Antalya Film Festival 2009 - Pagina 6

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Antalya Film Festival 2009
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Dalle 10 alle 11
Dalle 10 alle 11

 

11’ e 10 kala (Dalle 10 alle 11) di Pelin Esmer è un bel ritratto della solitudine di un anziano collezionista che vive in un grande appartamento di un immobile vetusto. Dal 1950 raccoglie minuziosamente tutto ciò che ha attraversato la sua esistenza: giornali, oggetti rigorosamente etichettati, registrazioni di trasmissioni radio, piccole cose dalla vita di tutti i giorni. Ha riempito l’appartamento sino all’inverosimile, suscitando le ire dei vicini che temono crolli e incendi, anche se lui, ingegnere elettronico, ha fatto calcolare la portata del peso che ogni metro quadrato del pavimento può sopportare. L’unico con cui ha un rapporto normale è il portiere che gli fa piccole commissioni e lentamente lo deruba di alcuni libri e oggetti di valore sommersi da quest’enorme ammasso carte. Le cose precipitano quando una società immobiliare mette gli occhi sul terreno su cui sorge la vecchia casa, compera tutti gli appartamenti, tranne quello dell’anziano che tenta di sfrattare con ogni pretesto. Alla fine anche il portinaio andrà, via verso un impiego pubblico, ma gli lascerà l’introvabile undicesimo volume dell’enciclopedia di Istanbul, che il vecchio aveva cercato per tutta la vita e che l’ex- portinaio ha rubato all’antiquario cui ha venduto i libri e gli oggetti sottratti al collezionista. Racconta in questo modo sembra una piccola storia ed è merito del regista averla mantenuta in questi termini, nello stesso tempo riempiendola di significati di secondo livello che vanno dal rapporto fra le generazioni, alla messa in discussione dei legami fra memoria e denaro, alle riflessioni sulla modernità. E un film lineare e denso di significati, semplice nella costruzione, ma di grande ricchezza.

 

40
40

 

Anche 40 di Emre Sahin è un testo a suo modo sorprendente, ma lo è in senso negativo. Il film racconta l’ennesima storia di un bottino che passa di mano in mano accompagnato da uccisioni, torture, delusioni e speranze, per finire nelle mani di una banda di bambini poveri dopo che tutti i precedenti protagonisti sono morti, rientrati nell‘ordine o emigrati. Una storia banale ammantata di modernità linguistica videoclippara con tanto di zoom improvvisi, salti narrativi, inquadrature inconsuete, ritmo forsennato. Il regista ha un’esperienza pubblicitaria acquisita negli Stati Uniti e la cosa si vede in ogni inquadratura. In poche parole un film che riveste con un florilegio di fuochi d’artificio un racconto banale e ben poco originale.

 

Invidia
Invidia

 

Kiskanmak (Invidia), ultima fatica di Zeki Demirkubuz, era particolarmente atteso e non ha deluso. Il regista conferma la sua passione per la grande letteratura, in particolare per Fëdor Michajlovič Dostoevskij (1821 – 1881) il cui Delitto e castigo (Prestuplenie i nakazanie, 1866) compare più volte fra le mani della protagonista del film. Lo spunto, questa volta, viene da un classico della letteratura turca: 1930 di Nahit Sirri Örik (1985 - 1960) in cui si racconta l’amara vendetta che Seniha compie nei confronti del fratello e della cognata. La donna ha amato, quando era giovane, un ragazzo che l’ha abbandonata lasciandola alle cure pelose e autoritarie dei familiari. Suo fratello, in particolare, si è distinto per comandi e restrizioni. Ora lui lavora come ingegnere minerario a Zanguldak, una città situata nel nord della Turchia, in cui ha trascinato la giovane moglie Mükerrem e sorella. Durante una festa per la celebrazione della repubblica, siamo nel 1930, Mükerrem inizia una relazione con il figlio del maggiorente locale, tresca che si trasforma presto in torrida passione da parte della donna. Seniha scopre l’adulterio e lo usa per istigare il fratello, che uccide il rivale e subisce una pesante condanna. In questo modo lei consuma una doppia vendetta: verso il parente autoritario e la cognata giovane e bella. Solo che ora le resta, e rimarrà per il resto della vita, l’invidia per chi ha conosciuto e praticato un amore pieno e passionale. Il film raduna tutti i temi tipici di quest’autore: la letterarietà, l’accuratezza nelle ricostruzioni ambientali, il gusto per lo scandaglio psicologico, la diffidenza verso le donne, la capacità di tradurre storie apparentemente personali e non prive di spunti melodrammatici in ritratti di epoche, costumi e mentalità ben precise. E’ un film solido costruito in maniera impeccabile, di grande complessità. Forse il testo migliore di quest’autore, sicuramente il più bel film visto al festival.