73ma Mostra Internazionale d'arte Cinematografica di Venezia - Pagina 11

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73ma Mostra Internazionale d'arte Cinematografica di Venezia
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indexAng Babaeng Humayo (La donna che ha lasciato) del prolifico regista filippino Lav Diaz racconta, in un bianco e nero appena appena virato e con un ritmo narrativo disteso, la storia di Horacia Somorostro che ha passato trent’anni in prigione incolpata di un crimine che non ha commesso. Quando la sua innocenza è finalmente accertata – è stato un suo potente ex fidanzato a ordire una trama che la faceva sembrate colpevole – ritorna nella provincia di Mindoro, la stessa da cui proviene l’attrice principale del film Charo Santos-Concio, per organizzare la vendetta. La farà per lei un travestito che l’ex – detenuta ha raccolto sanguinante dopo una feroce aggressione omofoba. Il regista ama le narrazioni distese: al Festival di Berlino ha presentato un film (Hele sa hiwagang hapisUna ninnananna per un mistero doloroso) che durava più di otto ore, Mula sa kung ano ang noon (Ciò che è davanti) – vincitore a Locarno 2014 – era lungo cinque ore e mezzo, mentre Kagadanan sa banwaan ning mga engkanto (Morte nella terra di Encantos), visto a Venezia nella sezione Orizzonti della mostra del 2007 si sviluppava per ben nove ore. Con questi precedenti non meraviglia che questo film duri tre ore e quaranta minuti durante i quali scorrono sullo schermo, i triboli di quest’insegnante attenta alle esigenze degli umili, ma non meno ferma del perseguire un suo ideale di giustizia con l’obiettivo di riconciliarsi con figlio e figlia, anche se quest’ultima non è mai andata a trovarla mentre era in prigione e l’altro è scomparso da tempo e lei non riuscirà a ritrovato. È un’opera di grandissima forza, che avvince lo spettatore dal primo all’ultimo minuto raccontando una storia personale che è la metafora della miseria e della condizione terribile delle plebi di questo paese.
On the Milky Road 1Emir Kusturica ha debuttato con grande successo proprio a Venezia trentacinque anni or sono. Era il 1981, lui stava facendo il servizio militare, la Iugoslavia era ancora un paese unito e il film che portava la sua firma s’intitolava Sjecas li se Dolly Bell? (Ti ricordi di Dolly Bell?). La sua ultima fatica s’intitola Na mliječ putu (Sulla Via Lattea) ed è una sorta di summa del cinema di questo autore. La storia parte dagli ultimi giorni della guerra sul territorio della ex Iugoslavia e i combattimenti vanno avanti, feroci ma secondo una sorta di prassi stabilita da tempo. Arriva la pace e con essa un gruppo di mercenari piombati dal cielo alla ricerca di un’italiana, la nostra Monica Bellucci, che ha avuto l’ardire di accusare il marito, un potente gerarca che vive a Londra, di un omicidio. Ora il criminale è uscito di prigione (c’è un parallelo evidente fra fine degli scontri e ritorno alla normalità delinquenziale) e vuole vendicarsi. La donna si è innamorata di uno dei combattenti, interpretato dal regista stesso, contendendolo ad una ragazza del posto, sorella di un militare crudele e dalle maniere decisamente spicce. Al momento delle nozze, forzate, arrivano alcuni mercenari nerovestiti inviati dal potente che vive in Gran Bretagna e compiono un massacro ancor più crudele di quelli che quelle terre hanno visto sino a poche settimane prima. L’italiana e il suo innamorato sopravvivono e s’imbarcano in una difficile fuga con i mercenari alle calcagna. Dopo alterne vicende la donna morirà dilaniata da una mina, mentre l’uomo sopravvivrà. Sono passati molti anno ora lui si è fatto prete e sta ricoprendo di pietra i campi minati per renderli inoffensivi. Il film allinea quasi tutti gli stilemi cari a quest’autore, dalla mescolanza fra tragedia ed ironia, al ruolo quasi umano degli animali a cui è assegnato un peso fondamentale nell’economia del racconto. Sarebbe ingeneroso valutare negativamente il film, ma non ci si può esimere dal constatare come il cineasta copi sé stesso, facendo ricorso a materiali, stilemi e temi che, se trentacinque anni or sono, avevano destato meraviglia e ammirazione, oggi appaiono datati.