Mostra del cinema di Venezia 2007 - 9° giorno

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Giovedì 6 Settembre - Nono giorno
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Il detective stregone
Siamo alle ultime uscite e la Mostra del Cinema si presta ad un primo bilancio, che è sicuramente positivo nel senso che la selezione ha allineato, mediamente, film di buon livello, anche se nessuno ha toccato quell’eccellenza che ci s'attente da una grande rassegna cinematografica. Le ultime ore ci hanno portato una delusione, una mezza delusione e una conferma. La delusione è quella che causata da Mad Detective (Il poliziotto stregone) degli hongkonghesi Johnnie To e Wai Ka Fai, due registi di culto per una certa generazione di critici, due onesti professionisti con qualche spunto geniale per un’altra. Questo loro ultimo lavoro mette assieme il poliziesco d’azione con la storia di fantasmi, uno dei generi tipici del cinema cinese. Un ispettore, messo in pensione causa gli stravaganti modi d’agire – sostiene di vedere i demoni che popolano il mondo e di risolvere i casi grazie alle intuizioni metapsichiche – è richiamato in servizio per risolvere il mistero della scomparsa di un agente e della comparsa della sua pistola nel corso di alcune rapine. Ci riuscirà al prezzo della vita e il suo sacrificio farà emergere il marcio che si annida nelle fila della polizia, anche se le cose saranno debitamente messe a tacere. Il film è sontuoso nella realizzazione, vorticoso nei movimenti di macchina, originale nelle inquadrature, ma è anche percorso da un senso di già visto che, alla lunga, ne diminuisce il valore. Era il film sorpresa in cartellone e, scusandoci per il gioco di parole, possiamo dire che di sorpresa ce n’è stata ben poca.
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L'ora di punta
Anche il terzo lungometraggio di Vincenzo Marra, uno dei migliori giovani registi di cui disponga il nostro cinema, non ha convinto del tutto. E’ quasi impossibile ritrovare in questo L’ora di punta la freschezza e il calore espressivo che permeavano Tornando a casa (2001), Vento di terra (2004) e quello straordinario ritratto della malagiustizia che è L’udienza è aperta (2006). E’ la storia di un agente della guardia di finanza che si lascia corrompere e si fa faccendiere sino a diventare complice di un omicidio. Il racconto ha scansioni e taglio narrativo comuni a decine di altri film di genere. Rifiuta, è vero, il lieto fine con il consueto trionfo dei buoni, ma naviga stilisticamente su un terreno abbondantemente collaudato. Gli nuoce, poi, l’interpretazione di Michele Lastella, troppo bello e immobile per dare credibilità ad un personaggio, a suo modo, molto complesso.
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La roonda di notte
La migliore occasione della giornata è venuta da Peter Greenaway che, in Nightwatching (La ronda di notte), ci offre una personale interpretazione del famoso quadro di Rembrandt van Rijn. Secondo il regista l’opera conterrebbe la denuncia dei una congiura, con tanto di omicidio, avvenuta nei ranghi della Milizia Civica di Amsterdam nel 1642. Il tutto è inserito nella ricostruzione della vita del pittore, dall’amore disperato per la moglie Saskia, alle relazioni con le fantesche di casa, sino alle minacce e aggressioni dei congiurati. Il quadro, oggetto di forti critiche da parte dei committenti e motivo di una campagna diffamatoria che rovinò finanziariamente il pittore, segnò una sorta di punto di svolta nella vita dell’artista: dalla prosperità alla quasi indigenza. Il film è molto bello, con immagini costruite, secondo la consuetudine di questo regista, come quadri dell’artista in questione. Luci dorate, ombre incombenti, lampi di colori vivaci si accompagnano alla materialità dei dialoghi - in cui spesso si parla di soldi, ma anche di sesso e attributi fisici – in un contrasto produttivo e sublime fra la grandezza dell’arte e la materialità del mondo. Un film che aggiunge poco al lavoro, già affermato, di questo creatore (Peter Greenaway oltre che regista cinematografico è anche autore di quadri, installazioni e liberi d’arte), ma che ci immerge in un cinema originale, intelligente e raffinato.
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Distacco
La Settimana della Critica ha presentato Otryv (Distacco), film d’esordio dello sceneggiatore russo Aleksandr Mindadze di cui si ricorda la lunga collaborazione con il regista Vadim Abdrashitov (Okhota na lis, Caccia alla volpe, 1980; Parad planet, La parata dei pianeti, 1984; Plyumbum, ili ograsnaya igra, Plumbum - Un gioco pericoloso, 1986), autore di un cinema che, nel panorama notevolmente conformista dell’URSS di quegli anni, si è segnalato per inquietudine e voglia di trattare argomenti brucianti come le associazioni paramilitari, il caos nell’esercito, il clima di generale voglia di delazione. Nella nuova Russia sono molte le cose rimaste uguali al passato e questo film tenta di individuarne alcune ricorrendo, com’è consuetudine di questo sceneggiatore, ad un tessuto narrativo tradizionale: l’inchiesta condotta dai parenti d’alcune vittime di un disastro aereo. Il cammino che due uomini intraprendono per scoprire la verità sulle cause della morte di moglie e amante, si scontra con una verità ufficiale che vuole zittire tutto, magari tacitando i riottosi con un pugno di rubli. Del resto saranno gli indagatori stessi a finire col rassegnarsi, salvo un sussulto di dignità all’incontro con un poveraccio che iniziò l’indagine assieme a loro e che ora è ridotto alla condizione d’accattone. Il film mette molta carne al fuoco e affronta la storia ricorrendo a non poche ellissi narrative, alcune delle quali rischiano di rendere oscuri gli eventi. In altre parole è un testo più interessante per denuncia della grigia continuità burocratica che unisce l’ieri all’oggi che non per l’impatto su temi specifici. Lo stile predilige i movimenti di camera persino troppo nervosi e le immagini in primo e primissimo piano. Quest’ultima scelta deriva, con buona probabilità, dai rapporti con la televisione e conferisce al film un tono soffocante, anche più del necessario.