Mostra del cinema di Venezia 2007 - 10° giorno

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Venerdì 7 Settembre - Decimo giorno
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12
All’inizio degli anni ’50 Reginald Rose (1920 – 2002) scrisse Twelve Angry Men (Dodici uomini arrabbiati) per la televisione. Il testo fu utilizzato da Sidney Lumet, nel 1957, per un film che, in Italia, uscì con il titolo La parola ai giurati. L’opera vinse il festival di Berlino dello stesso anno ed ebbe la nomination all’Oscar l’anno dopo. Trasformato in testo teatrale ebbe molte edizioni anche in Italia, una delle ultime messa in scena dal Teatro delle Muse. Nikita Michalkov - potente uomo d’apparato russo e cineasta discontinuo, ma sempre interessante - si è cimentato con questo testo in una versione andata in scena all’Istituto Teatrale di Mosca. Vi ritorna ora con un film, 12, che adatta e modifica sensibilmente il copione di partenza. La situazione rimane la stessa: dodici giurati si riuniscono in camera di consiglio per emettere un verdetto su un caso apparentemente lampante, il parricidio commesso da un giovane marginate, nel testo originale un ispanico, in questo film, un ceceno. Tutto sembra ridursi a poche formalità, sennonché uno dei giurati s’incaponisce e pretende di discutere il caso daccapo. Dopo molte ore e altrettante scoperte, la giuria emetterà un verdetto opposto a quello che si intravede all’inizio. Le differenze maggiori rispetto al testo di partenza riguardano i richiami alla guerra balcanica, i caratteri di alcuni personaggi e, soprattutto, il finale in cui il capogiurato, interpretato dallo stesso regista, segnala come l’assoluzione significhi, in realtà una condanna a morte per il giovane che, senza rendersene conto, è finito in mezzo ad un losco affare mafioso – immobiliare. C’è, poi, una sorta di postfinale in cui lo stesso attore – regista avvicina l’imputato promettendogli di lottare con lui contro coloro che vogliono ucciderlo. Sono differenze di non poco conto che confermano il carattere sostanzialmente e sottilmente ambiguo di buona parte del cinema di questo regista uso contrastare il potere, ma anche a lasciarsi una via di scampo per far intravedere gli anticorpi che animano la società. Un difetto non da poco, ma che, in questo caso, è ampiamente compensato da altri tre fattori: la solidità dell’opera, la bravura degli interpreti e il quadro della nuova Russia disegnato dalle storie, molte delle quali orribili, raccontate dei vari personaggi. Un film robusto che è molto piaciuto agli spettatori. La professionalità c’è tutta, l’originalità è quasi assente.
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Caos
Anche Youssef Chaine ama il cinema strettamente legato alla realtà. Il suo Chaos, realizzato assieme a Khaled Youssef, è un melodramma, genere favorito di questo regista, in cui si denunciano gli abusi polizieschi, la corruzione, le torture e la violenza che segnano la società egiziana. Un agente di polizia è solito spadroneggiare nel suo quartiere, taglieggiando commercianti e povera gente, grazie alla benevolenza dei superiori che ne apprezzano la ferocia nel trattare gli arrestati. Quando s’innamora di una giovane professoressa, fidanzata di un magistrato onesto ed entusiasta, compie il passo falso che lo porterà alla rovina. Il film è, come già detto, un melodramma popolare denso di scene strappalacrime e di colpi di teatro. E’ il tipo di film in cui l’abilità espressiva si mette al servizio di una fruizione popolare indispensabile a far accettare l’opera da parte di una platea di spettatori dai gusti semplici e dalle abitudini estetiche codificate. Qualche critico può anche storcere il naso, ma ci sono pochi dubbi sulla forza politica e l’impatto sociale di un’opera in una società come quella egiziana.
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Cristoforo Colombo - L'enigma
In una sezione collaterale è stato presentato l’ultima fatica del decano Manoel de Oliveira, il maestro portoghese ultranovantenne che continua ad affascinare sfornando almeno un film all’anno. Questa volta si è rivolto a Cristoforo Colombo con Cristovāo Colombo – O Enigma (Cristoforo Colombo – L’enigma) in cu si sostiene, sulla base di un libro di Manuel da Silva e Silva Jorge da Silva, che il grande navigatore era portoghese. Il ricercatore dedica la vita intera a dimostrare questa tesi ed è interpretato, nelle varie età, da diversi attori, l’ultimo dei quali è stesso regista. Messa da parte la tesi, a detta di molti storicamente non molto fondata, ciò che resta è un film davvero originale, costruito con grande sapienza e, a tratti, persino commuovente. La Mostra ha esaurito quasi tutte le sue cartucce, non rimane che attendere il verdetto dei giurati. Per quanto ci riguarda continuiamo a valutare positivamente Bang Bang Wo Aishen (Eros aiutami) dei taiwanese Lee Kang Sheng e In the Valley of Elah (Nella valle di Elah) di Paul Haggis, film che non hanno raccolto molti consensi da parte dei critici. Pregevoli anche La Graine et le miulet (La semola e il mulo) del franco tunisino Abdellatif Bechiche e Nightwaching (La ronda di notte) di Peter Greenaway che, invece, hanno avuto buona stampa. Molte perplessità ci suscita, invece, Les Amours d’Astrée e de Céladon (Gli amori di Astrea e Celadon) di Eric Rhomer che, secondo alcuni sarebbe il vincitore designato del Leone d’Oro. Come sui suol dire, vedremo.