Festival di Cannes 2005 - Pagina 8

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Festival di Cannes 2005
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Un Certain Regard
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Varie cose
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Sul versante del cinema tedesco Falscher Bekenner (Basso profilo) di Christoph Hochhausler c’è la conferma dell’interesse per i problemi sociali, unito ad una scarsa capacità d’affrontarli in modo davvero originale. Qui si parla di adolescenti disadattati e preda di un malessere indicibile che li rode e spinge sino alla delinquenza o al delitto. Un ragazzino di buona famiglia, ma del tutto incapace di inserirsi correttamente nella società, arriva sino a darsi a praticare il sesso orale – pare intendere senza neppure un corrispettivo in denaro – a beneficio dei motociclisti che circolano in una vicina autostrada. Uno spiraglio sembra arrivare dall’innamoramento con una giovane conosciuta casualmente, ma anche questo barlume si spegne, quando scopre che la ragazza è già fidanzata. Roso dalla gelosia e dal proprio disadattamento arriva al delitto. Il giovane attore al centro del film regge bene la parte, ma il personaggio che sceneggiatura e regia gli fanno indossare è appesantito da troppa prevedibilità e già visto. E' un film senza infamia e senza noia, ma scompare subito nel lago delle decine d’opere viste prima, con gli stessi temi e, quasi, le medesime figura.
Valutazione analoga per Schläfer (L’agente in sonno) del tedesco Benjamin Heisenberg racconta, nella sostanza, una storia d’amore a tre, con due ricercatori dell’Università di Monaco che si contendono una bella cameriera. Del tutto pretestuoso appare, invece la grossa macchinazione antirepressiva sbandierata all’inizio e alla fine: uno dei due è un professore arabo sospettato di complicità con gli estremisti islamici. È un film piatto, banale privo di qualsiasi originalità stilistica e, nella sostanza, sottilmente ipocrita.
In modo molto simile l'islandese Dagur Kàri ha confezionato, con Voksne Mennesker (Il cavallo nero) il classico film pseudo sperimentale e pseudo indipendente, ricco d’immagini sgranate in bianco e nero virato, personaggi strani, sbeffeggiamenti alle autorità e via dicendo. Un repertorio visto molte volte e ben poco originale. La storia è quella di un giovane ribelle che mette incinta una ragazza con tendenze allo sballo. Inizialmente fugge dalla e responsabilità, poi ritorna e mette su una bella famigliola. Unica nota divertente, ma sino ad un certo punto, un personaggio di contorno, grassissimo, che vuole fare a tutti i costi, l’arbitro di calcio, tanto che gira sempre in divisa da gara. E’ un film bizzarro, ma inutile.
America Latina
Il cinema dell’America Latina sta mostrando particolare vivacità in due zone: Messico e Brasile. Così è stato anche in questa edizione del Festival. Sangre del messicano Amat Escalante è il ritratto di un impiegatuccio ministeriale assillato da una seconda moglie vogliosa e travagliato dal rimorso di aver abbandonato la giovane figlia, finita nel giro della droga. E’ uno di quei film in cui accadono poche cose, dominano i silenzi e i personaggi stanno spesso zitti. Questo grumo d’inattività e silenzio organizzato costruiscono meglio di molte parole la dimensione vuota e terribile di un’esistenza che va alla deriva senza alcuna speranza. Un film non grandissimo, ma segnato da striature d’originalità e precorso da un autentico dolore.
Citade Baixa (Città bassa) del brasiliano Sérgio Machado racconta un triangolo amoroso tra una spogliarellista e due uomini, un bianco e un nero, proprietari di un battello da carico. Lo sfondo è quello dei quartieri malfamati di Bahia, in particolare le stanze di un night club d’infimo ordine che funziona da anticamera per il bordello soprastante. Atmosfera sordida e violenta, per una storia d’amore in cui nessuno riesce a vivere senza gli altri, ma non accetta neppure di condividere lo stesso oggetto d’amore. Ci sono molte cose già viste, nell’ambientazione e nelle situazioni. La fotografia cita ampiamente altri esempi di cinema latinoamericano, fra lo sperimentale e il documentaristico. Difetti che non compromettono in modo irreparabile il bilancio di un film passionale e sincero.
Cinema, Aspirinas e Ururus (Cinema, Aspirina e avvoltoi) di un altro brasiliano, Marcelo Gomes, è ambientato nel deserto del serto nei mesi in cui il governo di Rio, 1942, decide si entrare in guerra al fianco degli Stati Uniti, contro la Germania hitleriana. Un giovane tedesco, arrivato lì proprio per sfuggire all’arruolamento, percorre quelle lande inospitali vendendo Aspirina e proiettando un documentario propagandistico su quel farmaco miracoloso. Lo aiuta un poveraccio del luogo, assoldato per occasione. Improvvisamente arriva l’ordine di scegliere fra rientrare in patria o essere internato. Lui decide di bruciare i documenti e partire per l'Amazzionia. Una fuga che è un netto rifiuto della carneficina che si sta consumando nel mondo. Il film è piacevole, abbastanza ben costruito, ma poco di più. Sin dalle prime immagini – solarizzate e artificialmente invecchiate – s’intuisce dove il regista vuole andare e lo sviluppo della storia non fa che confermate le previsioni.