Mostra del cinema di Venezia 2007 - 4° giorno

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Sabato 1 Settembre – Quarto Giorno
Il cinema americano conferma forza e sensibilità civile con opere capaci di cogliere l’attenzione del grande pubblico, costruire impalcature stilistiche professionalmente solide, affrontare temi socialmente e politicamente rilevanti. E’ un discorso che abbiamo già fatto a proposito di Michael Clayton di Tony Gilroy e che ritorna, con ancor maggior forza, a proposito di In the Valley of Elah (Nella valle di Elah) dell’americano, d’origine canadese, Paul Haggis, lo sceneggiatore di fiducia di Clint Eastwood (Million Dollar Baby, 2004; Flags of our Fathers e Letters of Iwo Jima, 2006) e vincitore dell’Oscar con il film d’esordio: Crash – Contatto Fisico (Crash, 2005).
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The Valley of Elah
Il tema è ancora una volta quello delle drammatiche conseguenze della guerra in Iraq, qui riassunte nella morte misteriosa e nello smembramento del corpo di un giovane marine, da poco rientrato in patria. Il padre, un veterano della polizia investigativa dello stesso corpo, avvia una sua indagine aiutato da una giovane agente della polizia locale sino a scoprire gli assassini. Il tema centrale è quello dell’abitudine a commettere atti d’incredibile crudeltà, come se niente fosse. In altre parole la bestialità quotidiana indotta dalla vicinanza all’orrore. Tommy Lee Jones capeggia da par suo un cast stellare in cui compaiono anche Charlie Theron e l’intramontabile Susan Sarandon. La condanna della guerra bushiana è inappellabile e totale (i discorsi del presidente con il loro criminale ottimismo accompagnano molte scene d’alta drammaticità) così come il valore simbolico dell’immagine finale: la bandiere a stelle strisce appesa allla rovescia a significare, come spiega il protagonista all’inizio, siamo nei guai, non sappiamo come uscirne, per favore aiutateci. La forza del film nasce anche dall’aver scelto come protagonista un uomo d’ordine animato, all’inizio, da forte spirito patriottico e pervaso da sentimenti quasi razzisti verso neri e messicani.
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In questo mondo libero
Anche Ken Loach affronta, con It’s a free world... (In questo mondo libero...), un drammatico tema sociale, quello dell’emigrazione di milioni di poveracci dai paesi dell’ex – impero sovietico, venuti in occidente per essere sfruttati in modo del tutto inumano. Il filo conduttore lo offre una giovane che lavora nel campo del lavoro interinale e che sperimenta sulla propria pelle il peso della gerarchizzazione della società. Per uscirne si farà, a sua volta, aguzzina dei poveri, sino a diventare una vera mercante di neo – schiavi. Il film è liberare nell’esposizione, non privo di tirate politiche, cede nella parte in cui sfiora il film criminale nell’episodio del rapimento del figlio della protagonista da un gruppo di lavoratori truffati, parte che lascia intravedere le simpatie anarchico - trotskiste del regista verso il popolo che si fa giustizia da solo. Un film forte, di netto impianto politico, ben costruito e giustamente realista, uno dei migliori di questo regista. Purtroppo non si può dire la stessa cosa di Les Amours d’Astrtée e Céladon (Gli amori di Astrea e Céladon) che il maestro Eric Rohmer ha tratto dal testo barocco L’Astrée di Honoré d’Urfé (1568 -1625). Un po’ come è solito fare Jean-Marie Straub l’ambientazione è quella della campagna reale e delle stanze di un vero castello, il taglio è semplice, quasi da film vecchio stile (la dedica è ad un altro cineasta: Pierre Zucca, 1943 - 1995). Qui s’intrecciano gli amori di pastorelle e pastori sotto lo sguardo saggio del signore dei druidi. Un film molto vecchio stile, quasi un reparto da cinema muto, ma più un esercizio di stile che non una proposta originale. Come dire che, anche i grandi, qualche volta sonnecchiano.
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Piccoli dei
Alla Settimana della Critica è stato presentato Small Gods (Piccoli dei) opera prima del belga d’origine greca Dimitri Karakatsanis. E’ un film che usa immagini e storie realiste per costruire un discorso fantastico denso di personaggi che forse esistono e, forse, sono frutto della fantasia della protagonista. Apparentemente la struttura è semplice: un avocato, chiamato a difendere una giovane madre dall’accusa di infanticidio (nel tentativo di suicidarsi ha causato la morte del figlio), chiede alla donna di raccontargli come sono andate le cose. Nel corso di un pomeriggio e una notte lei gli narra una storia priva di riscontri pratici, basata su una sorta di personaggio misterioso che l’avrebbe rapita dall’ospedale, in cui era ricoverata dopo il tentativo di suicidio per guidarla in un viaggio, apparentemente senza, meta su un camper rubato. In realtà una meta c’era ed è il sequestro e l’uccisione del padre della donna, colpevole di averla segregata e maltrattata quando era un’adolescente. Ai due si sarebbe unita, quasi subito, una giovane fuggita da un orfanotrofio dove era finita dopo essere sopravvissuta allo sterminio della sua famiglia da una banda di delinquenti itineranti. L’ossatura del film guarda alle inquietudini e ai dolori di una giovinezza immersa in un mondo segnato dalla violenza e la rabbia. Violenza e rabbia che partoriscono stupri, pestaggi, ma anche emarginazione economica (la sequenza del licenziamento) e cancellazione di qualsiasi senso delle proporzioni fra ferocia e benefici (il massacro della famiglia compiuto da una banda itinerante). Lo stile è ottimo e l’assonanza fra i triboli della protagonista e un paesaggio sconciato da un’industrializzazione, subito trasformata in abbandono e degrado, aggiunge un elemento d’interesse. Per quanto non manchi qualche eccesso nella frammentazione della storia e anche se, qualche volta, la regia indulge in snodi non del tutto comprensibili, il film segna un esordio ottimo e promettente.