Mostra di Venezia 2005 - Pagina 4

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Mostra di Venezia 2005
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V e VI giornata
Il fine settimana non porta bene.
Gli organizzatori dei festival sono usi inserire nei fine settimana le opere che ritengono più importanti o in grado che attrarre il maggior pubblico. La Mostra del Cinema ha messo in cartellone durante il week end, per quanto riguarda il concorso, quattro titoli, uno solo dei quali veramente degno di nota. Hanno deluso Terry Gilliam, il cui The Brothers Grimm (I fratelli Grimm) inanella, in chiave quasi horror, personaggi e situazioni tratte dalle fiabe dei due celebri scrittori. Non è andato meglio il francese Patrice Chéreau che ha trasferito sullo schermo il racconto di Joseph Conrad (1857 -1924) Il ritorno trasformandolo in un film (Gabrielle) cupo, dalle immagini buie e in cui il dramma di un ricco borghese tradito dalla moglie, che gli getta in faccia il suo non amore, diventa il pretesto per splendidi saggi di recitazione (Isabelle Huppert e Pascal Greggory), quasi persi in un vuoto tematico pressoché totale. Qualche cosa di simile avviene anche in Proof (Dimostrazione) di John Madden in cui la figlia di un famoso matematico, che da anni è preda della demenza, scopre la soluzione di un difficilissimo teorema, ma amante e sorella pensano che in realtà sia stato il padre a risolvere il problema. Gwyneth Paltrow dà il meglio di se, ma il film non va oltre un pregevole ritratto psicologico legato ad un difficile rapporto generazionale. L’unica vera, piacevole sorpresa l’ha dato Krzysztof Zanussi con Persona non grata. Il regista polacco, le cui ultime prove n’avevano alquanto appannato la fama, ritorna sul tema della morte e la fede, non trascurando uno sguardo sferzante e lucidissimo sui guasti morali suscitati dalla società al potere dopo la fine del comunismo. L’ambasciatore polacco in Uruguay rimane vedovo e ed è ossessionato dal dubbio che la moglie abbia avuto, anni prima, una relazione con un diplomatico russo, ora vice ministro degli esteri di quel paese. E’ un film psicologicamente profondo che riflette dolorosamente sullo scorrere degli anni, l’avvicinarsi della morte, il dolore incolmabile per la scomparsa della persona a cui si è legata la vita. Una fotografia netta ed efficacissima accompagna recitazioni di grande forza. Interessanti anche due film americani, presentati fuori concorso, che presto troveremo sugli schermi commerciali. Elizabethtown di Cameron Crowe è una commedia con sfumature nere che ruota attorno ad un progettista di scarpe la cui ultima invenzione sembra andare in contro ad un gigantesco fallimento. Quando sta per suicidarsi, riceve la notizia della morte del padre e deve partire per organizzarne i funerali. Fra una battuta e una situazione esilarante o demenziale incontra l’amore, ritorna in auge per l’improvviso successo della sua creatura e riacquista sorriso e fiducia. Una commedia in puro stile hollywoodiano, molto ben fatta e scorrevole. Stesse doti, ma girate sul versante della biografia drammatica, per Cinderella Man (L’uomo Cenerentola) che Ron Howard ha dedicato al pugile Jim Braddock che conquistò il titolo dei pesi massimi risalendo sul ring dopo essere precipitato in miseria durante la crisi del 1929. Bel testo spettacolare, ma modestamente interpretato e destinato ad un sicuro successo di cassetta. La settimana della Critica ha presentato Yadasht bar zamin (Tracce sulla terra) dell’iraniano Ali Mohammad Gasami, storia di un poveraccio che uccide i bambini, dopo che sua moglie ne ha partorito una bimba morta, convinto che sia stato Dio ad ordinarglielo. E’ un film incubico in cui è possibile leggere un vasto ventaglio di suggestioni. La prima è, sicuramente, quella del fanatismo religioso, ma non sono meno presenti il disagio e la disperazione per condizioni – umane e sociali – quasi insopportabili. Il pericolo è quello che la forma espressiva prenda il sopravvento sui materiali trasformando l’intera proposta in un esercizio di stile quasi del tutto staccato dai possibili significati. Spinge in questa direzione un’eccessiva insistenza sulla follia del protagonista in uno con l’uso esasperato di grandangoli e soggettive varie. L’abbandono del realismo tipico della maggior parte della cinematografia iraniana è un dato positivo, ma qui si ha come la sensazione di uno sbandamento in senso inverso.