Festival di Karlovy Vary 2007 - Pagina 2

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Festival di Karlovy Vary 2007
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Miglia felici
Condivisibili anche il premio speciale della giuria e quello per la migliore regia andati, rispettivamente a Lucky Miles (Miglia fortunate, 2007) opera d’esordio dell’australiano Michael James Rowland e a Kunsten å tenke negativt (L’arte del pensiero negativo, 2006) del norvegese Bård Breien. Il primo affronta una delle tante tragedie delle migrazioni. Su una solitaria spiaggia sbracano una ventina di immigrati illegali che scoprono quasi subito di essere stati imbrogliati. Lo scafista, un pescatore indonesiano, li ha lasciati lì dicendo loro che, che appena dietro le dune, c’è una strada su cui passano gli autobus di linea. Le cose non vanno neppure troppo bene al trafficante di vite umane, visto che uno dei membri dell’equipaggio gli incendia accidentalmente il peschereccio e lo costringe a salvarsi a nuoto sulla medesima spiaggia assieme all’altro marinaio. Trasportati e trasportatore si trovano così a vagare, in piccoli gruppi rissosi e disperati, nel deserto, senza cibo né acqua. Sulle loro tracce ci sono sia la polizia di frontiera, sia una pattuglia dell’esercito, scombinata e ben poco professionale. Sono questi uomini delle istituzioni a fornire alcuni fra i maggiori spunti comici tesi ad alleggerire lo spirito drammatico. Possiamo dire che tutto finirà, forse, bene per almeno due personaggi: l’iraniano in fuga dal regime di Saddam Hussein e il cambogiano alla ricerca del padre che vive in Australia. La miscela fra humour e tragedia è abbastanza ben calibrata e la storia prosegue speditamente, anche se non mancano, nonostante si dica che tutto è da storie vere, alcune inverosimiglianze come la rimessa in funzione del rottame di automobile che uno dei gruppi incontra sul suo cammino. Il regista mostra di avere un buon occhio cinematografico, anche se non sembra capace di andare a fondo, cogliendo tutte le sfaccettature delle storie affrontate.
Anche L'arte del pensiero negativo è un film d'esordio di un giovane regista norvegese la cui verve pencola verso la commedia nera. In questo caso il lacerante dramma di tre persone costrette in carrozzella, due delle quali affidate ad una psicoterapeuta convinta che tutte le difficoltà possano essere superate con l'ottimismo e il pensiero positivo. Quando il gruppo incontra un trentacinquenne, handicappato a seguito di un incidente d'auto, che riesce a sopravvivere solo facendo ricorso ad una rabbia, profonda e inarrestabile, le cose precipitano, sin quasi a sfiorare nuove tragedie. In altre parole siamo davanti ad uno sberleffo che mira a far emergere il grottesco anche dalle situazioni più tragiche. L'invito di fondo è all'accettazione della realtà, indipendentemente da qualsiasi mascheramento lieto. Meglio la consapevolezza di ciò che si è alla falsa coscienza indotta da qualsiasi forma di autoconsolazione. Sicuramente lìintento è lodevole, anche se il film eccede in una verbosità falsamente irriverente che ne compromette parte delle possibilità di riuscita.
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Pudore
Da sottoscrivere anche il riconoscimento per l’interpretazione femminile andato a Elvira Mínguez interprete di Pudor (Pudore, 2007), altra opera prima, questa volta a firma dei fratelli David e Tristán Ulloa arrivati al lungometraggio dopo i successi della serie televisiva El Comisario diretta da David e interpretata da Tristán. Lo spunto l’ha offerto un romanzo di Santiago Roncaglielo in cui si raccontano le tragedie che travolgono una famiglia asturiana nell’arco di poche settimane. Il film si apre con la morte della nonna, prosegue con la scoperta che il capofamiglia ha un cancro al cervello che gli lascia solo sei mesi di vita, si va avanti con i tradimenti incrociati, reali e supposti, dei genitori e le turbe erotiche della figliola adolescente, per finire con la caduta da un balcone del figlio minore. Un po’ troppa carne al fuoco, anche se la regia domina la materia con mano ferma. Il pregio maggiore del film nel tratteggio della protagonista, una donna matura che s’inventa un amante per sentirsi ancora viva e desiderata. Intorno a lei ruota, in pratica l’intero film, mentre le figure dei giovani appaiono meno scandagliate. E’ un ritratto di famiglia in un interno che quasi non tiene conto del mondo esterno, focalizzando lo sguardo solo sul microcosmo su cui punta le luci. Il risultato è, complessivamente interessante, soprattutto per la cura dei caratteri di alcuni personaggi.