71ma Mostra Internazionale d'arte Cinematografica di Venezia - Pagina 4

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71ma Mostra Internazionale d'arte Cinematografica di Venezia
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99homesLe 99 case a cui fa riferimento (99 Homes) il film dello scrittore e regista americano Ramin Bahrani ci immerge in uno dei drammi economici degli Stati Uniti: la crisi immobiliare da cui hanno preso le mosse le difficoltà che travagliano l’intera economia occidentale. La storia raccontata dal film è quella di un operaio edile che, come tanti altri americani, è stato sfrattato dalla casa in cui vive da tempo immemorabile causa le rate non pagate di un mutuo acceso per migliorare l’immobile. A cacciarlo, con l’auto degli uomini dello sceriffo, è una squadra di sbarazzatori guidati da un agente immobiliare che sta facendo un’immensa fortuna ricomprando dalle banche, a prezzi di liquidazione, gli immobili i cui proprietari non sono in grado di far fronte alle rate dei mutui che hanno acceso. Lo sfrattato e l’immobiliarista s’incontrano casualmente e il secondo assume il primo di cui ha intuito la duttilità e la voglia di rivincita sociale. In questo modo l’operaio diventa a sua volta uno sbarazzatore sempre più complice dei traffici di un padrone che non si tira indietro neppure davanti alla truffa e alla falsificazione di documenti giuridici. Finale ottimista con l’operaio che, riacquistato un barlume di coscienza, svela le malefatte del padrone anche a costo di finire con lui dietro alle sbarre. E’ un film inseribile nella migliore tradizione del cinema americano di denuncia sociale e ha pregi e difetti del genere. Pregi misurabili in termini di messa sul tappeto di uno dei cancri dell’economia e del vivere sociale americani (il denaro giustifica qualsiasi bassezza o illegalità), difetti riconducibili a un approccio eccessivamente semplicistico a un tema denso di implicazioni politiche e sociali. Nonostante questo è un film che si segue con piacere e che svela uno degli aspetti meno illuminati della vita e dell’economa americane.
anime nere 6-giuseppe fumofabrizio ferracane-francesca casciarriAnime nere, prima presenza italiana in concorso, è diretto da Francesco Munzi, qui alla terza regia dopo Samir (2004) e Il resto della notte (2008). Lo scenario è quello delle faide sanguinarie che dilaniano le varie cosche che si contengono la supremazia sul traffico di droga e costituiscono, tutte assieme, l’ossatura dell’’ndrangheta calabrese. Il film parte da Amsterdam, transita per Milano e approda all’Aspromonte. Qui il confronto fra due famiglie malavitose si gioca a colpi di omicidi e attentati. Il finale è debitamente tragico con il solo personaggio positivo, l’unico di tre fratelli coinvolti nella storia ma estraneo a traffici o vendette, che spara al congiunto diventato capo della famiglia dopo l’uccisione del massimo boss. E’ una sorta di giustizia privata postuma che punisce chi ha trascinato gli altri, anche i giovani, nella spirale della violenza e dell’odio. Per qualcuno il film cita il genere western, seppur ambientato ai giorni nostri.  E’ un accostamento inesatto, in quanto è un’opera che ha maggiori legami con il melodramma rusticano che con le storie di cow boys e pistoleri. Questa malavita appare del tutto decontestualizzata, traffica in stupefacenti, ma lo fa senza nessun chiaro legame con la politica e in un ambiente che le consente di prosperare a fare ciò che vuole. Sono personaggi e storie del tutto avulse da una qualsiasi contesto minimamente indagato e gli snodi drammatici hanno più a che fare con le pratiche del melodramma che non con quelle dell’indagine socialmente motivata. Un film ben girato e costruito con la giusta suspense, anche se alcuni tempi appaiono eccessivamente dilatati, ma concepito in modo da non disturbare nessuno. Forse non è un caso che a produrlo sia stata, con altri, la Rai.

Una piacevole sorpresa l’ha offerta Peter Bogdanovich conShes-Funny-That-Way Sh's Funny that Way (Lei è divertente in questo modo) una commedia stile teatro boulevardier. In cui i vari personaggi s’inseguono e si vengono a trovare là dove non dovrebbero essere. Sembra una nuova riedizione, ammodernata e corretta in alcuni ingredienti (la psicanalisi, le nevrosi dei teatranti, il mondo del teatro di Broadway) delle commedie di Eugène Labiche (1815 – 1888) o di Georges Feydeau (1862 – 1921) dove il vorticare del porte e i personaggi chiusi negli armadi (in questo caso nei bagni delle camere di un albergo di lusso) davano logo a situazioni esilaranti al massimo grado. In questo caso tutto muove da una giovane aspirante attrice che, nell’attesa di una scrittura, paga conti e fatture facendo la escort. Casualmente capita nel letto di un famoso attore che sta per lanciarsi nella regia teatrale e che ne scopre le doti, la foraggia abbondantemente e la invita ad abbandonare la vita peccaminosa. Tutto ben se non che, per una serie di coincidente, la stessa partecipa alla selezione per il ruolo di protagonista proprio in quello spettacolo che dovrebbe essere diretto dal suo benefattore da qui un susseguirsi di equivoci, coinvolgimenti, anche sessuali, di vari personaggi e incontri indesiderati di molti in uno stesso ristorante. Il tutto è raccontato dalla stessa giovane protagonista, oggi attrice di un certo peso, che racconta ad un’intervistatrice gli inizi della sua carriera. Il film è intelligente, ben realizzato e conferma la genialità e la sensibilità culturale di questo cineasta.
29sicbinguan04La Settimana Internazionale della Critica ha presentato l’opera prima di Xin Yukun è un trentenne cinese, diplomato in fotografia, che esordisce nel lungometraggio con Binguan (titolo italiano Una bara da seppellire, nome per il circuito internazionale The Coffin in the MountainLa bara sui monti). In un villaggio di montagna, nella Cina profonda, un anziano capo della comunità, plurimedagliato militante comunista, si accinge ad andare in pensione quando il tran tran della sua vita è sconvolto dalla scoperta dell’omicidio accidentale commesso dal figlio sorpreso da un piccolo ricattatore mentre era a colloquio con la giovane amante. Questa storia è narrata in maniera tutt’altro che lineare e s’intreccia con quella della giovane moglie di un ubriacone violento che ha un’amante nella città vicina. La donna e il ganzo decidono di uccidere il marito, ma sono preceduti dalla morte accidentale della vittima designata. Ci sono poi altre storie, variamente agganciate a queste due, (il ricattatore oberato dai debiti di gioco, un altro spasimante della fedifraga, la moglie incinta dell’amante della malmaritata) ma la loro importanza è solo di contorno rispetto alle due vicende principali. Il tutto cadenzato attorno a una bara che non riesce a trovare pace e non si sa bene quale salma contenga. E’ un film complesso che la regia tende a rendere ancor più aggrovigliato cadenzando la narrazione su continui scarti temporali e mutamento dei personaggi messi a fuoco. Il più recente cinema cinese ci ha abituati a opere fortemente ancorate ad uno sguardo pessimista e realista sulla realtà profonda del paese, non è questo il caso visto che al cineasta che lo ha firmato interessa più l’intreccio fra le varie storie che non lo sguardo sul mondo in cui si sviluppano.