04 Ottobre 2009
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42º Sitges Festival Internacional de Cinema de Catalunya 2009 |
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a cura di Renzo Fegatelli.
sito web: www.sitgesfilmfestival.com
La piú grande festa di cinema fantastico celebra 42 anni a Sitges col sostegno del governo della Catalogna. Non cé altra cittá al mondo come questa, di stile modernista in riva al mare a sud di Barcellona, che offra 24 film al giorno. Fantasy, horror, suspense, terrore, animazione, film noir i generi dominanti che richiamano professionisti da tutto il mondo, in particolare americani, giapponesi e sudcoreani. Apertosi con Rec 2, passato alla Mostra di Venezia, il Festival ha proposto linteressante debutto di un altro regista spagnolo, Gabe Ibañez, col film Hierro. In vacanza in una delle isole piú spedute delle Canarie, El Hierro, una giovane madre perde le tracce del figlio di 5 anni, Diego.
Sei mesi dopo le autoritá del luogo le comunicano il ritrovamento del corpo di un bambino. Giunta sullisola scopre non trattarsi di suo figlio, ma le viene chiesto di restare un paio di giorni per adempiere alcune formalitá. Isola vulcanica, particolarmente grigia e ventosa fuori stagione, Hierro spinge la donna alla ricerca di Diego perché ha il presentimento che sia stato rapito. Dopo indagini azzardate e pericolose, scopre una pista. Interpretato con molta grinta da Elena Anaya, ripresa in quasi tutte le scene, questo thriller psicologico coglie nella prima parte atmosfere e panorami dellisola. Nella seconda si concentra sulla ricerca di Diego, col ritratto di una madre al limite della follia e con lintensificarsi di suspense e di colpi di scena.
Un esordio da tener presente, come avvenne tre anni fa con La caja Kovak (la scatola Kovak, 2006) dello spagnolo, Daniel Monzón, che torna a Sitges con Celda 211 (Cella 211). Thriller di genere carcerario, questo film presenta un microcosmo violento che sfocia in scontri crudeli quando i detenuti si rivoltano. Un agente, presentatosi per visitare il carcere dove il giorno seguente avrebbe dovuto prendere servizio, si trova al centro della mischia. Liberatosi dei documenti che potevano rivelare la sua identitá, si finge detenuto. Conquista la fiducia del capo dei rivoltosi, Malamadre, e lo aiuta a raggiungere un accordo coi dirigenti del carcere. Un criminale che ha fiutato in lui il poliziotto e che invidia il carisma di Malamadre, manda allaria lincontro. Nello stesso tempo sua moglie, incinta di sei mesi, accorsa alle porte del carcere per avere sue notizie, viene selvaggiamente picchiata da una guardia. Saltato laccordo di liberare quattro terroristi dellEta presi in ostaggio dai detenuti in cambio di migliori condizioni carcerarie, e avuta notizie delle pessime condizioni della moglie, il protagonista si unisce alla protesta. Interpretato da Luis Tosar e Alberto Ammann, il film assicura una suspense lunga 111 minuti.
Festival con 24 film in concorso nella sezione ufficiale, e sará difficile parlare di tutti, ha presentato anche un paio di film eccentrici giá passati a Cannes: il coreano Bak-jwi (Sete Questo è il mio sangue) di Park Chan-wook e il greco Kynodontas (Dente di cane) di Yorgos Lanthimos. Il primo presenta un sacerdote vampiro che agisce con una croce al collo e che si nutre soltanto del sangue dei cadaveri o di quello degli ospedali. Nel secondo, premiato a Cannes, un agiato padrepadrone ha trasformato la villa in fortezza dalla quale non lascia uscire né moglie né figli perché fuori cè un mondo selvaggio. Risultato: la vita concentrazionaria in villa induce alla follia.
Singolare il secondo film di Paul Solet, Grace (Grazia), prodotto da Usa e Canada. Non nuovo il tema: un neonato precoce invece di bere il latte della madre (Jordan Ladd) le azzanna le mammelle. Nuova è la maniera distesa secondo la quale si sviluppa la follia della puerpera dopo la morte del marito in un incidente dauto, assediata da una suocera aggressiva che vuol allevare il bambino quale risarcimento della morte del figlio. Matrona isterica, giudice di professione, la suocera agisce illegalmente, ma non ha fatto i conti con la latente follia della nuora, che una relazione lesbica interrotta dal matrimonio ha completamente isolato dal mondo. Dura 85 minuti.
Dieci minuti di piú dura la ricostruzione storico romantica di La comtesse, scritto, interpretato e diretto da Julie Delpy in una produzione francotedesca. La vicenda è quella della contessa ungherese Erzebet Bathory, passata alla storia per immergersi in bagni di sangue di ragazze vergini. La Delpy, invece, di questa nobile inizio XVII secolo, traccia un profilo sentimentale e romantico. Non quello di donna capricciosa e sadica, ma di una madre alla vigilia dei quarantanni che sinnamora di un nobile ventenne (Daniel Bruhl). Dopo una breve, ma intensa relazione, il giovane parte per ragioni di stato, si sposa e dimentica la contessa. Questa, che pensa di averlo perso per la differenza di etá, crede di ritrovare la fonte della giovinezza lavandosi col sangue di vergini adolescenti. E dá il via a una serie di omicidi che la condurranno in carcere e alla morte. A differenza della descrizione polifonica e variopinta del film di Juraj Jakubisko, Bathory (visto e recensito dal recente Festroia), il film della Delpy è incentrato sulla solitudine della contessa pur sostenendo la stessa tesi: non pagó per i delitti commessi, ma per essersi opposta a intrighi di potere.
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