Mostra di Venezia 2005 - Pagina 7

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Mostra di Venezia 2005
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IX giornata
Alla fine arriva il dolce.
Il programma della Mostra macina gli ultimi titoli presentando le opere che, quantomeno a giudizio dei selezionatori, meritano la maggiore attenzione. Si sono visti, in particolare, due film diversissimi per stile ma uniti dalla scelta di rappresentare un ampio arco di grandi eventi storici filtrati attraverso le vicende personali dei protagonisti. Garpastum (nome di un gioco con la palla di cui si ha notizia sin dai tempi dell’antica Roma) del russo Alexey German jr. è ambientato negli anni che vanno dal 1914 al 1918, dallo scoppio della Prima Guerre Mondiale alla rivoluzione russa. Tutto questo è visto attraverso ciò che accade a due fratelli, fanatici del gioco del calcio. E’ questo un male di famiglia, visto che il loro padre aveva perso l’intero patrimonio scommettendo sulla squadra russa, che perse, nelle Olimpiadi di Stoccolma del 1912, per ben 12 a 0 contro la rappresentativa tedesca. Mentre il mondo va in fiamme, imperi centenari crollano e le rivoluzioni si susseguono i due giovani e tre amici passano il tempo giocando a calcio per soldi. Il loro sogno è mettere assieme i rubli necessari a comprare un terreno su cui costruire un vero campo di calcio. Tutto attorno vivono vari personaggi minori che incarnano, anch’essi, esistenze spezzate da ciò che capita fuori. Il film è girato in un bianco e nero virato seppia secondo una tradizione espressiva consolidata della cinematografia leningradese, pardon sanpietroburghese. E' un'operazione interessante, anche se eccessivamente lunga e stilisticamente adagiata su un ritmo che soffre ripetizioni e lentezze. Changhen ge (Canto dell’eterno rimpianto) dell’hongkonghese Stanley Kwan segue la stessa strada del film russo, raccontando il percorso esistenziale di una donna di Shanghai, vincitrice di un concorso di bellezza nel 1987 e uccisa da un ex - amante nel 1981. E’ un lasso di tempo in cui si susseguono grandi eventi che vanno dalla fine dei traffici che pullulavano nella grande città alla presa del potere da parte dell’armata maoista, dalla Rivoluzione Culturale al matrimonio fra dirigismo politico e liberalismo economico sfrenato. Tutto avviene sullo sfondo, mentre sono le esistenze della protagonista, degli amici e dei compagni di vita a risultarne profondamente turbate e drammaticamente plasmate. E’ una grande quadro storico, ma è anche uno straordinario ritratto femminile e un ampio disegno della diaspora cinese vista dall’interno. Anche la Settimana Internazionale della Critica ha presentato un film cinese che segue, a grandi linee, il medesimo percorso. Kuihua Duoduo (I girasoli) di Wang Baomin racconta il ritorno al villaggio natale di un giovane che ha trascorso sei anni in prigione per aver stuprato una studentessa. Durante la sua assenza tutto è cambiato e le tre figure che spesso s’incontrano nello sviluppo del film – l'ex detenuto, il cantante di strada e il matto – rappresentano altrettante irregolarità di un sistema che mescola tradizionalismo, perbenismo e ricerca del successo economico. Il vero protagonista del film è una tensione sessuale diffusa e repressa che costituisce, pur nelle sue aberrazioni, l’unico dato umano di un mondo congelato nelle convenzioni e nelle convenienze. L’uso stesso del paesaggio - gli sterminati campi di girasoli che quasi simboleggiano un universo erotico teso, ma non soddisfatto - rientra in quest’immagine ad un tempo claustrofobia e rivoltosa. Si è visto anche il secondo film italiano in concorso: La bestia nel cuore che Cristina Comencini ha tratto da un suo romanzo. Una giovane doppiatrice convive con un attore chiamato ad interpretare una fortunata serie televisiva. E’ turbata nell’animo da qualche cosa che le è accaduto da bambina. Quando, grazie al fratello, da tempo emigrato negli Stati Uniti, scopre che il loro padre li molestava sessualmente, subisce un trauma che pensa risolutivo, anche perché, nel frattempo è rimasta incinta. Arriverà alla pace della coscienza solo dopo un travaglio difficile, che si accompagna a quello naturale, e in cui hanno ruolo anche un’amica cieca lesbica, una donna abbandonata dal marito che trova nell’amore saffico un sicuro porto e un regista che ha umiliato il suo genio lavorando a banali prodotti televisivi. Il film è ricco, troppo ricco di temi e personaggi e ruota attorno all’asse caro a questa regista: l’interno familiare visto come un inferno muto e straziante. E' troppo ingarbugliato per essere davvero un bel film, poco lineare per affrontare e risolvere un solo tema.