Mostra del cinema di Venezia 2007 - 3° giorno

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Michael Clyton
Venerdì 31 Agosto – Terzo Giorno
Giornata davvero interessante questa terza della Mostra del Cinema. Il cartellone ha permesso di sviluppare qualche considerazione sul cinema americano e su quello nazionale, in uno con diverse riflessioni sulle differenze che li separano. Iniziamo dagli USA. Sono stati presentati due titoli assai diversi per stile, ma uniti nella conferma della capacità do questa cinematografia di coniugare grande spettacolo a osservazioni di forte attualità, mettendo assieme prestigio, abilità narrativa e ricerca di nuovi modi d’espressione. Michael Claynton è l'opera prima, come regista, dello sceneggiatore Tony Gilroy, autore della serie (The Bourne Identity, 2002; The Bourne Supremacy, 2004; The Bourne Ultimatum, 2007) tratta da libri di Robert Ludlum (1927 - 2001), incentrata sull’agente smemorato Jason Bourne (The Bourne Identity, 1980 - The Bourne Supremacy, 1986 - The Bourne Ultimatum, 1990). Il film racconta di un avvocato impiegato in un grande studio con l’incarico di aiutare i colleghi a contrastare la class action intentata da decine di contadini contro una società che ha messo in commercio un fertilizzante cancerogeno. Il capo del pool che lavora sul caso è travolto dall’angoscia dopo aver scoperto un vecchio documento in cui i tecnici dell’azienda confermavano la pericolosità del prodotto. Quasi impazzisce, passa alla parte avversa e diventa, per l’azienda e lo studio, un fattore di grande pericolo, tanto che qualcuno, un'avvocatessa in carriera, lo fa uccidere. Lo spazzino, come è definito il personaggio interpretato dal sempre bravo George Clooney, è legato da profonda amicizia con l’assassinato e non crede alla versione ufficiale del suicidio, per cui si mette a indagare per proprio conto, rischiano a sua volta di essere ammazzato. Anche se, nel finale, i buoni trionfano, il film offre uno spaccato terribile del potere che domina gli Stati Uniti, sia a livello di grandi imprese sia a quello di potenti lobby legali.
 
Il film è affascinante, costruito in modo mirabile secondo le regole di un prodotto rivolto al grande pubblico, ma tutt’altro che banale. Caratteristica che sintetizza una delle doti, forse la migliore, del cinema americano. Brian De Palma, autore famoso e pluripremiato, fra cui il Leone d’Oro a Venezia 2006 per The Black Dalia, ha abbandonato i moduli più direttamente commerciali per raccontare, in Redacted, termine con cui si designano i documenti ufficiali militari, lo stupro e l’uccisione di una quindicenne e dei suoi familiari da pare di alcuni militari americani di stanza in Iraq. Il film si basa su fatti realmente accaduti, per i quali alcuni militari sono attualmente sotto processo, e utilizza il linguaggio dei blog video per narrare le varie fasi del crimine, alternandole con brani di un immaginario documentario francese e di alcuni servizi televisivi, ugualmente falsi. Ne emerge un quadro allucinante della violenza bellica e dell’orrore di cui si nutre, un orrore reso particolarmente agghiacciante dalle vere immagini di morti e feriti civili con cui il film si chiude. Un testo apertamente contro la guerra e che ha il coraggio di guardare senza infingimenti ai crimini di cui si macchia ogni giorno un esercito che ha ormai assunto l’aspetto di un’armata d’occupazione. Davanti a opere come queste appare assai minore il valore del primo film italiano in concorso.
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Nessuna qualità per gli eroi
Nessuna qualità per gli eroi di Paolo Franchi racconta, con toni fra il noir e lo psicologico, la discesa agli inferi di un mediatore d’assicurazioni svizzero, con ufficio e debiti a Torino. Vessato da un direttore di banca che gli ha fornito, con tassi da strozzinaggio, il denaro necessario a far uscire la sua azienda da un momento di difficoltà, non sa più che fare, quando, improvvisamente apprende della scomparsa del creditore. L’uomo è stato ucciso dal figlio che, ora, cerca di mettersi in contatto con lui per incastrarlo come possibile assassino. Il delitto è stato commesso in odio al padre, secondo un complesso sentire che si riflette nei sentimenti che il debitore ha verso la memoria del genitore, un noto pittore. Quando le cose sembrano risolversi sarà lui ad addossarsi il delitto, quasi per espiare il dolore di una vita irrisolta e lacerata. Il quadro psicologico è preciso, gli attori sono bravi, le tanto attese scene di sesso esplicito non gratuite, ma ciò che manca è una sorta di collegamento con il mondo reale. Un quadro perfetto, ma privo di vera comunicativa con chi guarda. Ecco, questo gelo è il segno della maggiore differenza fra il nostro cinema e quello d’oltreoceano.
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24 battute
Si è aperta anche la Settimana Internazionale della Critica con la presentazione di 24 Mesures (24 battute) del francese Jalil Lespert. Quattro personaggi, soli, disperati, privi di futuro, ma, nello stesso tempo, presi da movimenti vorticosi, quasi privi di senso, proprio come quelli dello stormo di uccelli che compare poco dopo l’inizio del film e in prefinale. Jalil Lespert, attore di buona fama (Le passeggiate al Campo di Marte, 2005 - di Robert Guédiguian, Risorse umane, 2000 - di Laurent Cantet), esordisce nel lungometraggio con una storia ad incastro che ruota attorno a Didier, un taxista il cui padre giace moribondo all’ospedale, Helly una drogata a cui è stato sottratto il figlio per mandarlo in un istituto pubblico, Chris un batterista che deve partecipare ad un’audizione per il gruppo del famoso jazzista Archie Shepp, Marie una giovane dalle tendenze lesbiche, oppressa da una madre invadente e incapace di accettare in pieno la propria sessualità. Le storie di questi personaggi s’intersecano in una notte di Natale, più accennata per fugaci particolari che sbandierata. Saranno incontri dagli esiti anche tragici, ma serviranno a costruire brevi oasi di quiete in cui sostare prima di ripartire per andare avanti od essere travolti dal vortice del mondo. Il tutto intrecciato ad un rumoroso silenzio di Dio che pesa più di un macigno. Non ci è nessuna spiegazione o perorazione di quest’assenza, ma è proprio la mancanza di una possibilità di dialogo o di scopo a rendere desolata e drammatica la condizione di esseri sballottati da forze cui non sanno opporre una vera resistenza. Solo un momento d’amore a tre, nel chiuso di una stanza d’albergo, offrirà un momento di pace da cui, forse, ripartire. Il film è girato con stile nervoso, senza alcuna concessione allo spettatore, puntando spesso la macchina da presa sul volto di uno dei personaggi, prediligendo le atmosfere cupe e gli interni fumosi. Non tutto appare di prima mano e le psicologie dei personaggi, qualche volta, sono più suggerite che definite in modo compiuto, ma la prova è stata brillantemente superata.