70ma Mostra Internazionale d'arte Cinematografica - Pagina 2

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70ma Mostra Internazionale d'arte Cinematografica
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Via Castellana BandieraLa sezione competitiva è stata aperta con uno dei tre film italiani che vi compaiono: Via Castellana Bandiera, opera prima della teatrante Emma Dante. Chi ha dimestichezza con la scena conosce questa attrice e drammaturga i cui lavori hanno ottenuto un ottimo successo e l’hanno collocata fra le figure d’avanguardia del palcoscenico italiano. Il suo mondo è segnato da forti passioni e da una rappresentazione non meno sanguigna del meridione e delle genti che lo abitano. Sono dati rintracciabili anche in questa sua prima regia cinematografica che ruota, apparentemente, attorno a un banale incidente di traffico. Nella periferia palermitana più degradata due automobili si trovano a fronteggiarsi muso contro muso. Le guidano due donne, un’albanese arrivata in Italia molti anni prima e una signora che, assieme alla compagna, sta andando a un matrimonio. La strada non concede spazi di manovra e una dovrà forzatamente retrocedere, ma entrambe sono parimenti cocciute e nessuna vuole cedere il passo all’altra così la via resta bloccata. Progressivamente la situazione si aggrava, nascono scommesse su chi retrocederà per prima, personaggi poco raccomandabili si affollano attorno alle due macchine. Solo la morte dell’albanese per cause naturali offrirà un momentaneo sbocco facendo precipitare i due veicoli in un dirupo e, con essi, l’intera gente del quartiere. La metafora è limpida anche perché, nel frattempo, la via si è magicamente allargata – è la trovata migliore del film – ma nessuna delle contendenti ne ha approfittato prese come erano nella sfida che le opponeva. Questo sottolinea, se ancora ce ne fosse bisogno, un rifiuto di piegarsi a un briciolo di compromesso sociale che causa la rovina di tutto e di tutti. Un discorso pregevole e lucidamente disperato – alla fine della contesa strada rimarrà desolatamente vuota – ma ha il difetto di cavalcare una visione negativamente manichea del sud e di chi vi vive. Stando alla regista e attrice sembra quasi che tutti, ma proprio tutti, siano brutti, sporchi e cattivi.  Una posizione che certo ha supporti non trascurabili, ma che qui marcia su un binario assolutista e vagamente intollerante. Come dire che, anche se ci sono abbondanti motivi per disperare, non mancano le ragioni per non fare di tutt’erba un fascio e distinguere fra chi si oppone al degrado generale e i molti che, invece, lo accettano o, peggio, lo sfruttano. Cinematograficamente parlando va dato atto alla regista di avere organizzato il racconto con grande abilità e non poche intuizioni, trasformando quello che sembrava un duello rusticano in una metafora sicuramente troppo ampia, ma non immotivata.
TracksCon il secondo film in competizione, invece, siamo piombati in pieno realismo. L’americano John Curran ha tratto Tracks (Tracce) dalla vera storia di Rubyn Davidson, una giovane australiana che nel 1977 ha attraversato in solitario una fetta del continente muovendo da Alice Springs per arrivare sulle spiagge dell’Oceano Indiano. Era sponsorizzata dalla rivista National Geographic e aveva con sé solo una cagna e una mini carovana composta da quattro cammelli. Percorse duemilasettecento chilometri, affrontò la diffidenza dei nativi e lo scetticismo dei discendenti dei coloni, superò grandi difficoltà, patì la sete e il caldo, ma attivò all’Oceano. Un’odissea che il regista ricostruisce con grande abilità, punteggiandola di riferimenti al clima culturale del tempo. Un buon film, ma del tutto privo di originalità. Certo l’interpretazione di Mia Wasikowska è di grande forza e professionalità e fra i premi in palio c’è anche una Coppa Volpi riservata alla miglior attrice. Tolto questo altre ragioni di interesse non se ne vedono.
28SIC-CLASS ENEMY-05-Copyright Triglav film 2013La Settimana della critica ha presentato Razredni sovražnik (Nemico di classe), opera prima del regista sloveno Rok Biček, un film girato quasi per intero fra le mura di un istituto scolastico, in particolare durante le lezioni di tedesco in una classe dell’ultimo corso. L’arrivo di un nuovo professore, grande estimatore di Thomas Mann (1875 – 1955), in supplenza di un’insegnate che va in maternità, scatena una crescente ribellione. Il nuovo venuto respinge i metodi tolleranti e un po’ menefreghisti di chi lo ha preceduto, impone una disciplina vecchia maniera e mira a suscitare negli studenti un preciso senso di responsabilità. Il suicidio di un’allieva poco dopo essere uscita in lacrime da un colloquio con il nuovo docente, in realtà turbata da traumi ben più complessi a livello sia personale sia familiare, spinge gli altri alunni a inscenare una vera e propria campagna contro il nuovo venuto, accusandolo di essere un nazista e un autoritario insensibile. Ci saranno molte incomprensioni e ci vorrà del tempo affinché le cose si chiariscano e le due parti si capiscano. E’ un film costruito con grande professionalità, interpretato da attori - giovani e meno giovani - molto bravi, diretto con mano ferma da un esordiente che dimostra di disporre di un consistente bagaglio professionale. In altre parole, un film solido e di ottimo impatto. Qualche dubbio, invece, sulla lettura simbolica che alcuni hanno voluto farne vedendovi una sorta di metafora di una Slovenia incapace di fare i conti con se stessa, refrattaria all’autorità e allo stesso tempo intollerante rispetto ai diversi. Molto più convincente un approccio diretto ai temi dell’educazione e della funzione della scuola, argomenti che, qui come altrove, suscitano accesi dibattiti.