71ma Mostra Internazionale d'arte Cinematografica di Venezia - Pagina 3

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71ma Mostra Internazionale d'arte Cinematografica di Venezia
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the look of silence 1Lo scorso anno un documentario italiano, Sacro GRA di Gianfranco Rosi, ha vinto, per la prima volta nella storia della Mostra, il Leone d’Oro aprendo la strada all’inserimento in concorso di questo tipo di film. The Look of the Silence (Lo sguardo del silenzio) di Jashua Oppenheimer segue questa gloriosa tradizione riportandoci all’Indonesia di oggi ove un ottico itinerante cerca di ricostruire, con il pretesto di controllare la vista agli anziani, i terribili massacri de 1965. In quell’anno prese il potere, col sostegno degli Stati Uniti, il generale Suharto che scatenò una terribile operazione di pulizia politica nelle forze armate e nel parlamento di cui furono vittime sia i sostenitori del suo predecessore Sukarno, sia i membri del Partito Comunista Indonesiano. I sindacati furono sciolti, la libertà di stampa quasi annullata e fu scatenata una campagna di violenza, venata anche da motivazioni religiose, che costò la vita a quasi un milione di persone, per la maggioranza contadini poveri, comunisti e intellettuali. Il regista va alla ricerca di alcuni fra i responsabili di quei massacri, non pochi dei quali si arricchirono anche grazie agli assassini, e si fa raccontare che cosa capitò in quei mesi. Ne nasce un album degli orrori con esecuzioni di massa, stupri, violenze contro donne e vecchi. Il tutto sotto l’ala benevola delle forze armate filogovernative e la protezione americana tesa, soprattutto, a tutelare gli interessi della grandi aziende, come la Goodyear, che si erano appropriate delle ricchezze del paese. E’ un panorama terribile reso ancor più inquietante dal fatto che buona parte dei ruoli tecnici che hanno contribuito alla realizzazione del film sono assegnati a sconosciuti, segno che in quel paese rinvangare certe cose fa ancora paura e innesta pericoli. In definitiva un forte atto d’accusa che riporta al centro della scena una nazione e fatti troppo frettolosamente dimenticati dall’opinione pubblica, quantomeno da quella occidentale.
ghesseha 3Ha un taglio quasi documentario anche Ghesseha (Racconti) che l’iraniana Rakhshan Banietemad, veterana pluripremiata del documentario, ha realizzato mettendo assieme una lunga serie di personaggi che vanno dalla malmaritata e picchiata che sfugge dal marito tossicomane rifugiandosi in una casa alloggio per donne in difficoltà al gruppo di disoccupati cui non e stato pagato il salario degli ultimi mesi, dal tassista occasionale che cerca di rimediare un po’ di denaro per saldare i debiti contratti con i fornitori di un carico di stupefacenti andato perduto a una ragazza che si prostituisce con il figlioletto, dall’uomo che scopre l’affetto che la moglie continua a provare per un ex amante al burocrate preoccupato unicamente della propria capigliatura e dei capricci dell’amante, ma del tutto indifferente ai problemi di quanti si rivolgono al suo ufficio. Sono quasi solo personaggi incontrati in opere precedenti di questa cineasta e concorrono a disegnare un mosaico dolente e vivido della società iraniana. Un mondo in cui il perbenismo ufficiale convive con i traffici più sordidi e ove ogni casa è governata dal capriccio dei potenti, per quanto minuscolo sia il potere di cui dispongono. Il filo conduttore che tine assieme queste storie è offerto dalla cinepresa di un giornalista che, al ritorno dall’estero, sta svolgendo una sorta di reportage personale. Questa scelta di utilizzare un freddo occhio esterno per osservare il pulsare dei drammi e le passioni individuali conferisce al film un equilibrio straordinario e dà unità ad una miriade di vicende altrimenti destinate a disperdersi.
la ranon de la gloire 1Anche il francese Xavier Beauvois si tiene vicino alla realtà proponendo, ne La rançon de la gloire (Il prezzo della gloria), la vera storia di due balordi che trafugarono la salma di Charlie Chaplin deceduto da poco nella villa in cui abitava a Corsier-sur-Vevey (nel cantone di Vaud), sulle rive del lago di Ginevra. Eddy è un ladruncolo belga sulla quarantina che, appena uscito di prigione, convince l’amico Osman, un operaio magrebino con una moglie gravemente ammalata, a rubare il sarcofago in cui è stata inumata la salma del grande comico per chiedere un riscatto alla vedova. Siamo nel 1977 e l’impresa è più simile a quelle dell’armata Brancaleone che non a un vero progetto criminale, tanto che ben presto sono le note comiche a prendere il sopravvento. Inutile dire che la polizia, per quanto sprovveduta, arresterà i due miseri malfattori e ci riuscirà anche con l’iuto dei un ex-militare, segretario di lungo corso del defunto, che non esita a estorcere al primo arrestato il nome del complice a suon di schiaffoni. Il film merita di essere visto sino all’ultima inquadratura quando il regista ci ricorsa che, se la tomba di Charlot e quella di sua moglie Oona O'Neill sono sempre al loro posto, qualcuno recentemente ha tentato di rubare la statua eretta in onore del grande comico sulle rive del lago. Questo regista ha un debole per la cronaca, come testimonia il suo film precedente, Uomini di Dio (Des hommes et des dieux, 2010), ma riesce ad angolarla in maniera personale e con non poche tracce d’originalità. In questo caso ad emergere è la miscela fra dramma e commedia, l’amalgama fra condizioni miserabili e grandi progetti criminali. Un film non straordinario, ma costruito molto bene.
29.sic-terre battue-1-les films velvetAnche la Settimana Internazionale della Critica ha presentato un film francese, Terre Battue (Terra Battuta) dell’esordiente Stéphane Demoustier (1977). E’ un testo che s’inscrive nel filone di quel cinema sociale del quotidiano a cui hanno dato vita con fortuna e abilità i fratelli belgi Jean-Pierre e Luc Dardenne, qui in veste di coproduttori attraverso la società Les Films du Fleuve. La storia muove su due binari, sul primo c’è il maturo Jérôme che si è appena dimesso da dirigente di un grande supermercato perché non ne può più di stare sotto padrone, sul secondo c’è suo figlio Ugo, giovanissima promessa del tennis pronto a fare qualsiasi cosa pur di conquistarsi un posto al centro nazionale d’allenamento del Roland Garros. Entrambi sono determinati ad avere successo: l’anziano è disposto a rischiare ogni cosa pur di rimettersi in gioco, il ragazzino a drogare un competitore più bravo. E’ il ritratto, dal finale amaro e drammatico, di una corsa all’affermazione di se attraverso il denaro, meglio il riconoscimento del successo sociale. E’ un testo piano, privo di grandi aperture stilistiche che affida gran parte della riuscita all’interpretazione di Olivier Gourmet, vero alter-ego dei due registi belgi che lo hanno diretto in cinque film: La Promesse (1996), Rosetta (1999), Il figlio (Le Fils, 2002), L'Enfant - Una storia d'amore (L'Enfant, 2005) e Due giorni, una notte (Deux jours, une nuit, 2014). Questa volta nei panni di un dirigente inquieto l’attore tende piuttosto a ricalcare i moduli precedenti che non a crearne di nuovi, ma è tanta la maestria appresa in passato che l’operazione riesce perfettamente aggiungendo valore ad un’opera lineare, ma non banale.