69ma Mostra Internazioale d'arte Ciinematografica - Pagina 9

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69ma Mostra Internazioale d'arte Ciinematografica
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Bella addormentata di Marco Bellocchio è il secondo film italiano compreso nel calendario della sezione competitiva. Di quest’opera si è molto parlato, per ragioni più politiche che artistiche, soprattutto dopo che i responsabili del settore cinema della Regione Friuli Venezia – Giulia hanno concesso al produttore un contributo negato in seguito dall’assessore alla cultura della regione, infine ripristinato dopo una lunga polemica che ha coinvolto intellettuali, cineasti e politici. Ha fatto discutere anche il fatto che il film ricostruisse la drammatica storia di Eluana Englaro (1970 – 2009), la ragazza rimasta in coma irreversibile per ben diciassette anni, deceduta dopo che il padre Peppino l’aveva fatta trasportare in una clinica di Udine affinché le fosse staccata la spina, cosa avvenuta la sera del nove febbraio 2009. La vicenda scatenò polemiche roventi fra i sostenitori della vita ad ogni costo e i fautori della libertà di scelta. Il governo di Silvio Berlusconi, all’epoca in carica, tentò una sorta di blitz presentando un disegno di legge teso a impedire la messa in partica dell’interruzione di alimentazione, progetto naufragato, anch’esso fra polemiche tutt’altro che disinteressate, per la sopraggiunta morte della donna. Il film utilizza questa vicenda come sfondo per tre storie. La prima ha al centro un senatore di Forza Italia in crisi di coscienza, poiché il disegno di legge che è chiamato ad approvare contrasta frontalmente con i suoi principi. Il parlamentare, inoltre, ha alle spalle un episodio analogo: anni prima lui ha spento la macchina che manteneva in vita la moglie, malata terminale. In queste stesse ore sua figlia, militante del movimento per la vita, s’innamora del fratello di un sostenitore del padre di Eluana. La seconda vicenda ha al centro una tossicodipendente che tenta più volte di uccidersi ed è salvata da un medico che s’innamora di lei. L’ultima vicenda è quella di un’attrice famosa che abbandona tutto pur di stare vicina alla figlia, in coma irreversibile. Si circonda di suore e infermiere e mette da parte non solo la professione, ma anche gli affetti familiari, figlio in primo luogo. Il film è molto ben costruito, politicamente violento nella denuncia dell’ipocrisia dei politici, Silvio Berlusconi sopra di tutti con il suo delirante discorso sulla possibilità che la donna in coma potesse ancora avere un figlio. Ciò che convince di meno è il collegamento fra le varie storie - che appaiono abbastanza estranee l’una alle altre tranne la prima - rispetto allo sfondo prescelto. Sono spunti per altrettanti film e rimane il rimpianto che il regista non li abbia conservati per altre opere. Nel complesso è un film molto interessante e coraggioso, denso di notazioni e personaggi di grade spessore, ma non tutti ugualmente essenziali al racconto.
altIn concorso è comparso anche Spring Breakers (Vacanze di primavera) dell’americano Harmony Korine. Confessiamo che questo è il primo titolo che ci ha spinti a chiederci per quale ragione sia stato messo in cartellone. E’ la storia di quattro liceali che compiono una rapina per procurarsi i denari indispensabili a passare un periodo di vacanza in Florida. Qui - in un’atmosfera piena di seni, sederi e giovani vocianti degna del Playboy degli anni ottanta – cadono nelle mani di un gangster che presto sottomettono alle loro voglie. Quando questi si scontra con un boss della droga due di loro – le altre nel frattempo sono tornate all’ovile – sterminano accoliti e capo dopo di che ritornano anche loro a casa su una fiammante Ferrari. In tutto il film - qualunque siano le situazioni, compreso un rapido soggiorno in prigione – si presentano in bikini fosforescenti, bevono a garganella, sniffano cocaina e fanno l’amore nei luoghi più disparati fra loro e con il capo. E' difficile dare un significato a questo groviglio d’immagini più vicine a uno spot pubblicitario vecchia maniera che con un vero film.
altPer fortuna è arrivato a soccorrerci l’ultracentenario (1908) Manoel de Oliveira che ha portato, fuori concorso, la sua ultima fatica: O gebo e a sombra (Gebo e l’ombra) tratto dal romanzo omonimo di Raul Germano Brandão (1867 – 1930). Tutto si svolge nel giro di poche ore, quando un contabile, capo di una famiglia povera, ritorna a casa con l’incasso della ditta per cui lavora. La moglie è continuamente in lacrime, causa il figlio andato via per condurre una vita libera e criminale, la nuora attende mestamente il ritorno del marito, lui passa le ore accudendo alle solite, monotone incombenze. Ogni cosa precipita quando il figlio ritorna improvvisamente all’ovile e ruba i soldi che il padre ha in custodia. A questo punto al vecchio non resta che incolparsi del furto per salvare il resto della famiglia. Nel film, girato quasi per intero con i protagonisti seduti a tavola, molti sono gli echi cechoviani e dostoevskiani, in particolare sul destino degli umili e l’impossibilità per i poveri a sfuggire al loro stato. Interpreti d’eccezione sono Michael Lonsdale, Claudia Cardinale, Jeanne Moreau, Leonor Silveira, Luis Miguel Cintra. E’ un film stilisticamente lineare, limpido nello stile e coerente con la corposa filmografia di questo cineasta.
altLe trasformazioni sociali non colpiscono solo la società, ma cambiano profondamente la condizione psicologica di milioni di persone. Tale è il caso di Lotus, giovane insegnante di cinese in una scuola nel nord della Cina. Indipendente, sensibile, colta è invisa a colleghe e colleghi legati a metodi tradizionali e precettisti, la sua condizione peggiora quando la moglie del suo amante, un funzionario capitato in città da fuori, le fa una piazzata a scuola, davanti a tutti. Ora la sua condizione è diventata del tutto insostenibile e deve lasciare l’impiego e trasferirsi nella capitale. Qui le condizioni sono ancora più difficili fra poliziotti corrotti, lavori umilianti, padroni arroganti. E’ una lenta discesa agli inferi da cui emerge, in un finale apparentemente lieto, sposando un riccone che non ama, ma che le assicura un alto stato economico. L’immagine di questa donna somma le contraddizioni di un paese impegnato a unire autoritarismo politico a sviluppo economico, anche a prezzo di innescare una macelleria sociale tragica e violenta. Xiao He (Loto), opera d’esordio della cinese Liu Shu presentato nel cartellone della Settimana Internazionale della critica, è un film equilibrato che affronta con un taglio quasi documentario l’altra faccia del miracolo cinese. Più della vicenda della giovane insegnante quelle che contano sono le ambientazioni in pulciose camere d’albergo, cucine unte di prestigiosi ristoranti, uffici di polizia simili ad anticamere di campi di prigionia. E’ tutto quello che si cela dietro un luccichio economico attento al denaro e al profitto, ma del tutto indifferente alla condizione degli esseri umani. Per completare il quadro un finale moralmente tragico: la donna si sistemerà diventando la compagna di un nuovo ricco. Avrà auto e denaro, ma a prezzo di perdere ogni speranza di reale autonomia.