Festival di Il Cairo 2005

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Festival di Il Cairo 2005
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A Il Cairo fra stragi francesi e strapotere dei media albanesi

Image La ventinovesima edizione del Festival del Cinema de Il Cairo ha presentato un film francese di straordinario interesse. S’intitola 17 Octobre 1961 (17 ottobre 1961) e porta la firma d’Alain Tasma. La data è quella della notte in cui la polizia parigina tentò di stroncare la dimostrazione organizzata dal Fronte di Liberazione Nazionale (F.L.N.) algerino a sostegno della lotta per l’indipendenza e per dare forza ai negoziati segreti che erano in corso in Svizzera fra i rappresentati del presidente Charles De Gaulle e quelli del FLN. In risposta all’appello scesero in strada più di 20 mila magrebini, contro i 4 – 5 mila che le autorità si aspettavano; ci furono 11 mila arresti e violenze indicibili da parte delle forze dell’ordine.
L’FLN aveva ordinato una manifestazione pacifica, tanto che i partecipanti furono perquisiti uno ad uno dai rappresentanti del Fronte, nonostante questo i gendarmi spararono e picchiarono senza pietà. Ad incitarli all’odio, verso i ratti arabi, era stato, con particolare veemenza, il prefetto di Parigi Maurice Papon. Questi è una figura particolarmente ambigua nell’ambito del recente storia francese. Era stato uno dei funzionari della Repubblica di Vichy incaricati di scegliere gli ebrei da avviare ai campo di sterminio. Per questo suo ruolo, nel 1998, sarà condannato per complicità in crimini contro l’umanità. Alla fine della guerra era rientrato nell’amministrazione pubblica, fornendo un certificato di partecipante alla Resistenza, documento che Commissione degli ex combattenti del Dipartimento della Senna denunciò come falso sin dal 1952. Nonostante questi precedenti, fu nominato prefetto, prima in Corsica, poi per la regione algerina di Costantina, giusto negli anni in cui iniziava la lotta per l’indipendenza nazionale. Non si è mai saputo con certezza quanti manifestanti morirono in quella notte, molti corpi furono gettati nella Senna e non vi furono vere inchieste, né indagini degne di questo nome. Le stime parlano di un numero variabile fra i 50 e i 200 uccisi, con ipotesi più vicine alla seconda che alla prima cifra. E’ il classico scheletro nell’armadio con cui i francesi non hanno mai voluto fare i conti sino infondo, cancellandone persino le memorie. Si pensi che di quel massacro non è rimasta una sola immagine, nonostante fossero presenti centinaia di giornalisti, fotografi, cineoperatori. Gli spettatori attenti ricorderanno che questi fatti sono alla base di Niente da nascondere di Michael Haneke che ha vinto il premio per la migliore regia al Festival di Cannes 2005. Alain Tasma segue le varie tappe di questo mattatoio legalizzato attraverso alcuni personaggi di fantasia, ma che sintetizzano le esperienze di molte persone reali: i poliziotti razzisti e il vecchio brigadiere che, disgustato da ciò che ha visto, racconta tutto al direttore di un quotidiano che non pubblicherà una sola riga, il militante dell’FLN, la giornalista televisiva traumatizzata da ciò cui ha assistito e che si vede strappare dalle mani dai poliziotti la bobina con le immagini dell’assassinio di un giovane, il ragazzo che frequenta la scuola serale per diventare veramente francese ed è ucciso da un poliziotto che ha perso la testa, la signora borghese che aiuta, quasi controvoglia, gli organizzatori della manifestazione. E’ un insieme di storie girate molto bene, intrecciate in maniera emozionate e che formano il mosaico che regge un film d’alto livello emotivo e di toccante, coraggiosa denuncia politica. Il regista ha affermato che La battaglia d’Algeri (1965) di Gillo Pontecorvo, film vietato in Francia per oltre vent’anni, è stato un suo costante punto di riferimento. Ma non meno forti sono le influenze di opere come Z (1969) di Costa-Gavras o Sacco e Vanzetti (1971) di Giuliano Montando. E’ un testo di straordinaria importanza, il cui valore politico è persino maggiore dei meriti artistici. A Il Cairo il film è stato presentato ai soli giornalisti, dopo che il responsabile dell’Istituto Francese aveva rifiutato l’uso della sala a sua disposizione, si vede che, da quelle parti è ancora lontana la piena consapevolezza del crimine commesso in nome della legge.
Un altro titolo molto importante è stato Syri Magijik (L’occhio magico) dell’albanese Kujtim Çashku, di cui va ricordato almeno Kolonel Bunker (Il colonnello Bunker) (1996), primo film di quel paese sugli orrori e la follia che hanno segnato il regime d’Enver Oxa. Un anziano fotografo riprende la morte accidentale di un ragazzo. E’ il 1977, anno di gradi subbugli sociali causati dal crollo delle società a piramide che hanno bruciato i risparmi di milioni d’albanesi, illusi dai facili guadagni offerti da un capitalismo banditesco. La televisione, manovrata da un magnate dell’ultima ora, cavalca la morte del giovane, trasformandola in un caso d’odio razziale antialbanese. Inutilmente il vecchio fotografo tenta di far emergere la verità registrata nella vecchia bobina superotto che si porta dietro: il potere mediatico e quello, ad esso legato, della criminalità avranno ragione su tutto e su tutti. Il film colpisce per i riferimenti, voluti, alla situazione italiana ed è un grido d’allarme sui pericoli che circondano le società moderne. La storia è costruita come un classico film di fuga – l’eroe tenta di sottrarsi ai cattivi che lo braccano – e trova un particolare merito negli interpreti e in un ritmo narrativo agile e foriero d’importanti riflessioni. Al Festival ha ricevuto ben cinque riconoscimenti: della critica, per la sceneggiatura, per l’interpretazione maschile (Bujar Lako) e premio speciale della giuria.