51mo Karlovy Vary International Film Festival - Pagina 7

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51mo Karlovy Vary International Film Festival
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552-were-still-togetherWe’re Still Together (Siamo ancora insieme) del canadese Jesse Klein si svolge a Montreal in una notte d’estate. Un ragazzo decisamente sovrappeso, con un braccio fasciato e un uomo ancor giovane si incontrano quando un gruppo di teppistelli aggredisce il più che robusto Chris che avrebbe sicuramente la peggio se non venisse in suo aiuto uno sconosciuto che, sceso dall’auto, riduce a mal partito il capo degli aggressori. Salvatore e maltrattato si mettono assieme per un giro notturno nella città addormentata. Scopriamo così che il ragazzone ha problemi nei rapporti con le donne e il salvatore si rivela un padre separato che non ha ancora superato il dolore per essere stato privato della figlia. La notte passa fra bevute colossali, risse, nuotate nella piscina della ex-moglie dell’adulto, fumate di sostanze proibite, tentativi del più giovane di stabilire un rapporto con la giovane russa che lavora in una sorta di self service aperto sino a tarda notte. Dovrebbe essere il quadro di due condizioni disperate e solitarie, lo specchio di una malinconia che non conosce differenze d’età. Dovrebbe, ma il regista si innamora troppo della tecnica per scavare a fondo nella psicologia dei personaggi che sono più detti che raccontati. Si aggiunga che il film è stato presentato in versione non sottotitolata e che i dialoghi sono in un inglese e francese con accenti canadesi talmente particolari da mettere in difficoltà anche coloro che hanno come madrelingua quei due idiomi. In definitiva più un esercizio di virtuosismo stilistico che non un film complessivamente riuscito e funzionale a una qualche lettura sociale o psicologica dei personaggi.
014-its-not-the-time-of-my-lifeEnelláék Faraséknál (Non è il tempo della mia vita) porta la firma dell’ungherese Szaboics Hajdu, uno dei registi più considerati dell’ultima generazione di cineasti magiari. Sono autori che prestano una particolare attenzione alla forma del racconto e all’uso della cinepresa. In questo caso l’autore parte da una situazione classica già vista decine di volte: la riunione di un gruppo di persone per una manifestazione conviviale nella casa di una di loro. Che siano familiari o amici fa poca differenza e lo hanno dimostrato sia alcuni autori nordici come Thomas Vinterberg, regista di Riunione di famiglia (En Mand kommer hjem, 1977), Roman Polański che ha firmato nel 2011 Carnage, tratto dal testo teatrale Il dio del massacro della drammaturga francese Yasmina Reza, o, più recentemente, l’italiano Paolo Genovese che ha scritto e diretto Perfetti sconosciuti (2016). Nel film di cui stiamo parlando ad incontrarsi in un appartamento fra il sontuoso e il kitsch, sono le famiglie di due sorelle, con la prima che riceve la visita inaspettata della seconda emigrata in Scozia anni prima. Come è nella tradizione esplodono incomprensioni, qualche sorpresa, antipatie a lungo represse, mentre i giovani rampolli dell’uno e dell’altro nucleo hanno modo di sfogare rumorosamente la propria antipatia nei confronti dei genitori. Come si sul dire è un’opera in cui il lavoro degli attori ha un ruolo fondamentale unito all’abilità del regista di muovere la macchina da presa in uno spazio limitato. Abilità che abbondano nel film, ma che non sono sufficienti a collocarlo ad un alto livello di costruzione e invenzione cinematografiche.

(U.R.)

645-the-spy-and-the-poetAl secondo film l’estone Toomas Hussar conferma in maniera convincente la sua bravura. Anche la sua opera prima, Seenelkäik (Andare per funghi, 2012), era stato presentato a Karlovy Vary nella sezione East to West; ed era stato accolto con simpatia e piacere, considerato uno dei film migliori presenti in quell’edizione. Coinvolgimento sempre molto alto come altissimo era il divertimento. Raccontava di politico molto in vista che decide di andare in un bosco per raccogliere funghi con la moglie e per strada incontra un noto chitarrista a cui da un passaggio. Il musicista resta in auto, la coppia si perde nel bosco, si fa notte e, nonostante il cellulare, non riescono a farsi aiutare. Anche Luuraja ja luuletaja (La spia ed il poeta) conferma del regista il gusto per il thriller, il noir, la commedia divertente. Gioca con lo spettatore proponendogli una storia composita dove gli agenti segreti sembrano impiegati del ministero, in cui la bella fatale sogna di mettere su famiglia, e cosi via in un crescendo che ha un finale drammatico ma, se vogliamo, divertente perché crea un grave disagio ai buoni che si comportavano da cattivi. Una sera, Gustav, agente segreto e uomo solitario, salva all’uscita di un bar una donna che si rivela essere una esca dell'intelligence russa. Il gioco del gatto col topo diventa più complicato quando lui riceve l'ordine di soccombere al suo fascino. Tuttavia è difficile giocare col fuoco senza bruciarsi. Interpretato con bravura ed ironia dal trentanovenne attore e regista estone Rain Tolk, dimostra come un film possa essere intelligente senza essere intellettuale, divertente senza essere ridicolo ma anche drammatico senza mai sfiorare il melò.
546-vergeEşik (Dalla finestra), diretto dall’inedito duo composto dai non giovanissimi Ayhan Salar ed Erkan Tahhuşoğlu, è una produzione turco-tedesca e vuole essere un film sull’attesa, sulla vita cadenzata dai suoni provenienti dalla superstrada posta di fronte alla casa in cui si sviluppa quasi tutta la storia. Per un tempo apparentemente infinito la moglie, poi sostituita dalla figlia, è sempre alla finestra sperando che la vita offra un miracolo. Girato con professionalità, non riesce a coinvolgere in un crollo intellettuale che prima colpisce la giovane e poi il padre. E’ un dramma familiare, in cui il dolore nasce dall’immaginare mille possibili soluzioni a questo mistero senza sapere quale sia quella vera. L’uomo, forse, dopo una ventina di giorni passa davanti a casa e si ferma un attimo, ma non sale: potrebbe essere ritornato in azienda per lasciare il suo mezzo, ma in casa non lo vedranno mai più. Il camion sparisce con lui, come spariscono – o quasi – le speranze dei familiari di vederlo tornare. Il film dura poco più di ottanta minuti ma sembra molto più lungo. Manca l’emozione, il dramma o la rassegnazione. Gli attori sono bravini, la sceneggiatura è debole, la regia professionale ma incapace di raccontare davvero. Una giovane donna aspetta il ritorno del marito da uno dei suoi soliti viaggi di lavoro: è un camionista e questa volta deve stare lontano da casa due settimane. Lui tarda ad arrivare e, dopo la rabbia iniziale, lei inizia a preoccuparsi. L'appartamento vuoto diventa un labirinto di memoria e d’attesa, il silenzio è rotto solo dal rumore delle automobili che corrono fuori casa, ma nessuno annuncia l'arrivo del marito. La moglie scopre di essere incinta, passano gli anni e lei vive coi genitori e la madre che accudisce figlia e nipote: ma la scomparsa del camionista rimane sempre avvolta nel mistero, con ogni giorno uguale all’altro ma nell’impossibilità di non sperare nell’impossibile.

(F.F.)