Mostra di Venezia 2006, giorno per giorno - 8 settembre 2006

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Mostra di Venezia 2006, giorno per giorno
30 agosto 2006
31 agosto 2006
1 settembre 2006
2 settembre 2006
3 settembre 2006
4 settembre 2006
5 settembre 2006
6 settembre 2006
7 settembre 2006
8 settembre 2006
9 settembre 2006
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9° giorno - venerdì 8 settembre
Mushishi
Mushishi
La presentazione dei film in concorso alla 63 ma Mostra del cinema di Venezia si è chiusa con la proiezione di un film giapponese e del secondo titolo italiano. Otomo Katsuhiro, uno dei grandi nomi dell’animazione giapponese, e passato, un paio d’anni or sono, al film narrativo di stampo tradizionale con Suchîmubôi (Il ragazzo del vapore), visto fuori concorso, come film di chiusura, proprio a Venezia. La sua nuova fatica s’intitola Mushishi (Il signore degli insetti) e mescola fantasy a horror moderato nella storia di un cacciatore di mushi, spiritelli ambigui che amano introdursi nei corpi per privarli dell’udito o, nei casi più gravi della vista. Questa sorta di esorcista magico dovrà vedersela con forze malefiche di vario tipo, uscendone vincitore. Il film alterna paesaggi straordinari ad effetti digitali non entusiasmanti e sviluppa una sorta di poetica dell’irreale non proprio irresistibile.
Nuovomondo
Nuovomondo
Il secondo film italiano in concorso porta la firma di Emanuele Crialese (Respiro, 2002) e s’intitola Nuovomondo. Siamo agli inizi del secolo scorso, nel pieno della grande migrazione di contadini meridionali verso le Americhe. Salvatore Mancuso vende tutto per imbarcarsi con figli e madre verso gli Stati Uniti. Dopo un viaggio terribile arriveranno a Staten Island ove li attende una sezione degna di un campo di sterminio. Solo lui e il fratello maggiore saranno scelti, mentre il figlio minore e la madre saranno respinti. Il film ha uno stile complesso che alterna un realismo quasi verghiano, la prima parte siciliana, momenti fantastici (i sogni d’abbondanza del protagonista, il finale con tutti i personaggi che nuotano in un mare di latte) a tratti quasi documentaristici. Questi ultimi prevalgono nella parte americana e costituiscono il pregio maggiore di un film degno ma discontinuo. Un’opera di buon livello che una maggiore coerenza stilistica avrebbe trasformato in un grande film.
La rieducazione
La rieducazione
Anche la Settimana della Critica ha presentato, fuori concorso, un film italiano. E’ La rieducazione, produzione a bassissimo costo (è costata appena 500 euro!) diretta dai membri del collettivo Amanda Flor: Davide Alfonsi, Alessandro Fusto, Daniele Guerrini, Denis Malagnino. Un giovane laureato della provincia romana passa le giornate facendo volontariato in parrocchia. Un giorno il padre decide di fargli affrontare le responsabilità della vita: prima lo manda a lavorare in un cantiere edile, poi gli toglie casa e viveri. Per lui sarà un’esperienza durissima da cui emergerà un uomo diverso. La prima cosa che colpisce è la capacità della regia di rendere drammatico e costruire una vera e propria alta tensione emotiva facendo ricorso ad elementi molto semplici e realisti. In fondo il nocciolo della storia si potrebbe riassumere con poche parole: un piccolo costruttore – cialtrone e truffaldino – tenta di imbrogliare i propri dipendenti, una vera galleria di emarginati, ma questi riescono a sfuggirgli o per un colpo di fortuna casuale o perché lo derubano. Messa in questo modo l’opera sembrerebbe ben poco interessante, invece la sua forza è in uno stile che – ove non sorgesse qualche remora sia per l’usura della formula, sia per alcune ingenuità presenti nella sceneggiatura e nella recitazione - si potrebbe riallacciare a quello splendore del vero tanto caro a Roberto Rossellini e al realismo pasoliniano. Per questo il film costituisce veramente un piccolo gioiello nel panorama, non particolarmente ricco, del giovane cinema italiano. Il suo discorso disperato che fa sulla parcellizzazione (vogliamo dire, morettianamente, berlusconizzazione?) della cultura profonda è lucido e impietoso. Questi uomini - siano essi sbandati, operai, intellettuali, artigiani, donne svuotate di ogni carica umana e sessuale – rappresentano davvero un’umanità destrutturata, privata di qualsiasi carattere civico. Solo il prodotto finale di un individualismo che ha abbattuto quasi tutte le barriere fra civiltà e giungla. Come il solito impazzano le previsioni sui premi. Le nostre scelte vanno al film di Tsai Ming-Liang Hei yanquan (Occhi cerchiati), e a quelli di Alain Resnais Private Fears in Public Places (Piccole paure condivise, ma in Italia si chiamerà Coeurs), Stephen Frears The Queen (La regina) e La stella che non c’è di Gianni Amelio. Saremmo anche contenti se fossero coronati Daratt (Siccità) di Mahamat-Saleh Haroum o su Euphoria (Euforia) del russo Ivan Vyrypaev, ma temiamo che siano ipotesi che hanno ben poche possibilità di avverarsi.