51mo Karlovy Vary International Film Festival - Pagina 5

Stampa
PDF
Indice
51mo Karlovy Vary International Film Festival
Pagina 2
Pagina 3
Pagina 4
Pagina 5
Pagina 6
Pagina 7
Pagina 8
Pagina 9
Tutte le pagine

550-wavesFale (Onde) del regista polacco Grzegorz Zariczny dovrebbe seguire le orme, secondo quanto affermato dagli estensori del catalogo del festival, della Nová vlna (nuova ondata) che ha mosso il cinema ceco alla fine degli anni sessanta. Dovrebbe farlo raccontando il disagio dei giovani nei confronti di situazioni familiari e sociali che non comprendono e che non li capiscono. Tali sono Ania e Kasia due diciasettenni che frequentano, la prima senza molto estro, una scuola per diventare parrucchiere. Entrambe hanno alle spalle famiglie degradate. I genitori di Ania sono separati e la ragazza ha un rapporto ambiguo con il padre, con cui vive, e che in passato l’ha picchiata più volte e, forse, ha anche tentato di stuprarla. La famiglia di Kasia, di origini molto più modeste, è ancora unita, ma il padre è alcolizzato e dorme su un divano mentre la madre cova un forte rancore nei confronti di tutto e di tutti. Non ci sono quasi presenze maschili dell’età delle protagoniste con la sola eccezione di un pseudo fidanzato di Kasia che si rivela subito un ladruncolo e un millantatore. All’inizio pare che l’amicizia fra le due ragazze sia destinata ad uno sbocco omosessuale (fanno il bagno e dormono assieme), poi lo scenario cambia e ad emergere è la profonda insoddisfazione delle giovani nel confronti del mondo che le circonda e di ciò che le attende. E’ un breve film, solo 78 minuti, che radiografa senza alcuna spiegazione né sociologica, né politica la condizione dei giovani nei paesi che sino a venti anni or sono erano oppressi dalla catena di ferro ed oggi faticano ad adeguarsi ai ritmi di una capitalismo che, in quelle terre, ha mostrato un volto particolarmente selvaggio. Da notare che il film è ambientato nella periferia di Cracovia, specificatamente in quella Nowa Huta (il fatto non è casuale) chiamata a fare da sfondo ad uno dei primi film che misero in discussione l’aspetto monolitico del socialismo reale: L’uomo di marmo (Człowiek z marmuru, 1977) di Andrzej Wajda.
896-by-the-railsMolto più deludente Dincolo de calea ferata (Dal treno), terza fatica del rumeno Cătălin Mituilescu in cui si racconta il ritorno a casa di Adrian dopo un anno di lavoro in Italia. In patria ha lasciato la compagna e il figlioletto di pochi anni, al ritorno, dopo che per giorni ha cercato di contattare per telefono la donna, lo attende una brutta sorpresa: lei ha deciso di lasciarlo, forse per un nuovo amore, forse, più semplicemente, perché è stanca di aspettare. Nelle stesse ore lei è stata invitata a un banchetto nuziale che si svolge poco lontano dalla loro casa, sempre nelle vicinanze di una linea ferroviaria su cui transitano treni che procedono a gran velocità. Sarà una notte di bagordi, risse e rimproveri reciproci che terminerà con la partenza della donna e del figlioletto, accompagnati dal fratello di lei verso Costanza. Finale fra il reale e il sognato con l’uomo che riprende il lavoro di cameriere in un bar ristorante sulle rive di un lago nel Nord Italia, ma con lei e il bambino al suo fianco. E’ un film di cui si stenta a cogliere la necessità, sia artistica che sociale, e che non va oltre il saggio di regia, intendendo questo termine nel senso strettamente scolastico. 

(U.R.)  

580-the-days-that-confusedPäevad, mis ajasid segadusse (I giorni della confusione) segna il debutto del ventottenne estone Triin Ruumet in un film che racchiude in sé la speranza di molti nuovi professionisti del cinema: anche il produttore, il direttore della fotografia, il montatore, lo scenografo e l’autore della colonna sonora sono alla loro prima esperienza nel lungometraggio. Laureato in regia, ha realizzato vari corti presentati in festival internazionali, ha creato video musicali, serie televisive, corti commerciali. E’, quindi, arrivato a questa nuova avventura con buon mestiere, tanto da realizzare alcune scene – soprattutto quelle con inseguimenti ed incidenti d’auto – in maniera quasi perfetta. Costruisce un film duro che racconta del disagio dei post-adolescenti senza ideali, senza veri interessi, probabilmente senza voglia di vivere la propria esistenza. Coadiuvato da attori validissimi, ci propone un quadro drammaticamente interessante di una fra le molte periferie del mondo dove morte e violenza sono accettate per la speranza di provare emozioni. Il ventisettenne Allar ed i suoi amici trascorrono la vita nella loro piccola città perdendo tempo, ubriacandosi, e guidando ai limiti della pazzia, come per loro non ci fosse futuro. Quando uno delle loro uscite finisce in un incidente, lui comincia a riflettere sulla propria vita. La ricerca di trovare un nuovo modo di concepire se stesso è piena di colpi di scena. Non è facile cambiare la propria esistenza se non si sa cosa realmente si vuole. Con l'aiuto di musica dura come le immagini, il regista porta lo spettatore in un viaggio dinamico attraverso gli anni novanta - identificati da auto datate, divertimenti non tecnologici - e un tipo di società lontana anni luce dall' attuale realtà estone.
584-doubleDublu (Doppio) è film romeno imperfetto, ricco di buoni propositi sviluppati in maniera frammentaria con mancanza di vis drammatica e, spesso, di logica narrativa. Opera prima di Catrinel Dănăiaţă, attiva nel mondo dei corti da oltre dieci anni, la vede affrontare il lungometraggio con una sceneggiatura non scritta da lei e, forse per questo, meno sentita anche nel momento di metterla in immagini. Lungo cento minuti, ripete varie volte situazioni di vita del protagonista e racconta senza fretta anche le cose più normali tipo un pranzo, una serata in spiaggia, la partenza di un treno. Si ha l’impressione che abbia capacità limitate al mondo degli short movie e che qui non lo abbia dimenticato, anzi, gonfiando al massimo le poche scene previste dallo script. A questo va aggiunta la banalità dei personaggi, nessuno dei quali in grado di reggere il peso del film. Neppure il giovane rampante riesce a captare l’interesse dello spettatore per più di un minuto. Il solitamente bravo Bogdan Dumitrache qui sembra annoiato e incapace di dare spessore a una figura tutto sommato non difficile da tratteggiare. A prima vista George ha tutto ciò che vuole dalla vita: una bella ragazza, un lavoro interessante, e ci sono sempre amici per andare a bere. Sotto la superficie di questo mondo ben ordinato, però, si nasconde qualcosa di autodistruttivo che deve essere affrontato. E il protagonista è l'unico che possa trovare la via d'uscita da questa crisi.

(F.F.)