46mo Karlovy Vary International Film Festival - Pagina 3

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46mo Karlovy Vary International Film Festival
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Collaborator è il film d’esordio dell’attore Martin Donovan ed è un’opera dalla forte connotazione teatrale. Il drammaturgo Robert Longfellow, interpretato dallo stesso regista, è in crisi creativa e commerciale, poiché il suo ultimo testo è stato smontato dopo due settimane. Per prendere le distanze dalla sua situazione va in California a trovare la madre e qui riallaccia un rapporto con un’ex amante, diventata attrice di successo. Le cose precipitano quando un suo vicino di casa, amico negli anni giovanili, gli piomba in casa e lo sequestra. Il fatto eccita le televisioni, una delle quali manda in onda un video, preso di nascosto, in cui lui bacia l’ex – fiamma. A questo punto anche il rapporto con la moglie, rimasta a casa con i figli, è spezzato e lui è costretto a fronteggiare una situazione che si chiuderà in modo drammatico. E’ il classico film d’attori, in particolare rilievo la prestazione di David Morse nei panni del nevrotico sequestratore, in cui i dialoghi fanno premio sull’azione. E' un film sostanzialmente statico e molto vecchia maniera.

Ancor meno interessante Ksiȩstwo (Eredità) del polacco Andrzej Barański, adattamento di taglio molto televisivo del romanzo breve del giovane scrittore Zbigniew Pasternak. E’ la lunga storia, girata in bianco e nero, di un giovane di campagna il cui padre, ubriacone inveterato, gli ha fatto credere che la loro famiglia discenda da un casato nobiliare, quello degli Slavic di Vistulans. Diventato adulto, va a studiare in una grande città, ma anche lì colleziona un fallimento dopo l’altro: lo bocciano all’esame di ammissione alla facoltà di legge, subisce un infortunio al ginocchio che gli tronca la carriera come calciatore, stabilisce relazioni sempre meno soddisfacenti con le donne, mente in continuazione a tutti. Ritornato a casa, in un ambiente bigotto e violento deve fare i conti con una comunità che gli rimprovera in continuazione gli eccessi del padre. Finirà ucciso proprio dal calciatore che lo aveva azzoppato rovinandogli la carriera. E’ un film di taglio nettamente televisivo, troppo lungo e ripetitivo. Non si coglie per niente il discorso che il regista cerca di sviluppare fra condanna del fanatismo e tentativo di descrizione della mente di un giovane travolto dalla propria fragilità e dalla brutalità del mondo che lo circonda.

La sezione East of West ha presentato Generation P (Generazione P), il primo film narrativo di Victor Ginzburg, nato a Mosca (1959), ma cresciuto ed educato negli Stati Uniti ove a studiato cinema e svolto molte attività nel campo delle arti visive. Il film segue la carriera di un pubblicitario di successo negli anni che vanno dal declino di Eltsin alla presa di potere di Putin. Un periodo strategico in cui si formano le grandi fortune degli oligarchi, spesso depredando le risorse del paese, esplodono le mafie, la società si articola sempre più in ceti impermeabili gli uni agli altri, cresce a dismisura la povertà delle classi inferiori. Tutto questo è inserito in una storia ricca di riferimenti fantastici, sequenze oniriche, colpi di scena cruenti. Lo scopo è quello di rappresentare la volgarità e la violenza che permeano il ceto che si sta affermando. Il film raggiunge l’obiettivo in modo parziale, utilizzando troppi snodi criptici, incomprensibili per uno spettatore non russo e inserendo nel racconto un sovraccarico di simbolismo non di facile lettura. In ogni caso un’opera non banale e professionalmente matura.