24 Maggio 2005
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Free Zone (Zona franca), dAmos Gitai, riconferma la tendenza di questo regista ad affrontare i nodi della storia israeliana ricorrendo ad eventi simbolici, fatti quotidiani che diventano metafore di una realtà complessa e quasi inestricabile. Qui sono tre donne che sincontrano per affari o in seguito ad una rottura sentimentale a rappresentare la litigiosità israleo palestinese e limpotenza disinteresse degli altri, USA in testa, a voler arrestare una carneficina che dura da oltre cinquanta anni. Rebecca è unamericana che vive a Gerusalemme, rompe con il fidanzato e vuole abbandonare il paese. Hanna è unisraeliana che guida grossi taxi e deve andare in Giordania per recuperare 30.000 dollari, dovuti a lei e al marito, da un socio in affari. Leila è una palestinese che vive nella zona franca giordana e che dovrebbe, teoricamente, consegnare a Hanna i soldi che le vengono. Il film è in questo lungo viaggio, nelle chiacchiere che nascondono odi e incomprensioni, nella petulanza dellamericana a cercare ad ogni occasione risposte giuste e umanitarie. Il film termina in modo chiaramente simbolico, mentre lisraeliana e la palestinese ingaggiano un lunghissimo litigio, Rebecca fugge verso il confine, vanamente inseguita dai militari israeliani. La guerra continua e gli altri scappano via. Il film è girato, comè nello stile di questautore, con lunghi primi piani il cui senso sarà chiaro solo alla fine. Ancora una volta unopera che raffina e conferma una posizione estetica già nota: bella, ma poco originale.
Dont Come Knocking (Non venire a bussare) di Wim Wenders si muove sulla linea degli altri autori importanti, visti in concorso. Lo fa nel senso che firma unopera professionalmente dignitosa e abbastanza ben costruita, ma priva di qualsiasi nota dautentica originalità e, per giunta, guastata dallinterpretazione del romanziere e co soggettista Sam Shepard. La storia, troppo allungata, è quella di un attore sulla via del declino che fugge dal set dellwestern in cui è impegnato, collocato a Moab, una sorta di copia della celeberrima Monument Valley. Si lascia tutto alle spalle e si rifugia nella casa di sua madre, che non vede da trentanni. Qui scopre che, una ventina danni prima, una donna, con cui aveva avuto una relazione, lo aveva cercato per fargli sapere che stava per dare alla luce suo figlio. Partendo dalle poche tracce di cui dispone la rintraccia, ormai signora di mezza età, e scopre che di figli non ne ha uno, ma due. Mentre accade tutto questo, un agente della compagnia dassicurazioni, che ha garantito il buon fine del film, gli dà la caccia, lo ritrova e lo riporta sul set. Tutto continua come se nulla fosse accaduto. Lasse dellopera dovrebbe essere quello delle origini perdute, dei rapporti di parentela allentati, del mondo diventato una disumana macchina da soldi. Dovrebbe essere, ma il risultato stilistico è modesto, la storia arranca con troppe digressioni, linterprete principale è troppo impegnato a riflettere sul proprio ombellico per curarsi di fare gioco di squadra per la riuscita del film.
Keuk Jang Jeon (Racconto di cinema) del sudcoreano Hong Sangsoo appartiene a quella categoria di film orientali che offrono allo spettatore tante chiavi di lettura da risultare misteriosi. La storia si divide, apparentemente, in due capitoli. Nel primo un giovane, con tendenze suicidatarie, incontra una ragazza e la convince ad uccidersi con lui. Al momento fatale lei si ribella e finisce in ospedale. Lui contribuisce a salvarla, poi torna a casa ove sua madre lo aggredisce verbalmente. Lultima immagine, lo mostra sul cornicione di casa. Salterà o si ritirerà ancora una volta? Il secondo episodio ha al centro un regista velleitario e squattrinato che incontra unattrice di successo ad una retrospettiva in cui è presentato il film che racconta il primo episodio. Le dice di amarla, si fa dare del denaro e la disgusta definitivamente (o forse no). Lintreccio dei piani narrativi è così stretto che lo stesso regista, nel presentare il film, suggerisce almeno tre possibili letture. Alla resa dei conti, oltre le immagini bellissime e lintreccio millimetrico delle storie, emerge un senso di meccanicità e di lavoro puramente di testa, che gela lintera proposta.
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