Mostra di Venezia 2006, giorno per giorno - 3 settembre 2006

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Mostra di Venezia 2006, giorno per giorno
30 agosto 2006
31 agosto 2006
1 settembre 2006
2 settembre 2006
3 settembre 2006
4 settembre 2006
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4° giorno - domenica 3 settembre
Children of Men
Children of Men
Il primo week end della Mostra - quello più importante, tenuto conto che il prossimo sarà dedicato alla premiazione – non ha visto il tradizionale arrembaggio di festivalieri, con varie feste, ma senza un sensibile aumento delle presenze. Segno, insieme con altri indici, che le rassegne di film e il cinema, in particolare, non attraversano un momento di particolare favore. Sono almeno due anni che il cartellone dei maggiori festival stentano a trovare titoli di grande rilievo, che le presenze diminuiscono e l’interesse dei media si affievolisce sempre più. Quest’ultimo fatto è causato, soprattutto, dalla politica dei grandi giornali e delle maggiori reti che guardano solo agli eventi – le presenze di divi, le polemiche, gli incidenti di percorso – riservando un’attenzione trascurabile ai film e alla loro valutazione critica. Basta dare un’occhiata alle pagine spettacoli dei maggiori quotidiani italiani per notare come sono decine i film in concorso, per non parlare di quelli presenti nelle sezioni collaterali, cui si riservano poche righe, quando non si ignorano del tutto. E’ davvero una strana situazione quella in cui l’oggetto stesso dell’esistenza della manifestazione – la presentazione dei film – diventa fatto trascurabile. Sono osservazioni che facciamo da tempo, ma che diventano sempre più impellenti, tenuto conto del procedere dei comportamenti. In queste ore sono stati presentati un paio di disegni animati giapponesi, di cui non parleremo convinti come siamo che il mondo dei cartoon richieda specialisti ed esperti in grado di valutarlo con preparazione adeguata e non critici tuttologi capaci di parlare di questo, come di altri generi dotati di una forte specificità, usando i parametri utili al giudizio del film narrativi di tipo tradizionale. Veniamo, invece, ad un film in concorso: Children of Men (I figli degli uomini) porta la firma del regista d’origine messicana Alfonso Cuaron, cui si deve l’ultima versione delle gesta di Harry Potter, Il prigioniero di Azkaban, (Harry Potter and the Prisoner of Azkaban, 2004), ma, soprattutto, della straordinaria commedia amara Y tu mamá también (Anche tua madre, 2001).
Children of Men
Children of Men
La sceneggiatura rielabora un romanzo di P.D. James, pubblicato nel 1992, e colloca la storia in un immaginario futuro, il 2027, in un mondo ove, da ben 19 anni, non nascono più bambini. Le tensioni fra ricchi e poveri, inoltre, hanno portato ad uno stato di guerra permanente con la reclusione in campi di concentramento degli immigrati, il susseguirsi degli attentati, la costruzione di zone iperprotette riservate alle elite del potere. In Inghilterra le forze dell’ordine, trasformate in esercito d’occupazione del proprio paese, sono in guerra permanente con decine di gruppuscoli rivoluzionari e la legalità è di fatto sospesa. In questo clima accade un fatto straordinario: una ragazza di colore rimane incinta è sta per dare alla luce un figlio. Il corpo di questa donna e il tesoro che porta nel ventre, diventano oggetto di una caccia spietata da parte di una fazione guerrigliera, i Pesci, che vuole impadronirsi del neonato per conquistare il potere. La donna, accompagnata da un ex-rivoluzionario deluso, inizia una fuga rischiosa verso un non meglio precisato Progetto che dovrebbe ridare speranza ed equilibrio all’umanità. Come si sarà capito il film mescola decine di riferimenti. Si parte dalla storia di Maria che deve partorire il Salvatore, con vari riferimenti alla vicenda evangelica, si citano movimenti fondamentalisti occidentali, estremisti islamici, violazione dei diritti civili e chi più ne ha più ne metta. C'è troppa, carne al fuoco per una struttura narrativa che, soprattutto nella seconda parte, scivola pesantemente nel film d’azione con inseguimenti sparatorie e scontri fisici. Sono elementi negativi che non riescono ad inquinare del tutto il bilancio di un film costruito molto bene, tanto che riesce a catturare l’attenzione dello spettatore dall’inizio alla fine. Non un capolavoro, ma un’opera solida, ricca di spunti interessanti purtroppo dispersi su un terreno troppo vasto. La Settimana della Critica ha proposto un film americano prodotto dal cantante Sting. E’ A Guide to Recognizing Your Saints (Una guida per riconoscere i tuoi santi), opera prima del cantante (Gutterboy) eromanziere Dito Montiel, ha una forte componente autobiografica. Un giovane scrittore, nato nel quartiere di Astoria, a New York, oggi vive in California. Ritorna alla casa paterna, dopo anni d’assenza, per rivedere il padre, gravemente ammalato. Il contatto con il mondo dell’infanzia suscita in lui i ricordi anche amari e accentua il rapporto aspro con il padre. Riviviamo, così, la storia d’amore con Laurie e soprattutto i fantasmi dell’estate del 1986, quando, poco più che adolescente, scorazzava per le strade del quartiere con gli amici Antonio, Giuseppe e Nerf. E' in quei giorni, vissuti nel segno degli affetti mancati e della rivalità con una banda di ragazzi neri, che il suo destino e quello dei suoi amici si scontrarono con eventi che avrebbero segnato le loro esistenze. Il cinema basato sull’autobiografia non ha sempre un respiro ampio, ma, in questo caso, mette in campo una grande forza, unendosi ad uno dei temi classici del cinema americano: il contrasto fra padri e figli. Sono due gli elementi di pregio del film e appartengono entrambi all’universo stilistico. Il primo è il mescolamento dei tempi narrativi, che alterna l’ieri all’oggi, senza utilizzare il classico meccanismo del flash back, ma unificando i vari momenti in un continuo narrativo che salda passato e presente. Il secondo è l’uso della macchina da presa in ininterrotto movimento, unita ad una fotografia sgranata a mezzo fra l’opera sperimentale e il reportage televisivo. Sono due caratteristiche di forte modernità cinematografica che qui si accompagnano ad un racconto dalla struttura robustamente classica, conferendo all’opera un sapore piacevole e originale.