36° Festival Cinéma Méditerranée di Montpellier

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Sito ufficiale del festival: http://www.cinemed.tm.fr/

36° Festival du Cinéma Méditerranéen de Montpellier

locandina Cinemed2013Il festival del cinema mediterraneo di Montpellier, giunto quest’anno alla trentaseiesima edizione, è una delle maggiori manifestazioni filmiche tese a collegare un pubblico in gran parte locale a una vocazione sostanzialmente specialistica. Nato molti anni or sono come emanazione del cineclub Jean Vigo e diventato negli anni un polo d’attrazione per le cinematografie dei paesi mediterranei, il festival ha aperto la sezione competitiva con Adios Carmen (Addio Carmen) del regista marocchino Mohamed Amin Benamraoui.

Lo scenario è quello di un villaggio nel profondo del paese colto alla metà degli anni settanta. Il dittatore Francisco Franco (1892 – 1975) sta vivendo gli ultimi mesi di vita e molti spagnoli vivono lì facendo i mestieri più disparati dopo aver abbandonato il paese alla fine della guerra civile che ha portato alla caduta della Repubblica (1936 – 1939). In Adios Carmen (Addio Carmen) la donna e suo fratello sono tra loro e hanno trovato lavoro in un cinema scalcinato: lei fa la cassiera, lui i proiezionista. Sono osservati dai nativi con un misto di disgusto (non pochi ammirano il Generalissimo considerato un umo d’ordine che ha messo in riga i comunisti) e di ammirazione per le grazie della bella spagnola. Sentimenti che travolgono anche i bambini, prematuramente diventati adulti, che guardano alla vecchia sala da proiezione come a un tempio della fantasia e delle cose proibite. Adios CarmenUno di questi ragazzini ha una situazione particolarmente dura: suo zio ha di fatto venduto la madre a un vedovo che lavora in Belgio, ma che non vuol sentir parlare del ragazzino. Quando la donna parte il piccolo rimane solo nelle mani del parente, un traffichino ubriacone e violento. Il film segue l’odissea di questo piccolo e punteggia la sua amicizia con la bella spagnola, la sola che dimostri simpatia umana per lui, lo difenda dallo zio e dagli altri ragazzi. Quando arriva la notizia della morte del dittatore spagnolo, la donna e il fratello riprendono la via di casa e il piccolo rimane solo anche se quella breve parentesi lo ha indotto a incontrare e amare il cinema. Il film ha un andamento molto romantico e sconta non poche ingenuità nel disegno dei personaggi, ma si ha apprezzare per lo sguardo che getta su una piccola comunità che non sembra ancora entrata nella modernità. Molte cose sono scontate, ma nel complesso il film mostra una piacevole semplicità.
fidelio foto 05Fidelio, l’Odysée d’Alice (Fidelio, l’odissea di Alice) ci porta in uno scenario dei tutto diverso, quello dell’oceano. Qui naviga una grande nave su cui Alice lavora come una degli addetti alla sala macchine. E’ una donna libera, disinibita, che a terra ha un compagno, ma non disdegna incontri sessuali occasionali. Con il capitano della nave intrattiene una quasi storia d’amore, interrotta con il ricovero dell’uomo e il suo ritorno a casa. E’ il ritratto di una donna libera e indipendente che si comporta allo stesso modo con cui gli uomini guardano e affrontano le donne. In questo è possibile intravvedere anche una componente quasi femminista, politicamente originale. Per questo ruolo Ariane Labed ha ottenuto il premio per l’interpretazione femminile al Festival di Locarno 2014, anche se a risaltare, più che delle sue virtù attoriali, è la costruzione di un personaggio abbastanza desueto. Il film sfrutta alla perfezione il contrasto fra la vastità degli orizzonti fuori bordo e la soffocante angustia degli stetti spazi della nave, in particolare quelli del locale macchine. In altre parole è un bel ritratto di donna e un’incursione disinibita nella sessualità femminile.
balik afisDervis Zaim (1964) è un regista turco - cipriota che ha esordito con il botto nel 1997 dirigendo Capriole nella bara (Tabutta Rövaşata) il tragico ritratto di un poveraccio che per sopravvivere cattura e mangia i pavoni che adornano un famoso parco di Istanbul. Dopo di allora ha proseguito realizzando opere decisamente diverse le une dalle altre. E’ ora la volta di Balik (Pesce) che racconta una storia a forte contenuto ecologico cadenzata sui quattro principi fondamentali della filosofia surfi: la pietra, gli alberi, gli animali, il genere umano. Temi che entrano nella vicenda di un povero pescatore di lago affitto da una figlia muta e sposato con una donna dotata di poteri quasi magici. Per incrementare i suoi redditi e fare fronte sia ai debiti sia alle spese necessarie per curare la giovane, imbocca la facile scorciatoia di pesare avvelenando le acque del lago e rivendendo il gran numero di pesci morti che affiorano in superficie. Per un concatenarsi di circostanze sua moglie sarà vittima di questa pesca illegale e lui finirà in prigione. Il film parte dalla sua uscita dal carcere dopo vari anni per un permesso temporaneo e lo segue mentre tenta di ristabilire un rapporto con la figlia che, nel frattempo, ha riacquistato la parola. Il film è pieno di simboli e riferimenti, ma il dato che emerge con maggiore forza è la denuncia dello scempio che, in Turchia come altrove, si fa delle risorse naturali per cavarne facili e rapidi guadagni. La mano del regista è ferma e il racconto procede armoniosamente, ma l’eccesso di simbologia rischia di appesantire oltre il lecito l’intera opera.

U.R.