51mo Karlovy Vary International Film Festival - Pagina 4

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51mo Karlovy Vary International Film Festival
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601-the-teacherUčitelka (Insegnante) del noto regista ceco Jan Hřebjk è un film solido, poco originale, ben costruito. Racconta, partendo dall’inizio degli anni ottanta e arrivando sino alla nascita della Repubblica Ceca post-realsocialista, la storia di un’insegnante di mezza età, propensa ad utilizzare la cattedra per servire il regime, quello al potere nel momento, e trarne vantaggi personali. E’ il ritratto di una piccola burocrate spregiudicata, pronta a ricavate condizioni di favore dai genitori degli alunni sfruttando la sua posizione. La storia parte dall’inizio degli anni ottanta e segue l’insegnante, vedova di un militare e sorella di una donna emigrata in Russia, che angaria gli alunni col pretesto delle esigenze del regime. In questa parte le immagini si alternano con quelle di una riunione di genitori di ragazze e ragazzi chiamati a firmare una lettera di protesta compilata dai parenti di un'alunna che ha tentato il suicidio causa le angherie dell’insegnate che l’aveva presa di mira perché il padre, impiegato dell’aeroporto di Praga, si era rifiutato di consegnare a un pilota una scatola di dolci affinché li facesse arrivare alla sorella delle professoressa. Dopo una lunga discussione e non meno numerose titubanze, molti decidono di firmare il documento, anche se lo fanno alla spicciolata e in maniera quasi clandestina. Tutto inutile: dieci anni dopo ritroviamo la donna, passata indenne al servizio della repubblica post-realsocialista intenta a comportarsi allo stesso modo, questa volta in nome del nuovo sistema politico. Ciò che prende di mira il regista sono sia il trasformismo che segna il passaggio dal prima al dopo, sia la paura che attanaglia la gente comune vittima di un regime occhiuto e oppressivo. C’è da dire che la parte meglio riuscita del film riguarda il secondo aspetto con momenti di grande efficacia anche se in non pochi punti ricorda un classico del cinema come La parola ai giurati (Twelve Angry Men,1957) che Sidney Lumet ha tratto dal dramma omonimo di Reginald Rose. In altre parole un film non originalissimo, ma solido ed efficace.
587-the-next-skinPiù pretenzioso, ma meno interessante La propera pell (La seconda pelle) dello spagnolo Isaki Lacuesta che firma una coproduzione spagnolo – svizzera ambientata per intero fra le montagne. Qui il diciasettenne Gabriel ritorna al paese natio ove molti, compresa sua madre, lo credevano morto. E’ l’inizio di una melodramma a forti tinte articolato attorno a due domande: il nuovo arrivato è veramente figlio della donna che tanto lo ha atteso e che fine ha fatto suo padre biologico. Protagonista del dramma anche un fratello del defunto e zio del giovane che, alla fine si rivelerà privo di quelle colpe di cui il regista sembrava volerlo caricare sin dall’inizio. In poche parole un drammone piuttosto greve, giocato quasi esclusivamente sull’interpretazione di Álex Monner, Emma Suárez e Sergi Lōpez. Un po’ poco per farne un film da ricordare.

(U.R.)

613-kamperKamper (Camper) segna l’esordio alla regia del polacco Łukasz Grzegorzek con un film semplice nella struttura e a tratti debole nella scrittura. Rappresenta un buon prodotto che trova la sua giusta collocazione in East to West, anche quest’anno con titoli quantomeno interessanti. In una società in cui tutto si consuma in fretta si racconta di coppia giovanissima, apparentemente felice, sicuramente affiata. Lei fa la modella ma a tempo perso, e cerca sempre nuovi lavori. Lui è un creatore di giochi per il web – è a capo di un team entusiasta – con successo e denaro. Eppure nei loro ripetitivi giochi non solo d’amore (si nascondono a turno per poi saltare addosso al partner come faceva il servitore con l’ispettore Clouseau) appare un decisa mancanza di fantasia, latita la voglia di mettersi in gioco. In questa situazione, è facile prendere sbandate, tradire più col corpo che non col cuore, e ovviamente è ciò che capiterà loro. Il camper del titolo è un vecchio furgone che cade a pezzi, comperato dalla ragazza per vendere Hot Dog. Il film sembra un compitino di fine corso, bene realizzato, decorosamente interpretato, che mai riesce realmente a coinvolgere.
862-kills-on-wheelsTiszta szívvel (Cuore puro) del cinquantacinquenne regista ungherese Attila Till rischia molto nella scelta del tema proposto ma riesce a portare a casa una commedia drammatica, grottesca, divertente, dissacratoria. Si parla di portatori di handicap (a parte l’adulto, tutti gli altri lo sono davvero) e il film li racconta con debolezze, desideri terreni quali rapporti fisici con ragazze: non idealizzano l’amore, vogliono solo conoscere il sesso. Con un falso pudore, spesso si tratta queste persone diversamente abili come eterei angeli, volendo in questa maniera difendere da problematiche morali persone più fortunate di loro; qui no, anzi, sono considerati sporchi e cattivi. I protagonisti sono amorali, vogliono emergere anche con sistemi duri, violenti, illegali e sono anche disposti ad uccidere. Giovanissimi (uno ha diciassette anni è un grande realizzatore di comics e il suo più grande dolore è di non avere al suo fianco il padre) decidono di affiancare un violentissimo costretto su di una carrozzella perché tre anni prima, quando faceva il vigile del fuoco, era stato leso in maniera definitiva nella sua mobilità. I due ragazzi disabili si uniscono a lui ed iniziano ad aiutarlo nei suoi impegni di killer: non uccidono ma lo aiutano nel farlo. Formano una banda dedita alla morte, gang che funziona più che bene, fino a quando uno dei loro clienti li riesce a mettere uno contro l’altro per poi uccidere il capo che sa troppo. Il regista ha messo a punto una commedia originale, ricca di azione che mescola abilmente realtà e fantasia e il cui umorismo nero colpisce anche emotivamente lo spettatore. Il finale, difficilmente prevedibile, trasforma tutto il film in un riuscito thriller.
639-together-for-everAmžinai kartu (Insieme per sempre) è un film bene realizzato, che si addentra nelle problematiche di una famiglia come tante, con amore ed incomprensioni, con tradimenti (di fiducia) e voglia di perdonarsi. La regista Lina Lužytė gestisce con bravura questa coproduzione lituana con la Romania costruendo una commedia in cui i dialoghi e gli sguardi sono la parte più interessante. Lei è infermiera, il marito stuntman e la figlia sugli undici anni fa il suo mestiere creando problemi ai genitori che non la capiscono. Li conosciamo mentre vanno di corsa ad un concerto d’organo organizzato in una chiesa: la madre è rapita dal fascino, la figlia annoiata, il marito preoccupato perché due volte gli ha suonato il cellulare (senza silenziatore). Da qui lo sviluppo dei vari caratteri, il dramma di una vita che tutti vorrebbero migliore ma in cui nessuno è realmente in grado di interagire con gli altri. La figlia è in completa crisi adolescenziale e dice a poliziotti che la trovano sola per strada di non avere genitori. Non riesce ad accettare di non essere al centro del mondo dei genitori. La donna è frustrata come madre, come donna, quale essere umano. Il marito e’ affettuoso ma non capisce i loro problemi e si sente tradito da loro. La situazione depistante è data dal contenuto della telefonata ricevuta durante il concerto: è morto un collega dell’uomo e lo convincono a sostituirlo. La moglie non vuole diventare vedova, la figlia egoisticamente lo desidererebbe solo per se. E’ una famiglia composta da tre persone di grande fragilità, individui isolati che desiderano amore e comprensione senza sapere come trovarlo ma anche come donarlo. E così insieme creano una rete di bugie che solo riescono a versare il sale sulle ferite non cicatrizzate. Buon debutto nella sceneggiatura e nella regia per la trentacinquenne lituana Lina Lužytė che indaga la solitudine e la battaglia per sfuggire ad essa con pudore ma, nello stesso tempo, considerando tutti parimenti colpevoli.
PolednicePolednice (Mezzogiorno) è opera del ventisettenne ceco Jiří Sádek che con questo film ha dimostrato di essere nome assolutamente da seguire: ha scritto con bravura, dirige con mestiere ed emoziona con un film in cui hanno stessa valenza il dramma psicologico e il genere horror. La scommessa di questo piccolo film sta nel fare convivere due anime diverse che mai dimostrano di essere antitetiche, che spesso si uniscono per emozionare ancora di più. Eliška torna con la figlioletta Anetka al villaggio natale del marito. Tuttavia qualcosa di strano sta succedendo e, mentre la temperatura sale, Eliška diventa sempre più nervosa. La paura è presente ovunque e spettri si muovono liberamente tra sogno e realtà. Si capisce che c’e’ qualcosa di inusuale nell’assenza del padre, che tutti nascondono alla bambina. Una verità fin troppo facile da capire. Questo e`solo uno degli elementi di una sceneggiatura costruita su personaggi interessanti, ognuno dei quali nasconde agli altri molto di se stesso. Ritmo piacevole, qualche effetto horror per fare trasalire il pubblico, la bravura nel dosare con attenzione ogni cosa, onde evitare il melò, la paura dozzinale e la poca credibilità.

(F.F.)