Festival di Cannes 2011 - Pagina 8

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Festival di Cannes 2011
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Aki Kaurismäki è fra i registi più originali e tematicamente costanti del cinema contemporaneo. Nel corso dei una non breve carriera - è nato a Orimattila, in Finlandia, nel 1957 - ha firmato una quindicina di lungometraggi, oltre a un numero consistente di corti. Tutti questi lavori seguono una precisa linea intessuta di polemica sociale e ironia saldate a una netta presa di posizione anticapitalista in favore degli emarginati. Miracolo a Le Havre (Le Havre) si muove sullo stesso terreno affrontando il drammatico tema dell’immigrazione extracomunitaria. Marcel Marx, un cognome che è tutto un programma, è un ex scrittore che, dopo una vita scapigliata, si è ritirato nella città portuale francese, ove sopravvive malamente facendo il lustrascarpe. Un giorno incontra un ragazzino africano, sfuggito alla caccia della polizia. Il giovane vuole raggiungere la madre che vive a Londra. Lo porta in casa sua e lo aiuta in ogni modo, siano a farlo fuggire verso l’Inghilterra anche grazie anche ai buoni uffici di un commissario di polizia, burbero quanto umano. La vicenda, così riassunta, dice poco perché il pregio del film è in uno stile, magistralmente articolato, che impasta ironia e rabbia rese ancor più efficaci da un taglio che possiamo definire di derivazione brechtiana. Vale a dire un raccontare depurato da sentimenti e sentimentalismi che guarda a situazioni e personaggi con la freddezza con cui lo scienziato osserva i fenomeni sociali. L’unico momento in cui l’autore si lascia andare a una parvenza d'emozione, è nel modo con cui presenta a questo figlio di una popolazione di dannati della terra le cui miserevoli condizioni sono l’altra faccia del nostro benessere.

Il secondo film in concorso della giornata è stato Pater (Padre) firmato da uno dei più schivi maestri del cinema francese: Alain Cavalier. Un autore che già altre volte ci ha abituati a storie che portavano sullo schermo i suoi momenti più intimi della sua vita. L’ha fatto nel 2009 con Irene rivolto alla memoria di sua moglie. Ritorna oggi con un film in cui lui e il suo grande amico, l’attore Vincent Lindon, parlano di un film immaginario in cui si dovrebbero affrontare i ruoli e le figure del Presidente della Repubblica e del Primo Ministro. È un lungo dialogo che finisce per coinvolgere e mettere a confronto due modi di concepire la vita, svelandone i punti di coincidenza e le divergenze. Come si sarà capito è un’opera di taglio molto intellettuale, che affascina e sconcerta e che richiederebbe una lettura molto approfondita che, in questa sede, non è possibile.

A Un Certain Regard è stato presentato Skoonheid (Bellezza) secondo lungometraggio del sudafricano Olivier Hermanus, suo primo lavoro lungo su pellicola. E’ il ritratto di un maturo omosessuale che nasconde in ogni modo le sue preferenze sessuali sino a vederle esplodere quando stupra un prestante nipote, poco più che ventenne. Il regista descrive questa vergogna segreta e la collega all’insuperata divisione fra bianchi e neri nelle passate generazioni, un percorso che salda moralismo e tendenze razziste. Peccato che lo stile sia piuttosto greve, con molte cadute televisive come l’insopportabile abbondanza di primi e primissimi pani del volto di Deon Lotz, un attore non troppo dotato d’espressività. In altre parole è un film più importante per il valore sociale e politico che lo percorre e per i temi che affronta, che non per il modo come le racconta.