Mostra di Venezia 2006, giorno per giorno - 2 settembre 2006

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Mostra di Venezia 2006, giorno per giorno
30 agosto 2006
31 agosto 2006
1 settembre 2006
2 settembre 2006
3 settembre 2006
4 settembre 2006
5 settembre 2006
6 settembre 2006
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3° giorno - sabato 2 settembre
Private Fears in Public Places
Private Fears in Public Places
Alain Resnais ha un lungo sodalizio con il drammaturgo inglese Alan Aychbourn, culminato con lo straordinario Smoking/No Smoking (1993). L’accordo si consolida con la versione cinematografica di Private Fears in Public Places (Piccole paure condivise) che il regista francese ha tratto dall’omonimo testo teatrale del drammaturgo britannico. Sono tre storie che s’intrecciano. Il dirigente di un’agenzia immobiliare tenta di sedurre una sua collaboratrice, all’apparenza bigotta, in realtà ossessionata da pratiche erotiche segrete. Quest’ultima è assunta come badante da un barman melanconico affinché si curi del padre, iracondo e sessualmente sovraeccitato, lo farà così bene da causare un infarto al vecchio. Nello stesso tempo uno dei clienti del barista, un militare congedato con disonore per un oscuro affaire, è in crisi con la sua compagna, la abbandona e tenta, senza riuscirci, di ricostruirsi una storia con una giovane donna, sorella del dirigente dell’agenzia che affitta appartamenti. E’ un circolo chiuso impastato di tristezza esistenziale, dominato da un fato crudele e segnato dalla mestizia per la malattia e l’annuncio della morte. Sono vite fallite ed esistenze sconfitte che la regia presenta con tratto lieve, psicologicamente approfondito, non privo di momenti umoristici. Un grande saggio sull’umanità, la fragilità e la casualità della vita. Un film bellissimo, di grande respiro stilistico ove il senso teatrale è rispettato sino in fondo, ma la forma è strettamente cinematografica e segnata da una straordinaria intelligenza interpretativa. Completano il quadro un gruppo di attori che offrono interpretazioni davvero straordinarie: Laura Morante, Sabine Azéma, Isabelle Carré, Pierre Arditi, André Dussolier e Lambert Wilson, mentre la voce del padre ammalato e iracondo è di Claude Rich.
The Queen
The Queen
E’, davvero, un gran risultato quello ottenuto da Stephen Frears con The Queen (La regina), uno dei film più interessanti fra quelli visti nelle ultime stagioni. Lo sfondo è la settimana che va dal 31 agosto 1997, notte dell’incidente in cui trova la morte la Principessa Diana nel tunnel dell’Alma, a Parigi, ai funerali cui partecipò più di un milione di persone. Lo scenario è quello della dimora di reale in campagna e lo sguardo scandaglia le rigidità della sovrana, il cui comportamento causò un crollo di gradimento verso la monarchia, e il fare astuto e commosso del primo ministro Tony Blair. La regia corre consapevolmente un grave rischio; quello del teatro degli imitatori. Lo fa mettendo in scena i protagonisti con i veri nomi, i loro modi di atteggiarsi, i tic e le passioni. Vince la sfida in quanto il film non scade mai nella macchietta o nel ricalco insensato. Qui ogni personaggio, ciascun evento è degno di una vera tragedia shakespeariana con una corte chiusa in rituali obsoleti e un mondo pulsante che spinge ai cancelli, sin quasi rischiare di travolgerli. Buona parte della storia si svolge nella residenza estiva di Balmoral, ove la famiglia reale trascorre le vacanze e rimane in splendida solitudine sino al momento in cui gli umori dell’opinione pubblica la costringono, sei giorni dopo la morte di Lady D, ad uscire per recarsi a Buckingham Palace e rendere omaggio alla principessa dagli occhi tristi. Una buona parte del film è dedicata all’astuzia con cui il Primo Ministro riesce a far uscire la corona da un empasse che sembrava mortale e, su quest’argomento, il regista assume un tono quasi farsesco, facendo di Tony Blair un personaggio che sfiora il comico. E' un grande film e un esempio di civiltà e democrazia. Chi oserebbe, in Italia, fare la stesa cosa mettendo in scena Carlo Azeglio Ciampi, Silvio Berlusconi o Massimo D’Alema? La Settimana Internazionale della Critica ha presentato Yi Nian Zhichu (L'’inizio di un anno) del taiwanese Yu-chieh Cheng. Il film si articola su cinque storie ambientate nell’'ultimo giorno dell’anno, con al centro un giovane regista alle prese con il controverso finale del suo primo film. I personaggi che animano il racconto - un timido assistente che cerca di dichiarare il suo amore all’attrice principale, un immigrato clandestino in cerca del passaporto per andare a trovare il padre malato, un piccolo spacciatore che trascorre la notte di capodanno in discoteca, una giovane che incontra il regista e si spinge con lui in un viaggio fuori della realtà – incarnano un ventaglio d’inizi e fini di altrettante esistenze; come dire, di possibilità di rinascita per costruite una nuova vita. Il film è appesantito da un sovraccarico di suggestioni e mette sicuramente troppa carne al fuoco, ma testimonia una capacità di raccontare e una sensibilità nell’uso della macchina da presa davvero interessanti.