69ma Mostra Internazioale d'arte Ciinematografica - Pagina 2

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69ma Mostra Internazioale d'arte Ciinematografica
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altLa Mostra è iniziata con due note contrastanti: una struttura espositiva sobria ed elegante, quale non si vedeva da anni e la presentazione di un paio di film non proprio indispensabili. Iniziamo dal primo aspetto. Il colore dominante è il banco degli edifici riportati a un aspetto presentabile con le facciate ridipinte di fresco e la copertura (parziale) della voragine scavata in vista della costruzione di un nuovo palazzo del cinema, progetto sepolto si spera definitivamente. C’è stato anche un inizio di razionalizzazione degli spazi del palazzo del casinò con la costruzione di una nuova sala, intitolata come la vecchia, al Conte Volpi. Un cinema funzionale, bello e confortevole. A questo si è aggiunta la risistemazione dell’atrio del vecchio Palazzo che ora è diventato elegante punto d’appoggio per molteplici attività oltre che, come di consueto, sfondo per la tradizione passerella serale di divi e funzionari. La Biennale, infine, ha preso in carico anche il palazzetto antistante la sede principale, oltre che un intero secondo piano dell’Hotel Excelsior destinato a sede del nuovo mercato dei film. Note meno positive sono arrivate dai primi film in programma. Bait 3D (Esca in 3D) è una coproduzione fra Australia e Singapore diretta da Kimble Rendall. Vi si raccontano le tragiche avventure di un gruppo di persone intrappolate nei locali di un supermercato invaso dalle acque scatenate da uno tsunami, con squali giganteschi che nuotano fra i rottami degli scaffali in attesa che gli umani si azzardino a scendere in acqua. Ovviamente ci ritroviamo molti stereotipi del cinema horror: i grandi predatori (realizzati con molta approssimazione tecnica), il gruppo ristretto in pericolo formato da personalità contrastanti, gli ex amanti che si riconciliano e via elencando. Non c'è nulla di nuovo se non l’aggiunta delle tre dimensioni, per nulla indispensabili al racconto, ma usate solo in maniera sfacciatamente commerciale. Certo a leggerlo come parodia multigenere c’è da trarne qualche momento di divertimento, ma la regia non fa nulla – se non un finalissimo abbastanza desueto – per guidarci su questa strada.
Enzo Avitabile Music Life (Enzo Avitabile Musica Vita) è un omaggio che l’americano Jonathan Demme ha reso al musicista partenopeo e al suo lavoro per coinvolgere ritmi e strumenti provenienti dai più disparati paesi sul terreno della canzone napoletana. Il tutto è costruito con grande attenzione alla spiritualità e a importanti temi sociali. E' un ottimo documento e un toccante atto d’amore, ma più un’esaltazione che un approfondimento del percorso artistico di una grande musicista. Un film da vedere con piacere e che non annoia neppure per un minuto, anche chi non ha una sensibilità musicale particolarmente pronunciata.
altUfficialmente la mostra si è aperta con The Reluctant Fundamentalist (Il fondamentalista riluttante) che l’indiana Misa Nair ha tratto dall’omonimo romanzo dello scrittore pakistano Mohsin Hamid (1971) pubblicato nel 2007. Un lungo incontro fra un professore sospettato dalla CIA di essere un fiancheggiatore dei fondamentalisti islamici e un agente americano, mascherato da romanziere e giornalista, consente ai due di raccontare parte dei loro precorsi di vita. In particolare è il docente a narrare, in lunghi flash back, il suo percorso da promettente analista finanziario, vessato dai servizi di sicurezza americani dopo la strage delle Torri Gemelle. In parallelo c'è la sua storia d’amore con una fotografa americana andata in crisi dopo aver causato, guidando ubriaca, la morte di un fidanzato. Il film è ben costruito, particolarmente sul versante della storia poliziesca, abbastanza ipocrita nel tentativo di conciliare le ragioni di entrambi i contendenti, notevolmente generico nell’appello alla pace e al rifiuto della lotta armata. Un buon prodotto commerciale in cui impegno politico e analisi sociale hanno funzioni del tutto accessorie.
altSi è aperta anche la Settimana Internazionale della Critica con la presentazione Water (Acqua), film israelo – palestinese formato da sette episodi diretti da: Ahmad Bargouthi (Kareem’s PoolLa piscina di Kereem), Mohammad Bakri (Eye DropsGocce per gli occhi), Mohammad Fuad (The Water Seller – Il venditore d’acqua), Nir Sa’ar e Maya Sarfaty (Still WatersAncora acqua), Pini Tavger (Drops - Gocce), Tal Haring (Now and ForeverOra e per sempre), Yona Rozenkier (Raz and RadjaRaz e Radia). Come capita sempre in opere corali non tutte le parti sono riuscite in egual misura. Si passa da tagli documentaristici (La piscina di Kereem, Il venditore d’acqua) a situazioni quasi comiche (Ora e per sempre) a parti più sperimentali, quasi surreali. Due i momenti più indicativi. L’attore e regista palestinese Mohammad Bakri racconta, in Gocce per gli occhi, l’incontro suo e dei suoi figli con l’ultima sopravvissuta, una maestra di musica, di una famiglia sterminata dai nazisti. La vegliarda, che morirà di lì a poco, scambia padre e figli per la stessa persona che chiama con un nome israeliano invece di quello palestinese. E’ un incontro dolce e amaro di due mondi colpiti dalla persecuzione, un quadro drammatico di due generazioni perdute. Pini Tavger traccia con Gocce il ritratto di un militare che ha (forse) una relazione incestuosa con la madre. Durante un’esercitazione il giovane si nasconde in un lavatoio e suona Il Bolero (1928) di Maurice Ravel (1875 – 1937) percuotendo un armadio al ritmo delle gocce che cadono dai rubinetti. E' un panorama quasi surreale, ma anche la contrapposizione fra i ritmi della pace e quelli della guerra.