Festival di Cannes 2011 - Pagina 2

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Festival di Cannes 2011
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Il festival si è aperto con un piacevole e interessante film del più europeo fa i registi americani: Woody Allen. Midnight in Paris (Mezzanotte a Parigi) mette assieme l’autore ironico e riflessivo sull’esistenza con il cineasta fantasioso capace di immaginare le situazioni più originali. Gil e la fidanzata, quasi moglie, fanno un viaggio di piacere a Parigi con obiettivi notevolmente opposti. Lei è la classica americana che visita l’Europa come se andasse in colonia fra i selvaggi, lui adora il vecchio continente e lo guarda con gli occhi di chi si avvicina a un mondo ricco di storia e sede delle radici della cultura, quelle stesse che hanno costruito l’intellettualità americana. Sarà ricompensato con una sorta di sortilegio: a mezzanotte, a un certo angolo di strada, una vecchia auto passerà a prenderlo per trasferirlo nella Parigi degli anni fra le due guerre ove avrà modo di incontrare, chiacchierare, bere con monumenti dell’arte come Ernest Hemingway, Pablo Picasso, Gertrude Stein, Man Ray, Salvator Dali, Luis Buñuel. Un viaggio fantastico e affascinante nel passato che ne apre altri, come una galleria di specchi, che portano alla Belle Époque, poi all’ancien regime, giù giù sino alla fine dei tempi poiché c’è sempre un’epoca che crediamo d’oro, migliore di quella in cui viviamo. E’ questo il senso profondo del film: l’invito a smettere di sognare, fantasticare sul passato per vivere il presente con la coscienza delle sue contraddizioni, ma anche con la consapevolezza della sua inevitabilità. Il film è perfetto nella confezione, giustamente misurato nell’equilibrio fra ironia a malinconia, preciso nella riflessione sullo scorrere del tempo e sull’impossibilità di sfuggire alla propria condizione storica. Vi ritroviamo il meglio della parte fantastico/filosofica tipica del cinema di questo cineasta, senza gli appesantimenti moralistici che si scorgevano in alcuni dei suoi ultimi lavori.

La sezione competitiva è stata aperta dall’opera prima di un’australiana: Sleeping Beauty (La bella addormentata) di Julia Leigh. Una giovane studentessa ha un disperato bisogno di denaro, per questo si adatta a fare da cavia per ricerche mediche, a servire ai tavoli in un ristorante, a confezionare fotocopie in un ufficio. La sua vita è abbastanza imbrogliata, ha una madre con cui si limita a scambiare qualche telefonata, un ex-fidanzato tossicodipendente e di cui è ancora innamorata, amici che la ospitano solo per il suo contributo che alle spese. Un giorno, tramite un annuncio economico, viene in contatto con l’organizzatrice di cene per ricchi borghesi, prenzi molto riservati in cui le cameriere servono in sostanza nude. Da lì a salire in carriera diventando una bella addormentata, vale a dire una ragazza che è drogata, poi messa a letto nuda e così data in pasto alle voglie – penetrazione a parte – dei soliti ricchi depravati. Accetta tutto, trama persino di ricattare qualcuno fra i suoi occasionali compagni di letto, ma quando uno la sceglie come compagna di suicidio, al risveglio prorompe in un urlo di ribellione. E’ un film molto professionale nella costruzione e nell’interpretazione, ma non lineare e chiaro nella costruzione narrativa. Questo lo fa oscillare fra una sostanziale solidarietà verso la protagonista, un pizzico di voyeurismo – i nudi si sprecano – e uno sguardo freddo che, tuttavia, non riesce a cogliere un preciso filo conduttore. In definitiva una prova professionalmente matura, ma non del tutto convincente.