73ma Mostra Internazionale d'arte Cinematografica di Venezia

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73ma Mostra Internazionale d'arte Cinematografica di Venezia
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73MIAC Manifesto173. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia (31 agosto - 10 settembre 2016)

http://www.labiennale.org/it/cinema/

Quella celebrata quest’anno è la 73esima edizione della Mostra Internazionale d’Arte cinematografica di Venezia. In realtà di anni ne sono passati ben 84 da quando, 6 -  21 agosto 1932, il conte Giuseppe Volpi di Misurata ebbe l’dea di organizzare, sulla terrazza dell’Hotel Excelsior, un’Esposizione Internazionale d'Arte Cinematografica, priva di giurie e con riconoscimenti affidati solo a un referendum fra i ricchi ospiti dell’albergo. Per vari anni la rassegna si tenne in luoghi diversi, prevalentemente nella Piazza San Marco di Venezia, e solo nel 1937 la manifestazione trovò una sede stabile nell’appena edificato Palazzo del Cinema, al Lido. La Mostra si interruppe, causa la seconda guerra mondiale, dal 1942 al 1949 e, in seguito della contestazione intellettual – studentesca, fra il 1969 e il 1973.

Con uno statuto decisamente innovativo, votato dal parlamento nel 1973, iniziò un periodo nuovo, perfezionato con la riforma del 1998. Da quel momento la Mostra ritrova pienezza di funzioni e operatività, in particolare nell’ultimo periodo sotto la direzione di Paolo Baratta, presidente dell’Ente, e Alberto Barbera, direttore della rassegna cinematografica. Sotto la loro gestione ha manifestazione ha assunto caratteristiche originali mirando a coniugare rigore culturale, attenzione alle esigenze del pubblico e cura dell’organizzazione. Su questo versante da notare che quest’anno l’istituzione ha aggiunto una sala a quelle di cui già disponeva. L’ha ottenuta con la copertura del buco che deturpava lo spazio davanti al palazzo del casinò e che era nato dai lavori interrotti per la costruzione di un nuovo palazzo del cinema. A questo proposito va ricordato che molti anni or sono la Biennale aveva bandito un concorso per la costruzione di un nuovo palazzo del cinema a cui avevano aderito i migliori architetti del mondo. Subito dopo la proclamazione dei vincitori, il governo, guidato da Giulio Andreotti, aveva pensato bene di vincolare, per ragioni storico – artistiche, l’intera area. Come dire un ben po’ di milioni di lire gettati al vento.

Questo il programma 2016

Film in Concorso


Ana Lily AMIRPOUR The Bad Batch (Il cattivo gruppo) Usa    
Stéphane BRIZÉ Une vie (Una vita) Francia, Belgio    
Damien CHAZELLE La Land Usa    
Derek CIANFRANCE The Light Between Oceans (La luce tra gli oceani) Usa, Australia, Nuova Zelanda    
Mariano COHN, Gastón DUPRAT El Ciudadano Ilustre (Il cittadino illustre) Argentina, Spagna
Massimo D’ANOLFI, Martina PARENTI Spira mirabili Italia, Svizzera    
Lav DIAZ Ang Babaeng Humayo (La donna che ha lasciato) Filippine    
Amat ESCALANTE La región salvaje (La regione selvaggia) Messico    
Tom FORD    Nocturnal Animals (Animali notturni) Usa    
Roan JOHNSON Piuma Italia    
Andrei KONCHALOVSKY Rai (Paradiso) Russia, Germania    
Martin KOOLHOVEN Brimstone (Zolfo) Paesi Bassi, Germania, Belgio, Francia, Gran Bretagna, Svezia    
Emir KUSTURICA Na mliječnom putu (Sulla via lattea)  Serbia, Gran Bretagna, Usa    
Terrence MALICK Voyage of Time (Il viaggio del tempo) Usa, Germania
Christopher MURRAY El Cristo ciego (Il Cristo cieco) Cile, Francia    
François OZON Frantz Francia, Germania    
Giuseppe PICCIONI Questi giorni Italia    
Denis VILLENEUVE Arrival (Arrivo) Usa

Fuori concorso

Paolo SORRENTINO The Young Pope (Il giovane Papa, episodi I e II) Italia, Francia, Spagna, Usa    
Philippe FALARDEAU  The Bleeder (L’emofiliaco) Usa, Canada    
Antoine FUQUA The Magnificent Seven (I magnifici sette) Usa    
Mel GIBSON Hacksaw Ridge Usa, Australia    
Nick HAMM The Journey (Il viaggio) Gran Bretagna    
Benoît JACQUOT À jamais (Per sempre)    Francia, Portogallo    
KAWAMURA Yasushi Gantz:O Giappone    
KIM Jee woon Miljeong (L’età delle ombre) Corea del Sud    
Amir NADERI Monte Italia, Usa. Francia    
Kim ROSSI STUART Tommaso Italia   

Documentari

Bruno CHIARAVALLOTI, Claudio JAMPAGLIA, Benedetta ARGENTIERI Our War (La nostra guerra) Italia, Usa
Kasper COLLIN I Called Him Morgan (Lo chiamavo Morgan) Svezia, Usa
Andrew DOMINIK One More Time with Feeling (Ancora una volta con sentimento, 3D)     Gran Bretagna    
Sergei LOZNITSA Austerlitz Germania
Francesco MUNZI Assalto al cielo Italia    
Ulrich SEIDL Safari Austria, Danimarca
Charlie SISKEL American Anarchist (Americano anarchico) Usa

Orizzonti

Raúl ARÉVALO Tarde para la ira (Lento all'ira) Spagna
Peter BROSENS, Jessica WOODWORTH  King of the Belgians (Re dei belgi) Belgio, Paesi Bassi, Bulgaria
Rama BURSHTEIN Laavor Et Hakim (Attraverso il muro) Israele    
Federica DI GIACOMO Liberami (documentario) Italia, Francia
Reha ERDEM Koca Dünya (Grande, grande mondo) Turchia
ISHIKAWA Kei Gukoroku Giappone
Karl LEMIEUX Maudite Poutine (Maledetto Putin) Canada    
Marco MARTINS São Jorge (San Giorgio) Portogallo, Francia
Bill MORRISON Dawson City: Frozen Time (Città di Dawson: tempo congelato, documentario) Usa
Katell QUILLÉVÉRÉ Réparer les vivants (Riparazione di vita) Francia, Belgio
Deepak RAUNIYAR White Sun (Sole bianco) Nepal, Usa, Qatar, Paesi Bassi
Parviz SHAHBAZI  Malaria Iran
Gastón SOLNICKI Kékszakállú Argentina
Fien TROCH Home (Casa) Belgio
Ronny TROCKER Die Einsiedler (L’eremita) Germania, Austria
Michele VANNUCCI Il più grande sogno Italia
Nicholas VERSO Boys in the Trees (Ragazzi sugli alberi) Australia
WANG Bing Ku qian (Denaro amaro) (documentario) Hong Kong, Francia    

Proiezione Speciale fuori concorso

Tim SUTTON Dark Night (Notte scura) Usa

Cortometraggi

Doria ACHOUR Le reste est l’oeuvre de l’homme (Il resto è opera dell’uomo) Francia, Tunisia
Bibhusan BASNET, Pooja GURUNG Dadyaa Nepal, Francia
Maurizio BRAUCC Stanza 52 Italia
Mamadou DIA Samedi Cinema (Sabato cinema) Senegal
Luca FERRI Colombi Italia
Bayu Prihantoro FILEMON On the Origin of Fear (L’origine dela paura) Indonesia
Giovanni FUMU Good News (Buone notizie) Corea del Sud, Italia
Flurin GIGER Ruah Svizzera
HU Wei Ce qui nous éloigne (Quello che ci porta via) Francia
Sara KERN Srečno, Orlo! (Buona fortuna, Orlo!) Slovenia, Croazia, Austria
Juan Pablo LIBOSSART Amalimbo Estonia
Marcelo MARTINESSI La voz perdida (La voce perduta) Paraguay, Venezuela, Cuba
Chai SIRIS 500,000 Pee (500,000 anni) Tailandia    
Andrei TANASE Prima noapte (Prima notte) Romania, Germania

Cortometraggi fuori Concorso

Chiara CASELLI Molly Bloom Italia
Jake MAHAFFY Midwinter (Metà inverno) Usa, Nuova Zelanda

Settimana Internazionale della Critica

Ala Eddine Slim Akher Wahed Fina (L’ultimo di noi) Tunisia, Qatar, UAE, Libano
Keywan Karimi Drum Francia, Iran
Jérôme Reybaud Jours de France (Giorni di Francia) Francia
Juan Sebastián Mesa Los nadie (I Nassuno) Colombia
Vincent Biron Prank (Scherzo) Canada
Bradley Liew Singing in Graveyards (Cantando nei cimiteri) Malesia, Filippine
Irene Dionisio Le ultime cose Italia, Svizzera, Francia

Eventi speciali fuori concorso

Alice Lowe Prevenge Regno Unito (Film di apertura)
Xander Robin Are We Not Cats (Non siamo gatti) Usa (Film di chiusura)

Giornate degli autori

Selezione Ufficiale


Andreas Dalsgaard e Obaidah Zytoon The War Show (Lo Spettacolo della guerra) Danimarca, Finlandia, Siria (Film d’apertura)
Marco Danieli La ragazza del mondo - Worldly Girl Italia, Francia
Edoardo De Angelis Indivisibili – Indivisible Italia
Iván D. Gaona Pariente - Guilty Men Colombia  
Guðmundur Arnar Guðmundsson Hjartasteinn - Heartstone (Focolare domestico) Danimarca, Islanda
Hana Jušić Ne gledaj mi u pijat - Quit Staring at My Plate Croazia, Danimarca
Amanda Kernell Sameblod - Sámi Blood Svezia, Danimarca, Norvegia
Midi Z The Road to Mandalay Taiwan Cina, Myanmar, Francia, Germania
Valérie Müller e Angelin Preljocaj Polina, danser sa vie Francia
Paola Piacenza Ombre dal fondo - The War Within Italia (Film di chiusura fuori concorso)
Eduardo Roy Jr. Pamilya ordinaryo - Ordinary People (Gente comune) Filippine
Ben Young Hounds of Love Australia

Eventi Speciali

Matteo Borgardt You Never Had It. An Evening with Bukowski Stati Uniti, Messico, Italia
Cristiano Bortone Caffè - Coffee Italia, Cina, Belgio
Mauro Caputo Il profumo del tempo delle favole Italia
Enrico Caria L'uomo che non cambiò la storia Italia (In collaborazione con 73ma. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica La Biennale di Venezia)
Pippo Delbono Vangelo Italia, Svizzera, Belgio
Thierry Demaiziere e Alban Teurlai Rocco Francia
Sophia Takal Always Shine Stati Uniti

Miu Miu Women's Tales

Naomi Kawase Seed - Women's Tales #11 Italia, Giappone
Crystal Moselle That One Day - Women's Tales #12 Italia, Stati Uniti, UK

Premio Lux

Maren Ade Toni Erdmann Germania, Austria, Romania
Claude Barras Ma vie de Courgette - My Life as a Courgette Svizzera, Francia
Leyla Bouzid À peine j'ouvre les yeux Francia, Tunisia, Belgio, Emirati Arabi Uniti


La La landLa La land di Damien Chazelle (1985), il film che ha aperto la Mostra del Cinema di Venezia, è un musical che rende omaggio, prima di tutto, al cinema. Questo non solo per i numerosi riferimenti a film - Casablanca (1942) di Michael Curtiz, Gioventù bruciata (Rebel Without a Cause, 1955) di Nicholas Ray – a case di produzione (il bar interno ad uno dei maggiori studi cinematografici), a luoghi topici del cinema classico (l’osservatorio astronomico di Los Angeles (LA), ma anche ad alcuni momenti cari al cinema classico così come si è concretizzato in decine di film assunti a pietre miliari della settima arte, versione hollywoodiana. La valutazione di un musical deve necessariamente prescindere dalla storia raccontata che, nella stragrande maggioranza dei casi, è semplice. Ciò che conta, invece, è la composizione complessiva dell’opera e gli equilibri fra parti cantate, danzate e brani recitati. Diciamo subito che nel film di cui stiamo parlando questa tessitura è perfettamente costruita ed è robustamente tenuta assieme dalla recitazione, sorprendentemente precisa, di Emma Stone e Ryan Gosling. Per la cronaca segnaliamo come il film racconti una storia d’amore fra un’aspirante attrice, che sopravvive facendo la cameriera nel bar di uno dei maggiori studi cinematografici, e un musicista che sogna di far rinascere il jazz in un momento in cui questa musica sembra sul punto di scomparire. I due s’incontrano, si amano, si lasciano e si ritrovano, alcuni anni dopo quando le rispettive vite sono ormai definitivamente marcate in altre direzioni: lei è diventata un’attrice di successo, lui ha realizzato il sogno di dirigere un suo locale, ma è un luogo più simile all’anticamera di un obitorio che non alla sala parto di un ospedale.


light between oceans xxlgThe Light Between Oceans (La luce sugli oceani) è un film che il regista americano Derek Cianfrance ha tratto dal libro d’esordio della scrittrice australiana M. L. Stedman, pubblicato nel 2012. La storia è ambientata negli anni immediatamente successivi la Prima Guerra mondiale, e prende spunto dalla decisione di un ex militare di offrirsi come guardiano di un faro collocato su un’isoletta in alto mare. Il volontario ha fatto questa scelta disgustato dagli orrori a cui ha assistito durante il conflitto ed ora non ha altro desiderio se non quello di vivere in pace e solitudine. Durante uno dei previsti ritorni fra la gente comune conosce e sposa una giovane che accetta di andare con lui. La donna sogna di avere un figlio, ma per ben due volte la gravidanza è interrotta da aborti spontanei. Un giorno approda sull’isoletta una barca a remi con su il cadavere di un uomo e una piccola di poche settimane ancora in vita. La moglie del guardiano del faro tanto fa che riesce a convincere il marito a tacere del ritrovamento, seppellire in segreto il morto e presentare la piccola come figlia della coppia, cosa possibile visto che la donna ha abortito da poco. Passa qualche anno e l’uomo scopre che la piccola è figlia di una donna del posto che non sa darsi pace della scomparsa del marito, un tedesco fuggito in mare per sottrarsi alle persecuzioni dei paesani cui bastavano le sue origini per classificarlo come nemico della nazione. Travolto dai sensi di colpa, il padre acquisito fa in modo che la storia riemerga del passato, anche se mal gliene incoglie, visto che ora la polizia lo accusa di aver ucciso il padre in fuga per sottrargli la figlia. Tutto si risolve con una blanda condanna quando anche la madre naturale intercede per la coppia. Siamo negli anni cinquanta e le due madri, quella naturale e la sostituta, sono entrambe morte, mentre l’ex guardiano del faro vive in solitudine. Un giorno bussa alla sua porta un giovane con un figlio nato da poco. È la bambina di un tempo che vuole ringraziarlo per averla salvata. È una storia di taglio melodrammatico, resa particolarmente gradevole da una fotografia (i panorami sono in gran parte neozelandesi) da manuale. Tuttavia questo è tutto ciò che resta di un film prefetto nella costruzione professionale, ma povero di autentica originalità espressiva.
les-beaux-jours-daranjuez1Les Beaux Jours d’Aranjuez (I bei giorni di Aranjuez) di Wim Wenders nasce da un testo teatrale scritto nel 2012 dal drammaturgo austriaco Peter Handke. Un uomo e una donna fanno conversazione in un giardino inondato dal sole mentre uno scrittore, in cerca di un soggetto per il suo prossimo lavoro, li spia e ascolta. O forse è il contrario: sono i due personaggi che immaginano il romanziere al lavoro. Parlano di tutto, di sesso, dello scorrere delle stagioni, di esperienze di vita. Il tutto cadenzato dalla musica che sgorga da un vecchio jukebox. Il regista costruisce il film su una proficua contraddizione: l’uso di materiali narrativi molto convenzionali, messi al servizio di una struttura tecnica, il 3D, modernissima. Non si può dire che la sfida sia riuscita e che il film centri gli obiettivi evitando di naufragare in un sottofondo in cui la noia la fa da padrona. Ciò che rimane è la forza di dialoghi apparentemente banali, in realtà densi di significati e di disperazione. Nella sostanza un film più mancato che compiutamente riuscito.
arrival-1Si è visto anche Arrival (Arrivo) mega produzione moral - fantascientifica del canadese Denis Villeneuve. Il film nasce dal racconto Storia della tua vita, incluso nell'antologia Stories of Your Life di Ted Chiang, e ipotizza l’arrivo di una dozzina di astronavi aliene in altrettanti punti della terra. Negli Stati Uniti esercito e servizi segreti ingaggiano una linguista d’eccellenza con la speranza di trovare un terreno di contatto con i nuovi venuti, soprattutto per scoprire quali siano le loro intenzioni. Passano pochi giorni e la paura fa premio sulla prudenza con l’apparato militare che prende il comando avviandosi a uno scontro armato con i nuovi venuti. Se la minaccia del conflitto sarà fermata all’ultimo momento lo si dovrà alla costanza dell’intelligente professoressa che capirà il linguaggio degli alieni e convincerà i militari dell’indole pacifica degli esseri venuti dallo spazio. Un secondo finale, decisamente moralistico, ci informa che gli extraterrestri sono arrivati da noi per insegnarci il segreto della conoscenza del futuro, un futuro che, come la linguista sperimenterà sulla propria pelle, riserva dolori anche terribili, ma la cui consapevolezza non ci esime dal dovere di vivere la vita. Una morale un po’ banale per un film che pretende di sondare nuovi linguaggi anche cinematografici.  


El cristo-ciego 1El Cristo ciego (Il Cristo cieco) di Christopher Murray nasce da una coproduzione fra Cile e Francia. Il film si avvale di un congruo numero di attori presi dalla strada. La storia raccontata è quella di un giovane che si crede toccato dal dono di fare miracoli e inizia a muoversi, scalzo in un arido deserto sudamericano in cerca della fede e della parola di Dio. Deriso da molti, aggredito da alcuni, accolto come un vero profeta da altri, il giovane ci porta a conoscere le miserie e la vita grama dei peones di questa parte del mondo. È un percorso fra le peggiori miserie lette con stile neorealista. Un itinerario nella povertà che affligge milioni di esseri umanai e un’accusa neppure troppo velata a quella fede dietro cui si cela l’accettazione passiva dello stato di fatto. Il film è forse più generoso che bello, più di denuncia che ispirato, ma rimane un esempio di cinema morale d’alto impegno.  
Nocturnal animals 2Nocturnal Animals (Animali notturni) dello stilista e regista Tom Ford nasce da un testo del romanziere e saggista di Austin Wright (1922 – 2003): Tony and Susan pubblicato la prima volta nel 1993 ed edito in Italia da Adelphi nel 2011. Libro e film contengono al loro interno due storie abbastanza ben distinte. La prima è quella dell’esperta d’arte Susan, separata da un aspirante scrittore e sposata con un giovane manager che la tradisce. Un giorno riceve il manoscritto di un libro che il suo ex sta per pubblicare, una torrida storia noir intitolata Animali notturni in cui si racconta il calvario di un piccolo borghese in vacanza con moglie e figlia aggredito lungo un’autostrada texana da tre bellimbusti che rapiscono, stuprano e uccidono le due donne. Lui non si dà pace e, con l’aiuto un ufficiale di polizia malato terminale di cancro, rintraccia e ammazza i due delinquenti, un terzo è morto nel corso di una rapina. La lettrice s’immedesima nella storia al punto di immaginare lei e l’ex marito nei panni degli sventurati vacanzieri. Il film ha un taglio e una costruzione molto solidi, ma non esce dai binari del thriller hollywoodiano anche se le interpretazioni, in particolare quella di Amy Adams, rasentano la perfezione. Come dire un testo professionalmente d’altissimo livello, ma assai poco originale dal punto della costruzione e del linguaggio cinematografici.
The bleederThe Bleeder (Quello che sanguina) del regista canadese Philippe Falardeau racconta la vera storia, a lieto fine, del pugile Chuck Wepner, uno degli ultimi sfidanti al titolo mondiale dei pesi massimi di Muhammad Ali, il mitico Cassius Clay. La vicenda di questo atleta, venuto quasi dal nulla e divenuto famoso essendo la fonte di ispirazione di Sylvester Stallone per uno degli avversari di Rocky Balboa, è cadenzata sulla classica falsariga successo – caduta - rinascita. Infatti gli anni d’oro sono seguiti, come da copione, dalla dipendenza dalla droga, la prigione e il divorzio. Una storia abbastanza prevedibile qui sorretta da un lito fine decisamente inusuale in questo tipo di film. In definitiva un film costruito con abilità, ma debitore di decine di suggestioni ad altri classici hollywoodiani, prima di tutto al più volte citato Una faccia piena di pugni (Requiem for a Heavyweight, 1962) diretto da Ralph Nelson (1916 – 1987) e magistralmente interpretato da Anthony Quinn (1915 – 2001).


frantz 2Frantz di François Ozon si sviluppa fra una piccola cittadina tedesca e la Francia. Siamo nel 1919 pochi anni dopo la Seconda Guerra Mondiale e un viaggiatore francese arriva nel borgo germanico per incontrare i genitori del soldato tedesco da lui ucciso, più per paura che per spirito bellico, durante il conflitto e fra le cui carte ha trovato una lettera indirizzata alla fidanzata e ai genitori. Nella prima parte le ragioni del francese sono celate così bene da legittimare il sospetto che fra i due ci fosse una relazione omosessuale. Quando il giovane, osteggiato dalla popolazione locale, decide di svelare alla fidanzata del morto la vera ragione del suo viaggio, la donna decise di non dire la verità ai genitori del deceduto che, in questo modo, continuano ad apprezzare la presenza del visitatore come un omaggio al figlio morto. Dopo che il francese è partito lui e la ragazza si scambiano alcune lettere, poi il silenzio. A questo punto sono proprio i genitori del morto a spingere la ragazza affinché vada in Francia per scoprire che cosa sia successo. Viaggio e investigazione che approdano alla triste realtà che l’uomo, non molto saldo di spirito, appartiene a un certo nobiliare e sta per sposare una ragazza apprezzata dalla sua famiglia. La ragazza prende un treno per ritornare a casa, ma si ferma a Parigi e qui incontra, durante una visita al museo del Louvre, un altro giovane con cui, forse, darà vita a una nuova storia d’amore e, con essa, il ritorno alla normalità. È un film solido dotato di un forte impianto sentimental – melodrammatico, girato con grande abilità, ma profondamente inserito nella più classica tradizione del cinema di questo tipo. Il regista utilizza prevalentemente il bianco e nero alternandolo al colore nei pochi momenti di distensione. È una scelta non molto originale e, soprattutto gestita in maniera decisamente discutibile nel senso che non è sempre funzionale alla stesura del testo.
Brimstone 2Brimstone è una produzione franco - olandese diretta da Martin Koolhoven (1969) che si muove sia sul terreno del thriller sia su quello del western e, soprattutto, guardando con imbarazzante sudditanza al cinema di Quentin Tarantino di cui copia (cita?) panoramiche innevate e sequenze grandguignolesche. Il racconto è spezzato in più parti non presentate in maniera lineare. La parte iniziale è, in realtà, è quella prefinale, la seconda è una sorta di sviluppo centrale della storia, mentre la penultima e l’ultima dovrebbero essere messe, all’inizio e alla fine del film. È una scelta decisamente cervellotica che non presenta alcuna ragione espressiva se non quella di stupire e innervosire lo spettatore. Che dire, poi, dei numerosi momenti sanguignoleschi il cui unico scopo, lungi dalla scelta di restituire la violenza dell’epopea della corsa alla frontiera, appare quella di colpire allo stomaco lo spettatore. Rimessa in forma lineare la trama racconta di un predicatore fanatico che frusta e imbavaglia la moglie, violenta la figlia, uccide un cow boy che voleva liberare la ragazza anche se questa riesce a fuggire. Qualche tempo dopo il fanatico la ritrova in un bar – bordello dove è ferito gravemente da una prostituta a cui il padrone del locale ha mozzato la lingua per punizione. Altro passaggio temporale con il religioso folle che insegue la donna, che si è auto mutilata e non parla, la raggiunge mentre si è rifugiata da un anziano parente e tenta di ucciderla. Tuttavia sarà la donna ad ucciderlo. Passano altri anni e la ragazza è raggiunta e arrestata da uno sceriffo, fratello del suo vecchio magnaccia. Piuttosto che essere impiccata preferisce annegarsi in un lago lasciando la figlioletta a gestire una pensante eredità di violenza. In poche parole un bel pasticcio sagomato sulle orme del regista di The Hateful Eight.   
youngpope0002Fuori dal contesto competitivo si sono viste le prime due puntate de The Young Pope (Il giovane Papa) di Paolo Sorrentino, una miniserie articolata in una decina puntate che sarà trasmessa in autunno da Sky Atlantic in Italia, Regno Unito e Germania, da Canal+ in Francia e, a febbraio 2017, da HBO negli Stati Uniti. Valutare un progetto di così ampia portata dalla visione delle sole prime due ore di proiezione è impossibile e inutile. La sola cosa che si può dire è che si tratta di una proposta che non rispetta in nulla le regole base delle miniserie americane. Chi ha parlato di una sorta di Hause of Cards ambientata in Vaticano non ha tenuto conto delle numerose originalità, in primo luogo un forte senso d’ironia, impresse dal regista al suo lavoro.
È stato presentato anche il semidocumentario Safari che l’austriaco Ulrich Seidl ha dedicato al rito crudele della caccia grossa condotta da ricchi borghesi nei paesi africani. Un film per molti versi prevedibile, ma che ribadisce con forza la condanna di una pratica barbara e inutile.


Spia mirabilis 1Spira mirabilis (Spirale meravigliosa) porta la firma di Massimo D’Anolfi e Martina Parenti ed è il primo film italiano ad inserirsi nella sezione competitiva della Mostra. Il titolo nasce da nome che il matematico Jakob Bernoulli (1654 –1705) diede alla spirale di crescita o logaritmica descritta la prima volta da René Descartes (1596 – 1650). Il film non ha una vera e propria trama, intesa in senso narrativo, ma assembla due ore d’immagini organizzate attorto a vari temi. Il fuoco (gli indiani d’America che celebrano nel cimitero di Wounded Knee la sconfitta del loro popolo, la stessa cantata da Luciano Ligabue e Fabrizio De Andrè), la terra (il lavoro di continuo restauro delle sculture poste sul tetto del Duomo di Milano), l’aria (la costruzione di un particolare strumento musicale: l’hang), l’acqua (gli studi del biologo giapponese Shin Kubota sulla Turitopsis detta anche la medusa immortale). Tutto questo commentato dalle letture poetiche di Marina Vlady. È un discorso incentrato sulla morte e la rinascita, in altre parole sulla ricerca dell’immortalità. Un tema sviluppato in maniera cinepoetica, come si sarebbe detto un tempo (vedi i film sperimentali dagli anni settanta e le opere videotroniche di Gianni Toti). Sono proprio questi i limiti di un materiale che appare, oltre che eccessivamente dilatato, legato ad una stagione della ricerca cinematografica che pensavamo confinata negli archivi. In altre parole non è una scelta stilistica originale e la decisione dei selezionatori della Mostra d’inserirla nel concorso, appare legata più al favore concesso negli ultimi anni ai documentari dalle maggiori rassegne cinematografiche che non una preferenza precisa per il linguaggio adottato dal film. È un limite che non impedisce di apprezzare l’opera per il rigore con cui porta avanti un discorso oggi del tutto fuori moda.
El ciudadano ilustre 2El Ciudadano Illustre (Il cittadino onorario) porta la firma di due cineasti ed organizzatori televisivi argentini: Gastón Duprat e Mariano Cohn. È un film molto bello e decisamente riuscito, articolato attorno ad uno scrittore, premio Nobel per la letteratura, che da anni non riesce più a trovare un soggetto degno della sua attenzione. Vive a Barcellona e un giorno riceve una lettera del sindaco della cittadina argentina in cui è nato, a qualche centinaio di chilometri da Buenos Aires che gli comunica l’invito a ritornare a casa per ricevere la cittadinanza onoraria. Dapprima rifiuta, poi incuriosito, accetta finendo in un groviglio che lo porteranno a prendere una fucilata dall’uomo che ha sposato la donna che, molti anni prima, era innamorata di lui. Il problema è che, forse, tutto questo non è mai successo e la conferenza stampa in cui, alla fine, lui presenta il suo ultimo libro, lascia aperto ogni dubbio e non risolve affatto il conflitto fra realtà e immaginazione. È un’opera di grande complessità, racconta con una semplicità di linguaggio che rende onore al cinema di maggior livello. Il tutto arricchito dall’interpretazione di Oscar Martínez che definire magistrale è dire poco. Un film che mescola riflessioni tutt’altro che banali su fama e relatività, realtà e immaginazione, ricchezza e origini. Il tutto immerso in una collocazione storico – politica (i ritratti di Isabelita, 1931 – 1952, e Juan Domingo Perón, 1895 – 1974, che campeggiano nell’anticamera dell’ufficio del sindaco) ricca di sfumature che valgono assai più di tante descrizioni saggistiche.
hacksaw-ridge-posterHacksaw Ridge è il nome di un bastione apparentemente invincibile che inchiodò per molte settimane i militari americani durante la battaglia di Okinawa nell’aprile – giugno del 1945. A questo cruento evento partecipò anche Desmond Doss (1919 – 2006), primo obiettore di coscienza americano, apparteneva alla Chiesa cristiana avventista del settimo giorno, a ricevere la Medal of Honor, la più alta onorificenza militare statunitense, per aver salvato ben 75 soldati feriti e dati per morti. Mel Gibson ha dedicato a questo eroe un film magistralmente costruito e ridondante d’amore patriottico e di esaltazione della fede. In altre parole siamo dalle parti del cinema violento e reazionario caro a questo cineasta solito non lesinare simpatie per i movimenti religiosi conservatori e per la destra politica.


La region selvajeLa región salvaje (La regione selvaggia) porta la firma del messicano Amat Escalante, ma nato a Barcellona. Un regista che non disdegna l’utilizzo della violenza e della metafisica. In questo caso racconta la storia di due donne, Veronica e Alejandra, e della coppia che la seconda forma con Ángel, un giovane che non disdegna i rapporti omosessuali con il fratello della prima. Quando quest’ultimo viene trovato cadavere e orrendamente mutilato, la polizia incolpa e incarcera il marito di Alejandra che esce di prigione solo grazie ai buoni servizi di suo padre, un uomo importante ammanigliato con magistrati e poliziotti. Tutto questo sullo sfrondo di una casupola abitata da una coppia di santoni – maghi che hanno tratto forza da un meteorite precipitato nei pressi per dare vita ad un essere mostruoso - metà mostro, metà serpente – che incarna le pulsioni sessuali del genere umano e di quello animale, spinge alla copula varie specie viventi e ama entrare negli orifizi delle fanciulle che i suoi ideatori e custodi gli mettono a disposizione. Il catalogo parla di lotta per conquistare l’indipendenza da parte di una giovane donna nata e cresciuta in una cultura fortemente maschilista, misogina e omofobica. Confessiamo che non siamo riusciti a cogliere niente di tutto questo in un film che ci è apparso confuso e compiaciuto, sia dal punto di vista dell’esibizione sessuale sia da quello della violenza. Ciò che abbiamo colto è un gusto per l’iperbole, nel senso sessuale e aggressivo, e una visione allucinata e allucinante delle immagini cinematografiche. Un giudizio negativo che ci porta a dubitare della necessità della presentazione in concorso di un’opera simile.
Piuma 2Ancor più negativo il giudizio su Piuma dello scrittore, regista e sceneggiatore Roan Johnson, nato a Londra da padre inglese e madre materana, ma domiciliato a Roma. È il secondo film italiano in competizione ed è stato accolto molto negativamente alla proiezione riservata alla stampa. Si tratta di un’opera leggera e ottimista che sicuramente troverà un suo pubblico nelle sale, ma che ha poche ragioni per essere stata inserita nel concorso lidense. La storia che racconta ha al centro due ragazzi non ancora diciottenni: Ferro e Cate. I due devono far i conti una gravidanza inattesa e due famiglie, quella accogliente e normale del ragazzo e quella sgangherata della ragazza. Il tutto senza trascurare gli esami scolastici, gli amici caciaroni, la carenza di soldi, la mancanza di una casa e di un vero lavoro. Tutto destinato a finire nel migliore dei modi con la rinuncia, all’ultimo minuto, a dare in adozione la nascitura, per la quale è stato già scelto il nome di Piuma, e con la previsione di una vita normale. Vale a dire fatta di separazioni, divorzi e cose simili. Una storia ipocrita che cerca risate in situazioni che dovrebbero, invece, inquietare: la mancanza di case, le malattie degli anziani, le lavoratrici precarie, le gravidanze inattese. Ancora una volta un’opera banale e assai poco qualificata a partecipare ad una grande rassegna d’arte cinematografica.


une vieUne vie (Una vita) è il titolo del primo romanzo, comparso originalmente a puntate come racconto d’appendice del quotidiano Gil Blas ed edito lo stesso anno (1883) in forma di volume, scritto da Henri-René-Albert-Guy de Maupassant (1850 –1893), uno degli autori più famosi della letteratura francese. Da questo testo il regista Stéphane Brizé ha tratto un film in cui molti aspetti, ad iniziare dal formato dell’inquadratura e dalla posizione della camera addosso agli attori della macchina da presa, rivelano l’origine televisiva. Il cineasta ha trascurato quasi del tutto l’aspetto sociologico, lo stesso che fece collocare a Lev Tolstoj (1828 – 1910) questo testo fra le massime espressioni della letteratura francese. La storia che vi si racconta è quella di una nobile, Jeanne figlia unica del barone Simone-Jacques Le Perthuis, praticamente dalla prima infanzia alla vecchiaia, passando attraverso i dolori e le umiliazioni che all’epoca attendevano quasi tutte le donne. Sposata con un titolato meno ricco di lei, tradita del marito - prima con una cameriera, poi con un’amica ugualmente di sangue blu – depredata di ogni ricchezza dal figlio che va a Londra per farsi ricco e, invece, che precipita nella più nera miseria. Le chiuderà la vita allevando la nipotina in compagnia della cameriera che aveva avuto una relazione con il marito. Il film affronta queste vicende con lucidità, mettendo in al centro del discorso, ancor più di quanto non faccia il romanzo, la condizione femminile in un’epoca in cui le donne erano considerate poco più che animali da somma o da riproduzione. Anche se molte di quelle pecche permangono tutt’ora, la scelta del regista è di puntare sulla misera condizione delle donne, anche se nobili, piuttosto che indagare il quadro sociale dell’epoca. Ne nasce un film in cui l’interpretazione di Judith Chemla offre un valore in più a un’opera professionalmente pregevole anche se non originalissima.
The Bad BatchThe Bad Batch (Lotto difettoso), secondo lungometraggio dell’americana Ana Lily Armirpour, cita apertamente la serie mad max sia per l’ambientazione in una sorta di deserto post – atomico in cui sopravvivono sparuti e violenti raggruppamenti umani, sia per il gusto grandguignolesco che marca non poche sequenze. Una giovane espulsa da una sorta di fabbrica d’esemplari perfetti in quanto facente parte di un lotto difettoso, capita nelle mani di un gruppo di violenti che danno la caccia agli esseri umani per cibarsene. Dopo avere amputati un braccio e una gamba, la giovane riesce a fuggire e si rifugia in un altro agglomerato umano dominato da un profeta del sogno. Un tipo che vive nel lusso, scortato da donne armate e si mantiene alle spalle di un’altra comunità di disperati. La ragazza trova una pistola, va in cerca di una delle donne del primo gruppo, la uccide e rapisce sua figlia, una bimba il cui padre, un cubano, è un elemento importante della comunità cannibalesca. Lei s’innamora di questo bruto iper-muscoloso, libera la bimba, nel frattempo entrata nelle grazie e sequestrata dal capo della comunità del sogno, e inizia una nuova vita con la bimba e il forzuto. Difficile trovare un qualche senso in questo continuo alternarsi di immagini violente e personaggi vagamente simbolici. L’unico giudizio che se ne può trarre è nella sudditanza della regista a quella che potremmo definire l’estetica alla Quentin Tarantino, una moda che, purtroppo, ha contagiato non pochi giovani cineasti.
tommaso 2Tommaso, visto fuori concorso, è diretto e interpretato da Kim Rossi Stuart che racconta i triboli e le ossessioni per il corpo femminile – vede donne nude ovunque – di un attore che spera di arrivare alla regia del primo film. Se la prima parte ha un piacevole taglio ironico, con i dialoghi quasi surreali fra il paziente e lo psicologo, il film subisce una svolta negativa nel finale, in cui l’attore e regista si prende troppo sul serio indicando nel rapporto non risolto con padre e madre l’origine dei suoi triboli. Nella sostanza un film sconclusionato pieno di nudi del tutto gratuiti e dallo sviluppo improbabile.


Voyage of Time 1Terence Malick (1943), regista statunitense d’origini canadesi, è un cineasta passato progressivamente dal cinema narrativo (La rabbia giovaneBadlands, 1973) a quello sempre più rarefatto e poetico. Voyage of Time: Life’s Journey (Il viaggio del tempo: il percorso della vita) appartiene a quest’ultimo fase della sua vita creativa e raduna in novanta minuti una serie d’immagini che partono dal disordine cosmico – rappresentato con scene dell’universo, sequenze al microscopio e raffigurazioni maestose di vulcani terrestri e sottomarini – per approdare, attraverso l’emersione dal mare di pesci e anfibi, alla comparsa dell’uomo sino allo sviluppo attuale della civiltà con le grandi città e le luci abbacinanti. Il tutto quasi senza commenti, se non alcune frasi poetiche affidate alla voce dell’attrice Cate Blanchett. Questo nella versione presentata alla Mostra del Cinema di Venezia, mentre ne esiste un’altra, di soli 40 minuti, con la voce narrate di Brad Pitt (Voyage of Time - The IMAX Experience) che sarà presentata al Festival di Toronto. Quando ci si trova al cospetto di un prodotto di questo tipo non è possibile valutarlo utilizzando gli strumenti a disposizione della critica cinematografica. Qui l’assenza di narrazione, intesa in senso tradizionale, lascia il passo alla poesia. Le immagini perdono senso in quanto tali per diventare componenti di un discorso lirico che mette in discussione l’universo e il concetto stesso della vita. Da questo punto di vista l’obiettivo è centrato in pieno e il film si propone come una riflessione spirituale sull’esistenza stessa.
JackieJackie del cileno Pablo Larraín ricostruisce i quattro giorni che separano l'omicidio di JFK (1917 – 1963) dal funerale, e lo fa attraverso un’intervista concessa dall’ ormai ex First Lady. Dal dialogo emerge lo scontro fra la vedova e lo staff del neo presidente Lyndon Johnson (1908 – 1973). Lei pretende cocciutamente che i funerali siano degni della fama e grandezza del marito, mentre il nuovo capo della Casa Bianca spinge, attraverso i suoi collaboratori, affinché la sua leadership si affermi il più presto possibile. È un film biografico interessante più per il gioco degli attori che per le vicende che racconta. A questo proposito bisogna ricordare che il personaggio della vedova è interpretata in modo magistrale da Natalie Portman. Considerato per ciò che vale questo elemento, si deve anche dire che il film delude non poco rinchiudendo l’intera storia all’interno di una grande ricostruzione storica in cui mancano quasi del tutto le vere ragioni che segnarono il dramma della presidenza Kennedy e che qui sono solo sommariamente accennate in alcune battute messe in bocca al fratello Robert (1925 – 1968), anche lui vittima, alcuni anni dopo, di un omicidio non meno misterioso mentre si apprestava a correre per la Presidenza degli Stati Uniti. In altre parole un buon film commerciale che non mette realmente in discussione nessuna delle cose che già conosciamo.
The journey 2The Journey (Il viaggio) di Nick Hamm, visto fuori concorso, racconta un fatto storico che potrebbe essere successo, ma di cui non esiste alcuna testimonianza. Nel 1998 si tennero in Scozia quelli che passarono alle cronache come i Belfast Agreement, vale a dire le trattative tra protestanti unionisti e cattolici repubblicani per dare fine alla lunga guerra che aveva insanguinato l’Irlanda del Nord dalla fine degli anni sessanta agli anni novanta. All’interno di questa fase negoziale il regista immagina che il capo dei protestanti, il pastore Ian Richard Kyle Paisley (1926 – 2014) che nel 1988 durante la di papa Giovanni Paolo II al parlamento europeo definì il Pontefice l’Anticristo, abbia fatto un viaggio in auto e aereo assieme al leader della delegazione cattolica Martin McGuinness (1950). Durante questo percorso immaginario, occhiutamente spiato da i servizi inglesi, i due nemici scoprirono non pochi tratti in comune e questo li portò a siglare il documento finale che prevedeva un governo del Nord Irlanda con primo ministro il leader religioso e vicepremier il capo cattolico. Il film è girato in maniera straordinaria e interpretato, da Freddie Highmore e Toby Stephens, in modo che sublime è dir poco.


Rai 1Andrej Končalovskij (1937) è il fratello maggiore del più noto e meno dotato regista russo Nikita Michalkov (Il sole ingannatore - Утомлённые солнцем, 1994 e Il sole ingannatore 2 - Utomlyonnye solntsem 2, 2010). Il lavoro di questo cineasta è sempre stato apprezzato dalla critica anche dopo il suo sbarco a Hollywood, ove firmò testi psicologici (Maria's Lovers, 1984), film d’azione (A 30 secondi dalla fine - Runaway Train, 1985),  e ricostruzioni ambientali di grande valore politico (Le notti bianche di un postino - Belye noči počtal'ona Alekseja Trjapicyna, 2014). Rai (Paradiso) è tra i suoi film più riusciti e forti. Tre morti raccontano le loro storie che ruotano attorno al nazismo e allo sterminio degli ebrei. Il primo è un funzionario di polizia che ha aderito al governo filonazista di Vichy, assiste alle torture dei sospetti di complicità con la Resistenza, vive una tranquilla esistenza borghese, anche se non disdegna di approfittare sessualmente di una russa accusata di aver nascosto alcuni bambini ebrei. Sarà giustiziato, davanti al figlioletto, dai partigiani. La seconda è la donna oggetto delle attenzioni del funzionario. Spedita in un campo di sterminio, sopravvive a stento sino a che un ufficiale inviato personalmente da Heinrich Himmler (1900 – 1945) per un controllo  anti - ruberie scopre in lei una sua antica fiamma, la fa diventare la sua cameriera e sarebbe anche disposto a farla scappare in Svizzera se lei non preferisse salvare la vita ad un’altra detenuta che le permette di avere cura di due piccoli ebrei, gli stessi che lei aveva già salvato in Francia. Il terzo morto che si affaccia sullo schermo per raccontarci la sua storia è l’ufficiale tedesco, un nobile che ha abbracciato nazismo e carriera militare segnando un paradiso perfetto e depurato da ogni male. Si lascerà morire sotto le bombe dei russi, piuttosto che cercare scampo in un mondo privo degli ideali nazisti. È un ritratto terribile e feroce della ferocia umana, un quadro privo di giustificazioni a fronte di un’esplosione di cattiveria che non risparmia nessuno, non i bambini, né le donne o i vecchi.
QuestiGiorni 1Questi giorni di Giuseppe Piccioni è stato il terzo e ultimo titolo della pattuglia nazionale presente al concorso veneziano. Il regista racconta l’amicizia e i problemi di quattro giovani donne che devono affrontare in varia misura il rapporto con la vita. Tre amiche si mettono in viaggio verso Belgrado per accompagnare Caterina, che ha trovato un lavoro da cameriera in un albergo di lusso e spera, in questo modo, di tacitare la sua passione per l’amica Liliana. Quest’ultima ha appena scoperto di dover lottare con un tumore. C’è la ragazza che incinta che ha deciso di tenere il bimbo, ma non è affatto sicura del suo compagno, C’è quella apparentemente più solida delle altre, ma che si rivelerà non meno fragile di loro. È il ritratto di un’intera generazione di ventenni alle prese con le scelte imposte dall’ingresso in una vita che non offre più sicuri punto d’appoggio. Il film racconta bene queste incertezze, anche se patisce di un eccesso di lunghezza e non evita le trappole di una certa ripetitività. Il punto maggiormente dolente, poi, è nella mancanza di una qualsiasi connotazione di queste figure femminili che appaiono sbandate per fragilità personale, più che essere figlie di precise situazioni sociali. Certamente questo è il migliore titolo fra quelli nazionali passati sugli schermi del Lido, ma è non certo un’opera memorabile.  


indexAng Babaeng Humayo (La donna che ha lasciato) del prolifico regista filippino Lav Diaz racconta, in un bianco e nero appena appena virato e con un ritmo narrativo disteso, la storia di Horacia Somorostro che ha passato trent’anni in prigione incolpata di un crimine che non ha commesso. Quando la sua innocenza è finalmente accertata – è stato un suo potente ex fidanzato a ordire una trama che la faceva sembrate colpevole – ritorna nella provincia di Mindoro, la stessa da cui proviene l’attrice principale del film Charo Santos-Concio, per organizzare la vendetta. La farà per lei un travestito che l’ex – detenuta ha raccolto sanguinante dopo una feroce aggressione omofoba. Il regista ama le narrazioni distese: al Festival di Berlino ha presentato un film (Hele sa hiwagang hapisUna ninnananna per un mistero doloroso) che durava più di otto ore, Mula sa kung ano ang noon (Ciò che è davanti) – vincitore a Locarno 2014 – era lungo cinque ore e mezzo, mentre Kagadanan sa banwaan ning mga engkanto (Morte nella terra di Encantos), visto a Venezia nella sezione Orizzonti della mostra del 2007 si sviluppava per ben nove ore. Con questi precedenti non meraviglia che questo film duri tre ore e quaranta minuti durante i quali scorrono sullo schermo, i triboli di quest’insegnante attenta alle esigenze degli umili, ma non meno ferma del perseguire un suo ideale di giustizia con l’obiettivo di riconciliarsi con figlio e figlia, anche se quest’ultima non è mai andata a trovarla mentre era in prigione e l’altro è scomparso da tempo e lei non riuscirà a ritrovato. È un’opera di grandissima forza, che avvince lo spettatore dal primo all’ultimo minuto raccontando una storia personale che è la metafora della miseria e della condizione terribile delle plebi di questo paese.
On the Milky Road 1Emir Kusturica ha debuttato con grande successo proprio a Venezia trentacinque anni or sono. Era il 1981, lui stava facendo il servizio militare, la Iugoslavia era ancora un paese unito e il film che portava la sua firma s’intitolava Sjecas li se Dolly Bell? (Ti ricordi di Dolly Bell?). La sua ultima fatica s’intitola Na mliječ putu (Sulla Via Lattea) ed è una sorta di summa del cinema di questo autore. La storia parte dagli ultimi giorni della guerra sul territorio della ex Iugoslavia e i combattimenti vanno avanti, feroci ma secondo una sorta di prassi stabilita da tempo. Arriva la pace e con essa un gruppo di mercenari piombati dal cielo alla ricerca di un’italiana, la nostra Monica Bellucci, che ha avuto l’ardire di accusare il marito, un potente gerarca che vive a Londra, di un omicidio. Ora il criminale è uscito di prigione (c’è un parallelo evidente fra fine degli scontri e ritorno alla normalità delinquenziale) e vuole vendicarsi. La donna si è innamorata di uno dei combattenti, interpretato dal regista stesso, contendendolo ad una ragazza del posto, sorella di un militare crudele e dalle maniere decisamente spicce. Al momento delle nozze, forzate, arrivano alcuni mercenari nerovestiti inviati dal potente che vive in Gran Bretagna e compiono un massacro ancor più crudele di quelli che quelle terre hanno visto sino a poche settimane prima. L’italiana e il suo innamorato sopravvivono e s’imbarcano in una difficile fuga con i mercenari alle calcagna. Dopo alterne vicende la donna morirà dilaniata da una mina, mentre l’uomo sopravvivrà. Sono passati molti anno ora lui si è fatto prete e sta ricoprendo di pietra i campi minati per renderli inoffensivi. Il film allinea quasi tutti gli stilemi cari a quest’autore, dalla mescolanza fra tragedia ed ironia, al ruolo quasi umano degli animali a cui è assegnato un peso fondamentale nell’economia del racconto. Sarebbe ingeneroso valutare negativamente il film, ma non ci si può esimere dal constatare come il cineasta copi sé stesso, facendo ricorso a materiali, stilemi e temi che, se trentacinque anni or sono, avevano destato meraviglia e ammirazione, oggi appaiono datati.
  


imagePremi

LEONE D’ORO per il miglior film a:
ANG BABAENG HUMAYO (La donna che ha lasciato)
di Lav Diaz (Filippine)
 
LEONE D’ARGENTO - GRAN PREMIO DELLA GIURIA a:
NOCTURNAL ANIMALS (Animali notturni)
di Tom Ford (USA)
 
LEONE D’ARGENTO - PREMIO PER LA MIGLIORE REGIA ex-aequo a:
Andrei Konchalovsky
per il film RAI (Paradiso) (Federazione Russa, Germania)
Amat Escalante
per il film LA REGIÓN SALVAJE (La regione selvaggia)
(Messico, Danimarca, Francia, Germania, Norvegia, Svizzera)
 
COPPA VOLPI
per la migliore attrice a:
Emma Stone
nel film LA LA LAND di Damien Chazelle (USA)
 
COPPA VOLPI
per il miglior attore a:
Oscar Martínez
nel film EL CIUDADANO ILUSTRE (Il cittadino onorario) di Mariano Cohn e Gastón Duprat
(Argentina, Spagna)
 
PREMIO PER LA MIGLIORE SCENEGGIATURA a:
Noah Oppenheim
per il film JACKIE di Pablo Larraín (Regno Unito)
 
PREMIO SPECIALE DELLA GIURIA a:
THE BAD BATCH (Il lotto difettoso) di Ana Lily Amirpour (USA)
 
PREMIO MARCELLO MASTROIANNI
a una giovane attrice emergente a:
Paula Beer
nel film FRANTZ di François Ozon (Francia, Germania)


 LEONE DEL FUTURO


PREMIO VENEZIA OPERA PRIMA “LUIGI DE LAURENTIIS” a:
Akher Wahed Fina (L'ultimo di noi) di Ala Eddine Slim
(Tunisia, Qatar, E.A.U., Libano) presentatop dalla SETTIMANA INTERNAZIONALE DELLA CRITICA
nonché un premio di 100.000 USD, messi a disposizione da Filmauro di Aurelio e Luigi De Laurentiis, che saranno suddivisi in parti uguali tra il regista e il produttore.


PREMI ORIZZONTI


MIGLIOR FILM a:
LIBERAMI  di Federica Di Giacomo (Italia, Francia)
 
MIGLIORE REGIA a:
Fien Troch per HOME (Belgio)
 
PREMIO SPECIALE DELLA GIURIA ORIZZONTI a KOCA DÜNYA (Il mondo grande, grande) di Reha Erdem (Turchia)
 
PREMIO ORIZZONTI PER LA MIGLIORE ATTRICE a:
Ruth Díaz nel film TARDE PARA LA IRA  (E' tardi per la rabbia) di Raúl Arévalo (Spagna)
 
PREMIO ORIZZONTI PER IL MIGLIOR ATTORE a:
Nuno Lopes nel film  SÃO JORGE (San giorgio) di Marco Martins (Portogallo, Francia)
 
PREMIO ORIZZONTI PER LA MIGLIORE SCENEGGIATURA a:
KU QIAN (Denaro amaro) di Wang Bing (Francia, Hong Kong)
 
PREMIO ORIZZONTI PER IL MIGLIOR CORTOMETRAGGIO a:
LA VOZ PERDIDA (La voce perduta) di Marcelo Martinessi (Paraguay, Venezuela, Cuba)
 

VENICE SHORT FILM NOMINATION FOR THE EUROPEAN FILM AWARDS 2016 a:
AMALIMBO di Juan Pablo Libossart (Svezia, Estonia)
 
 
PREMIO VENEZIA CLASSICI PER IL MIGLIOR DOCUMENTARIO SUL CINEMA a:
LE CONCOURS (Il concorso) di Claire Simon (Francia)
 
PREMIO VENEZIA CLASSICI PER IL MIGLIOR FILM RESTAURATO a:
BREAK UP – L’UOMO DEI CINQUE PALLONI di Marco Ferreri (1963 e 1967, Italia, Francia)
 
LEONE D’ORO ALLA CARRIERA 2016 a:
JEAN-PAUL BELMONDO
JERZY SKOLIMOWSKI
 
JAEGER-LECOULTRE GLORY TO THE FILMMAKER AWARD 2016 a:
Amir Naderi
 
PERSOL TRIBUTE TO VISIONARY TALENT AWARD 2016 a:
Liev Schreiber
 
PREMIO L’ORÉAL PARIS PER IL CINEMA a:
Matilde Gioli