Festival di Cannes 2011 - Pagina 5

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Festival di Cannes 2011
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I grandi festival funzionano anche come casse di risonanza per i film ad alta caratura spettacolare che le grandi produzioni presentano per sfruttare l’eco suscitato nella stampa. C’è da augurarsi che anche le direzioni delle manifestazioni traggano un qualche vantaggio dall’avere in anteprima titoli che hanno ben pochi meriti per figurare in rassegne di cinema di qualità. La situazione diventa ancora peggiore quando si modificano i programmi, penalizzando altre opere che sono spostate dalle loro posizioni di diritto. È accaduto oggi con Pirati dei Caraibi: Oltre i confini del mare (Pirates of the Caribbean: On Stranger Tides, 2011). E' la quarta tappa dalla serie piratesco – fantastica aperta da La maledizione della prima luna (Pirates of the Caribbean: The Curse of the Black Pearl, 2003) e proseguita con Pirati dei Caraibi - La maledizione del forziere fantasma (Pirates of the Caribbean: Dead Man's Chest, 2006) e Pirati dei Caraibi – Ai confini del mondo (Pirates of the Caribbean: At World's End, 2007), tutti a firma di Gore Verbinski. Il film, questa volta diretto dallo specialista di musical e superproduzioni Bob Marshall, è stato presentato nella versione tridimensionale e, rispetto ai precedenti, mostra un maggiore tasso d’ironia. Al centro ci sono i soliti personaggi: Jack Sparrow (Johnny Depp), Angelica (Penelope Cruz), Hector Barbossa (Geoffrey Rush) e Barbanera (Ian McShane) alternativamente alleati e avversari nella corsa alla fonte dell’eterna giovinezza. Lo scenario passa dalla Londra dell’inizio del diciassettesimo secolo sino alle foreste tropicali. E’ un tipo di narrativa che punta tutte le sue carte sulla meraviglia delle costruzioni e i miracoli della computer grafic, per tacere delle sorprese legate a un utilizzo abile e milionario del 3D. In definitiva è più una scatola delle meraviglie, un baraccone rutilante che non una storia di cui apprezzare coerenza e organizzazione narrativa.

Per quanto riguarda il concorso è stato presentato Le gamin au vélo (Il ragazzo con la bicicletta) dei fratelli Jean-Perre e Luc Dardenne, cineasti onusti di premi e che proprio a Cannes hanno ottenuto i maggiori risultati con Rosetta (Palma d’Oro e premio della migliore interpretazione femminile, 1999), Le fils (Il figlio) che ha ottenuto il premio per la migliore interpretazione maschile del 2002 e L’enfant (Il ragazzo) coronato con la Palma d’Oro nel 2005. Questa loro ultima fatica ribatte la strada stilistica delle loro opere migliori, un percorso fatto di macchina da presa costantemente addosso agli interpreti, storie semplici ma ricche di significato, interpreti straordinari. Cyril non ha ancora compiuto dodici anni, vive in una casa per ragazzi ove il padre l’ha messo non avendo più intenzione di curarsi di lui. Il sogno del giovane è di ritrovare il genitore, ma quando ciò accade, questi gli conferma che di lui non vuole sapere. Uno spiraglio si apre quando Samantha, una parrucchiera gentile e sensibile, decide di diventare l’affidataria temporanea del ragazzo. Anche nella nuova situazione le cose non vanno bene e lui si lega a un delinquentello che lo spinge a rapinare un bibliotecario. Uscito dai guai, grazie ancora una volta ai buoni uffici della parrucchiera, rischia grosso quando il figlio del rapinato vuole vendicarsi. Tuttavia ogni cosa finirà vene con la speranza che il giovane abbia superato il trauma dell’abbandono e capito quale strada sia meglio imboccare. Il film è girato con l’usuale stile pulito e tranquillo tipico di questi due cineasti, e costruisce un piccolo apologo sulla violenza del mondo e sui drammi dell’abbandono. E’ una storia apparentemente banale, ma che i due registi trasformano in un piccolo gioiello di sensibilità e introspezione psicologica.

La sezione Un Certain Regard ha presentato due titoli di rilievo. Bé omid è Didar (Arrivederci) viene dall’Iran, un tempo terra cinematograficamente più che feconda, e porta la firma di Mohammad Rasoulof cui le autorità di Teheran non hanno concesso il visto d’uscita e che, proprio in coincidenza con la prima proiezione al Festival, è stato convocato dalla polizia della cultura per non meglio precisate comunicazioni. Che le autorità iraniane non amino questo e altri registi non sorprende, poiché il film è un duro atto d’accusa contro la repressione politica e morale che vige in quel paese. E’ la storia di una giovane avvocatessa, moglie di un giornalista spedito dal regime a fare altre cose nelle zone semidesertiche del sud del paese, che, vista l’impossibilità di svolgere il suo mestiere, decide di emigrare. E’ incinta e gli annunciano, quando è troppo tardi per abortire, che il nascituro è affetto dalla sindrome di Down. Ha, dunque, molte ragioni per andarsene, ma dopo aver subito numerose umiliazioni – la perquisizione della sua casa da parte della polizia è una sequenza veramente straziante – la arrestano mentre sta per andare all’aeroporto con biglietto e passaporto regolari. E’ uno di quei film che fanno accapponare la pelle e denunciano, ancor meglio che decine di saggi o articoli, di quale ferocia si nutra il potere che chierici estremisti che tengono in mano il potere a Teheran.

Se quello iraniano è un film che induce alla rabbia Les Neiges du Kilimandjaro (Le nevi del Kilimangiaro) del francese Robert Guédiguian ci porta in un universo di speranza e buoni sentimenti. Ritornato nella sua Marsiglia dopo alcune escursioni parigine, il regista ci racconta i triboli di un sindacalista portuale che spinge la sua onestà sino a truccare l’estrazione per scegliere i venti operai da licenziare in cantiere, mettendo il suo nome al posto di quello di un altro. Disoccupato e melanconico, passa le giornate fra lavori casalinghi e ozio, sino al momento in cui lui, la moglie e una coppia di amici sono vittime di una rapina in cui due banditi rubano loro risparmi e denari raccolti dagli altri operai per compensarlo del suo lungo lavoro sindacale. Casualmente scopre che uno dei rapinatori è un suo ex – collega, licenziato anche lui, lo denuncia alla polizia e lo fa condannare. Quando ha un confronto con il ladro, si sente insultare e accusare di non aver adempiuto ai suoi compiti in modo adeguato. Sconvolto, finirà per prendere con sé, assieme alla moglie, i due fratelli del delinquente, due ragazzini che, altrimenti, rimarrebbero senza alcuna protezione. Più che ai vecchi ideali comunisti, tipici di questo regista, spira nel film una piacevole aria di socialismo romantico, rinforzato dalla molte citazioni di Jean Jaurès, uno dei padri della socialdemocrazia francese. E' un film ottimista e solidale che, di questi tempi, appare più che utile.