Festival di Karlovy Vary 2006 - Pagina 2

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Festival di Karlovy Vary 2006
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Il riconoscimento per la migliore interpretazione maschile ha coronato Andrzej Hudziak, interprete di Pár osob, krátkej čas (Varie persone, un piccolo tema) del polacco Andrzej Barański. Il film racconta l’amicizia fra il poeta Miron Bialoszewski (1922-1983) e la poetessa non vedente Jadwiga Stańczak. I due ebbero una lunga e strana relazione professionale con il buio - fisiologico in lei, spirituale in lui – come terreno d’unione. Siamo alla metà degli anni settanta, con la rivolta di Solidarnosc e il golpe del generale Wojciech Jaruzelski. Di tutto questo non arriva quasi nulla nelle stanze e nei salotti in cui i due poeti vivono, lei con funzione quasi di madre, e nelle riunioni letterarie che animano. Il film è il classico prodotto colto, raffinato nelle immagini, ma assai poco originale. Krystyna Janda interpreta con sobrietà il ruolo della poetessa, ma anche la sua è una prestazione più professionalmente corretta che autenticamente nuova.
La giuria ha riservato una menzione speciale a L’enfant d’une autre (La figlia di un’altra), della francese Virginie Wagon, che si pone un quesito di difficile soluzione: una bimba, sottratta alla madre quando era ancora in fasce, e allevata da un’altra donna, ha come vera madre la prima o la seconda? Su questo tema ruota il film che racconta di una donna in carriera, ricca e matura, che riconosce in una ragazzina, incontrata per caso, la figlia che le era stata rapita in tenera età. Quando riuscirà ad avere le prove del suo diritto, sarà convinta a rinunciarvi avendo capito che il bene della piccola vuole che lei rimanga con quella che crede sua madre. È il classico film francese di buona qualità, con una sceneggiatura solida, ottimi attori, una storia modestamente originale, ma anche molte ovvietà e una chiusura profusa di buonismo e moralismo.
Fra i premi collaterali, da segnalare quello della federazione internazionale della stampa cinematografica (FIPRESCI) che ha scelto Valkoinen Kaupunki (Città gelata) del finlandese Aku Louhimies. È la radiografia delle ragioni che portano un uomo, prima, in prigione, poi, a tentare il suicidio. Veli-Matti, taxista d’Oslo, va in crisi, quando la moglie Hanna lo abbandona per un paio di mesi, lasciandogli i tre figli, uno dei quali piccolissimo. L’improvvisa partenza ha come pretesto una sua scappatella, ma, in realtà, la donna si è innamorata di un francese e vuole avviare una nuova vita. Lentamente, ma prevedibilmente, lui inizia la classica discesa agli inferi, che prevede crescita ossessiva dell’amore per la moglie, errori professionali con conseguente perdita del lavoro, problemi economici sino all’uccisione, in un impeto di rabbia, di un vicino molesto che gli ha ammazzato il porcellino d’india che aveva comprato per il compleanno della figlia. In carcere, l’ex – moglie gli comunica che sta per trasferirsi definitivamente all’estero con i figli, la stessa notte lui tenta d’impiccarsi, ma lo salvano. L’ultima sequenza lo mostra mente esce dalla prigione: forse una nuova vita è possibile. Il film è anche una rilettura ironica di Taxi Driver (1976) di Martin Scorsese, opera citata più volte e un cui manifesto campeggia nella cella del protagonista. È il ritratto di un uomo che l’amore, meglio, la mancanza d’amore porta lateralmente all’annientamento fisico. Non c’è nulla di particolarmente originale, ma l’insieme della storia è raccontato bene, con gusto e misura.
La giuria ecumenica, invece, ha preferito El Destino (Il destino) di Miguel Pereira in cui un trafficante di droga, travestito da prete, si nasconde in uno sperduto villaggio di confine fra Argentina e Bolivia, dopo essere scampato ad un agguato. Lo accolgono a braccia aperte e lui pensa bene di rubare il prezioso ostensorio ospitato nella chiesetta locale. Dopo qualche anno lo troviamo a Madrid intento a campare con il gioco delle tre tavolette, ma sempre ossessionato dal ricordo del popolo, generoso, primitivo e spirituale a cui ha contribuito a rubare l’anima. Il film è tratto da un romanzo di Hector Tizón e percorre vie abbastanza logore, organizza situazioni già viste e finisce col risultare, oltre che prevedibile, anche noioso.