese Virág Zomborácz col film Utó Ėlet (L’aldilà). Una menzione speciale è andata al turco Gözümün Nûru (Eye Am – Non dimenticare il montaggio) di Hakki Kurtulus e Melik Saracoglu. Miglior corto, Bir Fincan Türk Kahvesi (Una tazza di caffè turco) di Nazil Eda Noyan e Daghan Celayr.
Nella sezione Tiempo de Historia ha vinto il documentario spagnolo Sacromonte, los sabios de la tribu (Sacromonte, i saggi della tribù) di Chus Gutiérrez. Il secondo premio è stato assegnato all’australiano Once my Mother (Una volta mia madre) di Sophia Turkiewicz. Una menzione d’onore è andata a Planeta Asperger (Pianeta Asperger) degli spagnoli Maria Barroso e Ricardo De Gracia.
Safari di Gerardo Herrero ha vinto il premio regionale Castilla y León en corto. Menzione speciale per Cristales (Cristalli) di Juan Ferro.
Per chiudere, il premio del pubblico al film inglese della sezione ufficiale What we did on our Holiday (Quello che abbiamo fatto nelle vacanze)  di Guy Jenkin e Andy Hamilton e al messicano della sezione Punto de Encuentro En el ultimo trago (Nell’ultimo sorso) di Jack Zagha Kababie.