69ma Mostra Internazioale d'arte Ciinematografica - Pagina 3

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69ma Mostra Internazioale d'arte Ciinematografica
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altIl cartellone del concorso ha presentato il primo film importante: Izmena (Tradimento) del russo Kirill Serebrennikov. E’ la storia di una doppia infedeltà coniugale. Un uomo, appartenente alla nuova borghesia russa, apprende dalla dottoressa che gli sta praticando un check-up di routine che sua moglie ha una relazione con il marito del medico che lo sta esaminando. La donna gli fornisce anche molti particolari, compresi i luoghi in cui i due sono soliti incontrarsi e la camera d’albergo dove si rifugiano. L’uomo affronta la moglie, ma questa nega ogni cosa indignata. La dottoressa tuttavia insiste e, piano piano, s’instaura un legame anche tra i due traditi, che assistono, dal terrazzo sovrastante la camera affittata dagli amanti, alla fine dei due che, spinti soprattutto dalla donna, fanno l’amore sul poggiolo della stanza, provocando la rottura della balaustra e la conseguente caduta mortale. A questo punto il regista ha una trovata veramente geniale. Per segnalare allo spettatore lo scorrere del tempo – cinque anni - ci mostra la donna che corre nella foresta, trova un sacco pieno di abiti, si spoglia e riveste con i panni appena trovati, poi va incontro a un uomo che la stava aspettando in auto: il suo nuovo marito. Da questo punto parte un’altra vicenda: entrambi i vedovi hanno nuovi compagni – lui ha anche un figlio – ma nessuno dei due ha dimenticato la passione di un tempo, che riesplode violenta sino alla morte dell’uomo, causa un infarto che lo coglie proprio nella camera d’albergo che hanno ereditato di defunti amanti. E’ un film limpido nella costruzione visiva, complesso in quella narrativa, straordinario nella descrizione dell’evolversi dei sentimenti. Franziska Petri, che da corpo e volto alla dottoressa, descrive perfettamente l’evoluzione di una donna da una quasi frigidità a una tempesta erotica. Accompagna in modo preciso il passaggio graduale dalla freddezza professionale e dalle umiliazioni sessuali domestiche al calore passionale di una relazione clandestina.
altSuperstar, che il francese Xavier Giannoli ha tratto dal libro L’idole (L’idolo, 2004) di Serge Joncourt, è un’opera riuscita a metà. La storia, in partenza abbastanza originale, è quella di un lavoratore di un centro per il recupero di parti di macchinari elettronici in disuso, una fabbrica in cui lavorano soprattutto minorati leggeri, che una mattina scopre che tutti vogliono fotografarlo e chiedergli autografi. Lui non ha fatto nulla per diventare famoso, se non la vita tranquilla di un uomo qualunque, ciononostante è conosciuto da tutti, inseguito da fotografi e cineoperatori. Il film innesta, con un talk show televisivo, un inizio di riflessione sulla responsabilità dei media e la loro propensione a creare fatti anche laddove nulla è successo. Il discorso apre prospettive molto interessanti, ma nella seconda metà il film svolta verso la più classica delle storie d’amore – venate di moralismo – fra il poveraccio e una produttrice televisiva che non ha ancora messo da parte tutte le ragioni dell’etica e della morale. Certo il racconto è ben costruito e il film regge abbastanza sul piano della semplice storia ma approda a un bilancio più vicino all’occasione perduta che non alla proposta valida.
altE’ quanto capita anche a La città ideale opera prima dell’attore Luigi Lo Cascio. Il film, presentato nell’ambito della Settimana Internazionale della Critica, racconta di un ecologista estremista – vuole vivere a Siena per un intero anno senza acqua corrente né elettricità – che incappa in un drammatico fatto di cronaca: è accusato ingiustamente di avere travolto in auto e ucciso un maggiorente della città. I suoi guai aumentano quando, contro il parere dell'avvocato, accetta di raccontare la sua versione dei fatti. Prede il lavoro, finisce a vivere in una cantina, è scartato da tutti gli ex –amici. Uscirà – forse – dai guai solo grazie alle manovre di un legale siciliano, maneggione esperto nella tecnica di difendere i mafiosi. I temi dell’estremismo ambientalista e della cecità sostanziale della giustizia non sono argomenti da poco e al regista va riconosciuto il merito di averli affrontati di petto. Peccato che il linguaggio utilizzato, in particolare nei numerosi sogni e incubi, scivoli sul versante delle peggiori scelte linguistiche e non mostri neppure un briciolo di autentica originalità. In poche parole è un testo generoso raccontato in un modo non all’altezza della complessità dei temi affrontati.