Festival di Karlovy Vary 2006 - Pagina 4

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Festival di Karlovy Vary 2006
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Volando Voy (Vado volando) dello spagnolo Miguel Albaladejo filma la biografia di un ragazzino che, ad undici anni, è già implicato in una marea di crimini, dagli omicidi alle rapine, ai furti d’auto e ai rapimenti. È un personaggio realmente esistito e che, nel 1980, finì in un istituto sperimentale per giovani in difficoltà. Dopo qualche incomprensione si integrò talmente nell’organizzazione di diventarne un testimonial, oltre che uno stimato pilota collaudatore di Formula Uno. L’opera oscilla fra il film d’azione e la parabola morale, rimanendo costantemente a mezza strada. È la classica produzione professionalmente corretta, ma nulla più.
Mezcal del messicano Ignacio Ortiz testimonia come questa cinematografia stia riscoprendo l’antica tradizione al fantastico e all’incubico cara alla cultura latinoamericana. In questo caso la regia tiene anche conto della realtà: se ieri la rappresentazione tendeva all’irreale assoluto, oggi ci si muove su un terreno che, in qualche misura, tiene conto anche delle regole del verosimile. Il film racconta la storia, in se banale, di una donna che ritorna al paese in cui ha vissuto da piccola e ove ha amato l’uomo della sua vita. La vicenda è destrutturata in tante altre storie, tutte debitamente immerse in atmosfere cupe, plumbee, piovose. Non c’è molto di nuovo sotto il sole: la stessa immagine fotografica e la costruzione stilistica rimandano a cose già viste altre volte.
Peregon (Transito) del russo Alexander Rogozhkin ci riporta nel bel mezzo della seconda guerra mondiale. Siamo nel 1944, in una base aerea dell’Unione Sovietica nella regione artica della Chukotka. Qui atterrano gli aerei, pilotati da giovani aviatrici americane, che gli Stati Uniti inviano all’URSS per rafforzarne la lotta antinazista. Ovvio che i severi e arrapati piloti russi di primo pelo, mandati a prelevare i nuovi velivoli, si sentono ringalluzziti e tentino in vario modo di conquistare le colleghe. Il film oscilla fra la commedia e il dramma, compreso un omicidio per ragioni sessuali. Ci sono anche alcune punture di spillo contro il regime e varie, moderate accuse ai crimini staliniani. Il film ha l’aspetto di una miniserie televisiva male adattata a film per le sale, con gli inevitabili sbalzi narrativi, i personaggi che scompaiono e un tono generale da piccolo schermo. E' un peccato perché questo regista ha diretto alcune opere di buon livello come Blokpost (Posto di blocco, 1998) e Kukushka - Disertare non è reato (2002).
Per finire, ecco qualche nota su alcuni nuovi film cechi. Abbiamo già detto di Kráska v Nesnázich (Bellezza nei guai) di Jan Hřebejk, veniamo ora a Ještĕ Žiju s Vĕšákem, Plácačkou a Čepicí (Il blues della iarda ferroviaria, 2006) degli esordienti Pavel Göbl e Roman Švejda, un film che rientra appieno nel catalogo delle opere agrodolci, più precisamente in qual filone lunatico, paesano e irriverente aperto, ad esempio, da testi come Treni strettamente sorvegliati (Ostře sledované vlaky, 1966) di Jiri Menzel. In una piccola stazione ferroviaria di provincia, un gruppo di tipi strambi vive come fuori del mondo. Sono figure legate da una solida amicizia che esclude tutto il resto e che coltivano un sentimento d’ironica e malinconica solidarietà, intessuta di bevute pantagrueliche, scherzi, indifferenza alle regole e alle gerarchie. Il capostazione tira avanti, giorno per giorno, senza troppe preoccupazioni e perdona facilmente le malefatte dei dipendenti che lavorano scherzano e si amano senza troppi pensieri né speranze. E' un film piacevole e dal gusto un po' antico che deriva da un testo teatrale e la cosa si nota in particolare dall’abbondanza dei dialoghi.