Festival di Karlovy Vary 2007 - Pagina 5

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Festival di Karlovy Vary 2007
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Veniamo ora agli altri film in concorso che non hanno ricevuto premi. Karger è un tipico metalmeccanico sulla trentina che ha sempre vissuto in una zona industriale della ex – DDR e che, quasi all’improvviso, è abbandonato dalla moglie e perde il lavoro. Poco servirà l’incontro con una donna disperata quanto lui, l’unica soluzione sarà quella di gettarsi tutto alle spalle ed accettare di andare a lavorare in una fabbrica olandese. Il tema della mancanza di lavoro, nella nazione più ricca d’Europa, era ricco di spunti interessanti, così come quello - non nuovissimo, ma sempre stimolante - dei disastri sociali ed economici causati dalla politica real-socialista. Tuttavia Elke Hauck, regista del film, non ne affronta nessuno, limitandosi ad usarli quali sfondi – pretesto per una storia d’amore esasperato o, se si preferisce, di perdita del senso della vita a seguito dell’abbandono del partner. In questo modo il film perde molte potenzialità e s’incammina sui binari della solita disperazione per mancanza d’amore, un argomento che gli attori, non professionisti, stentano a rendere credibile. Un vero peccato, perché l’ambientazione e il panorama sociale della provincia industriale tedesca lasciavano intuire frutti ben più succosi.
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Piazza del Redentore
Plac Zbawiciela (Piazza del Redentore) di Joanna e Krzysztof Krauze è un drammone familiare che vorrebbe rappresentare anche i guasti causati dall’immersione della società polacca in un capitalismo selvaggio. Bartek, lavoratore in nero di una piccola azienda, e la moglie Beata hanno comperato un appartamento in una casa in costruzione. Nell’attesa sono andati a vivere, assieme ai due figli, con la madre di lui. La convivenza, già difficile, diventa insostenibile, quando il costruttore fallisce, fugge e lascia la banca padrona dell’immobile. Le difficoltà economiche, unite a quelle della coabitazione e al carattere autoritario della padrona di casa, portano allo sfascio della famiglia. Il marito trova una nuova compagna e la donna, anello debole della catena, tenta di uccidere i figli e suicidarsi. Subirà una pesante condanna e rimarrà semiparalizzata. Il film non riesce a rendere emblematica la vicenda, che rimane un caso individuale senza collegarsi in modo significativo al panorama che la circonda. Un’interpretazione non eccezionale e una regia debole e con molte tentazioni televisive - fra i produttori c’è anche la TV polacca - fanno il resto. In definitiva un film ovvio, passabilmente ripetitivo, scontato nello sviluppo e negli esiti.
Pruning the Grapevine (Potando la vite) del sudcoreano Min Boung-hun è un film sulla fede e la vocazione religiosa che ha molti punti in comune, ma senza raggiungerne la forza, con In memoria di me di Saverio Costanzo. Il film è nettamente diviso in due parti, la prima è ambientata in un seminario cattolico e ha al centro un giovane in bilico fra vocazione, rispetto delle regole e fascino delle tentazioni mondane. La seconda segue lo stesso personaggio, quando è mandato, per una pausa di riflessione, presso un lontano convento di frati e suore. Anche lì continuano i dubbi e non mancano le seduzioni che danno vita ad un processo complicato e lacerante che trova un momento di mediazione nella figura del priore, un anziano monaco comprensivo e pronto al compromesso. E’ un film più parlato che visto, in cui tutto è detto e ben poco è rappresentato. Le stesse suggestioni carnali sono immerse in un gelo formale che le priva quasi del tutto di forza. Un esercizio di stile, più che un testo sofferto e partecipato. Cuando ella saltó (Quando lei saltò) dell’argentina Sabrina Farji sembra un prodotto della novelle vague periferica, arrivato in ritardo di una quarantina d’anni. Stesso tono intimista, uguale miscela di immagini realiste e fantastiche, identico spirito sentimentale con, in più, un pizzico di cinema da videoclip. La storia è quella di un giovanottone che assiste al suicidio di una bella ragazza, ne incontra la gemella, se ne innamora, la vede rischiare la morte, la recupera in uno sdolcinato lieto fine. Il taglio è quello del cinema indipendente che calca eccessivamente i toni romantici e strizza l’occhio al pubblico giovanile. Una miscela che prevede personaggi strani, eventi legati direttamente alla cultura del fumetto e del cinema di serie B, musica etnica e, in questo caso, una spruzzata di magia buona a recuperare la tradizione fantastica cara a certo cinema latinoamericano. Speranza vana, in quanto il film fa acqua da ogni parte e, spesso, precipita nella noia.
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La buona notte

The Good Night (La buona notte) film d'esordio di Jake Paltrow, fratello della più celebre Gwyneth, è la classica produzione a mezza strada fra il film commerciale e quello indipendente. Pervaso dai peggiori cascami dello spirito Sundance, racconta la crisi di un musicista, un tempo membro di una band che ebbe una certa fama, che campa scrivendo jinge per spot pubblicitari. Il menage familiare con l'intellettuale Dora, interpretata dalla sorella del regista, è in crisi per reciproco affievolimento sentimentale, una situazione che precipita, quando il compositore inizia a sognare una sorta di donna ideale, Penelope Cruz, con la quale immagina di fare l’amore in situazioni paradisiache. Per immaginarla meglio si chiude sempre più in sé stesso, fa coprire le finestre della camera da letto e tappezzare le pareti di nero. Chiede consiglio, poi, ad una sorta di guru dai mille mestieri, Danny DeVito, che sostiene di saper trasformare i sogni in realtà. Mal gliene incoglie, perchè, quando incontra davvero la donna dei suoi sogni, una quotata modella, questa lo scarica brutalmente al primo approccio. Un terribile incidente d’auto chiude la storia e la riapre su una riconquistata armonia con la compagna di sempre. Solo che anche questo è un sogno, visto che, in realtà il protagonista giace in fin di vita in un letto d’ospedale e, forse, non si salverà. A favore di questa tesi ci sono le testimonianze di amici e conoscenti, che aprono e chiudono il film parlando di lui al passato. Attori famosi, atmosfera intellettuale, personaggi di contorno misuratamente strani, c’è tutto l’armamentario per presentare il film come un prodotto intellettuale attento alle novità del linguaggio. In realtà si tratta di una rimasticatura di temi vecchissimi, affrontati dal cinema più volte e con miglior esito. Un film furbo che mira più agli incassi che non all’originalità d’espressione.