Mostra di Venezia 2005

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Mostra di Venezia 2005 - Giorno per giorno.

I giornata
Apertura ad ostacoli
La sessantaduesima edizione della Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia è stata segnata dalle misure di sicurezza imposte dalla polizia e realizzate dalla direzione della manifestazione. Porte – metal detector sono state istallate di una decina di punti d’accesso obbligati con obbligo di passaggio e ispezione dei bagagli. E' un sistema in vigore già da anni a Cannes, la cui efficacia antiterrorismo lascia qualche dubbio, visto che un organismo così complesso e frequentato come una grande rassegna internazionale ha dimensioni ed esigenze che sfuggono o contrastano con controlli realmente approfonditi e continui. In altre parole si ha l’impressione che si tratti più di fare scena che non mettere in atto un apparato antiterrorismo realmente efficace.
Per quanto riguarda più direttamente i film l’impressione che offre il programma è della ricerca di un livello medio – dignitoso con qualche nome di spicco (Manoel De Oliveira, Ang Lee, Pupi Avati, Abel Ferrara, Terry Gilliam…) qualche esordiente di lusso (George Clooney) e molti autori venuti dall’estremo Oriente, terra d’adozione e quasi seconda patria del direttore Marco Müller. Si è iniziato proprio con un film cinese, Sette spade di Tsui Hark, sorta di versione in quella terra del mitico western I magnifici sette di John Sturgens (1960). La storia è la stessa, con sette spadaccini che si mettono assieme per difendere gli abitanti di un villaggio dalla ferocia di un piccolo esercito di cacciatori di teste (in senso letterale) sguinzagliati da un potente Duca che ha proibito ogni forma di difesa tramite arti marziali da parte delle comunità locali. La paura è che queste forme d’autogestione si trasformino in rivolte autonomiste. In più ci sono spiriti magici, tradimenti e interminabili scontri all’arma bianca cadenzati secondo la nota tecnica del kung-fu / balletto. E' un film troppo lungo - due ore e venti - ripetitivo, prevedibile e noiosissimo. Quest’ultimo è un vero peccato mortale per un racconto in cui l’azione dovrebbe costituire la spina dorsale dell’opera.
II giornata
Nonostante tutto qualche soddisfazione arriva.
Questa sessantaduesima Mostra del Cinema si è aperta sotto pessimi auspici organizzativi, ma bisogna dire che sinora gli intoppi sono stati meno di quelli registrati in passato. Il che costituisce un giudizio parzialmente positivo, visto che si tratta pur sempre di una manifestazione zoppicante. Sul versante dei film due titoli su tutti. Goodnight, and Good Luck (Buona notte e buona fortuna) prodotto, diretto e interpretato da George Clooney che ricostruisce, in affascinante bianco e nero, la battaglia condotta da un pugno di giornalisti della rete televisiva CBS contro la famigerata Commissione per le Attività Antiamericane e presieduta dal cacciatore di streghe senatore Joseph McCarthy. Siamo nel 1953, infuria la guerra fredda e il parlamentare del Wisconsin si è guadagnato la triste fama di persecutore di comunisti scovati in ogni angolo dell’amministrazione, della vita culturale e professionale americana. Basta aver versato qualche dollaro venti anni prima ad organizzazione di sinistra per essere imputato, messo all’indice e privato del lavoro. Contro questo si batté il giornalista televisivo Edward R. Murrow che, alla testa di una piccola equipe prese le difese di militari discriminati, segretarie incriminate, giornalisti indicati alla pubblica vergogna. Alla fine vinse, mentre il senatore finì tristemente la sua carriera accusato di malversazioni finanziarie. George Clooney ci racconta questa battaglia dall’intero del gruppo giornalistico, realizzando un film d’altissima qualità in cui la scelta di girare in poche stanze non scalfisce minimamente una tensione ed un ritmo perfetti e incalzanti. La sua è una lezione valida anche per l’oggi e una presa di campo lucida e coraggiosa. Manoel De Oliveira si muove in direzione diametralmente opposta. Fedele al suo stile raffinato, freddo e molto intellettuale racconta, in Espelho Magico (Lo specchio magico), i tormenti religiosi di una nobilsignora che sogna di parlare con la Madonna. Attorno a lei una piccola corte dei miracoli fatta d’ex-galeotti, falsari, giovin signore disposte ad assumere le vesti della Madre di Gesù in cambio di sostanziali ingaggi. Il film è affascinante, complesso, troppo ricco, eccessivamente dialogato e sembra quasi che l’ultranovantenne regista portoghese abbia voltato le spalle alla bella semplicità fantastica che segnava Un film parlato (2003) e persino Il quinto imperio (2004). Qui a dominare è la maniera, la fedeltà programmata ad uno stile che sembra ripetersi senza una vera ragione espressiva. Molto più realistico e intrigante All the Invisibile Children (Tutti i bambini invisibili), raccolta di sette racconti firmati da Mehdi Charef, Emir Kusturica, Spike Lee, Katia Lund, Jordan e Ridley Scott, Stefano Veneruso e John Woo. Il tema è quello dei bambini maltrattati da società che li costringono ad imbracciare le armi giovanissimi, rubare, spacciare droga o a vivere miseramente. Gli episodi firmati da Emir Kusturica (un ragazzino che preferisce ritornare in riformatorio anziché vivere con un padre che lo picchia e costringe a rubare) e da Katia Lung (un bimbo e una bimba brasiliani che sopravvivono raccogliendo cartoni e lattine) sono toccanti, ben costruiti e valgono, da soli, più di molti lunghi racconti su questi stessi temi.