Festival di Karlovy Vary 2007 - Pagina 7

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Festival di Karlovy Vary 2007
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Ho servito il re d'Inghilterra
Qualche riga sui film cechi, iniziando da quello che ha maggiormente colpito. J¡ří Menzel è, tra i registi della generazione storica di questa cinematografia, quello che dispone di maggiore lucidità e coerenza stilistica. Lo dimostra Obsluhoval Jsem Anglického Krále (Ho servito il Re d’Inghilterra) in cui racconta la vita di un giovane che sogna di diventare ricco e che, quando ci riesce, nel 1948, arriva il regime real – socialista gli porta via tutto e lo manda in prigione per una quindicina d’anni. Quando sarà liberato finirà esiliato in una taverna di montagna ora in rovina, un rudere che lui, con pazienza e fatica, rimette in funzione. Il film è costruito sui ricordi di questo sognatore e passa dalla Cecoslovacchia ricca e crapulona degli anni trenta, all’occupazione nazista, la deportazione degli ebrei, la guerra. Il personaggio principale ha stretti rapporti con la figura del buon soldato Schweyk, il personaggio inventato, nel 1921, da Jaroslav Hasek (1883 – 1923), a cui si è ispirato Bertold Brecht (1898 – 1956) per Schweyk im zweiten Weltkrieg, (Schweyk alla seconda guerra mondiale, 1941 - 44). E’ una figura gentile e ottimista che riesce a passare indenne attraverso le difficoltà che incontra, assecondando le follie del potere o fingendosi stupido. Anche Jan Dítĕ, il protagonista del film, è fatto della stessa pasta: non dubita mai della fortuna che lo bacerà in fronte, subisce le peggiori offese quasi senza ribellarsi, aggira ogni ostacolo con il sorriso e l’astuzia. E’ anche un pronipote dal giovane aiutante ferroviere di Ostre sledované vlaky (Treni strettamente sorvegliati, 1966), vista la commistione fra mite ribellismo e gusto del sesso libero e fantasioso. Il regista guida il film con mano ferma, percorre sentieri già battuti, ma lo fa con rigore e stile sicuri.
Valori che non si ritrovano nelle cosiddette commedie ceche come Grandhotel di David Ondříček che guarda quasi elusivamente al pubblico giovanile, mescolando pudibondi discorsi d’amore a personaggi strani. Tale è il trentenne Fleischman che raccoglie dati meteorologi e vive in una cameretta posta quasi alla sommità di uno strano albergo fatto a forma di gigantesca antenna. Siamo nella regione montana di Liberec e il nostro, timido e complessato sino alla schizofrenia, finisce in mezzo ad un balletto di amori che coinvolge due cameriere e un collega. E’ ovvio, sin dalle prime battute, che la coppia mal assortita si sfascerà in favore del ricercatore scontroso e si ricomporrà con la ragazza complessata che ha fatto il possibile, sempre in termini più che morigerati, per portarselo a letto. E’ uno di quel film che fanno il paio con i nostri cinepanettoni con tanto di pubblicità nascosta e sponsorizzazioni televisive, ma senza sguaiataggini e topless. Questa è l’unica differenza, per il resto siamo sulla stessa lunghezza d’onda.
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Bestiario
Stesso discorso per Bestiář (Bestiario) della regista Irena Pavlásková che si è arrabbiata perchè il distributore internazionale ha attribuito al film il titolo The Bitch's Diary (Diario di una puttana), ma ha poco da protestare, visto che la protagonista dell’opera usa passare, con disinvoltura, da un letto all’altro alla sedicente ricerca di un amore perfetto. Una ricerca che la porta a non trascurare un potente ministro e un ricco bisessuale che riesce a fare sesso solo fuori casa e con la preferenza per la lacerazione della biancheria intima. Il tutto dovrebbe servire a dimostrare che gli uomini sono dei gran mascalzoni e l’unica via verso la felicità, per le donne, è quella di rimanere sole. Tesi tardo – estremistico – femminista, brandita con una certa disonestà morale, visto che la regista non disdegna di mostrarci la protagonista senza veli o in seducenti posizioni stile rivista patinata. Fra case di lusso e vacanze milionarie scorre un film fasullo e inutile.