11°Sevilla Festival de Cine Europeo - Pagina 5

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11°Sevilla Festival de Cine Europeo
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172057-blind-0-230-0-341-cropNella sezione EFA del Festival abbiamo visto Blind (Cieca), film d’esordio del norvegese Eskil Vogt, premiato nei Festival di Sundance, Berlino e Istanbul. Racconto di due storie parallele, quella di Ingrid (Ellen Dorrit Petersen) e di Elin (Vera Vitali), eroina di una piccante avventura che lei sta scrivendo. Ingrid è giovane, il marito Morten (Henrik Rafaelsen) è architetto. Da quando lei ha perso la vista, si è rinchiusa in casa, dove si sente protetta, e scrive al computer le disavventure di Elin, madre di una bambina. Sorta di alter ego di Ingrid, anche Elin ha perso la vista e lei la immagina tradita dal marito. Nella sua immaginazione, poi, vede il marito nascondersi in un angolo per osservarla a sua insaputa. E suggerisce che molte scene vengano viste da Einar, (Marius Kolbenstvedt), voyeur della finestra dirimpetto, navigato e solitario pornografo. Considerando che la vista di Ingrid è legata ai ricordi, il regista punta sul fatto che lei voglia inventarsene un’altra ricca di risvolti improbabili. Ne scaturisce una vicenda apparentemente confusa, ora attenta alla psicologia della non vedente, ora grottesca e a volte leggermente erotica. Dura novantasei minuti.
El camino más largo para volver a casaIn concorso è stato presentato El camì més larg per tornar a casa (Il cammino più lungo per tornare a casa), film d’esordio dello spagnolo Sergi Pérez. C’era materia per un mediometraggio, ma il regista ha scelto una chiave esistenziale per descrivere il malessere di Joel, (Agost Alustiza), giovanotto lasciato dalla moglie, e i tempi del racconto si allungano. Lo troviamo a letto, appena scosso dal suono del telefono. Non sentendo reagire il cane che la moglie gli ha lasciato, si alza e scopre che sta male. Lo porta in fretta dal veterinario e dimentica le chiavi di casa. E’ l’inizio di un’odissea urbana alla ricerca di una copia delle chiavi visto che lui non vuol parlare con i genitori. L’amico che potrebbe aiutarlo, sta traslocando. Indispettito dalla situazione abbandona il cane in un prato. Qualcuno lo trova e lo porta alla protezione animali. Rintracciato, Joel riprende il cane, ma questa volta va più lontano, nel bosco, deciso a seppellirlo. Improvvisamente un barlume di coscienza sembra farlo emergere dal torpore. Corre dal veterinario, accetta la spesa per operarlo, e se ne torna sotto casa, sedendo sul marciapiede, in attesa. Dura novantacinque minuti, anche se sembrano molti di più: tra speranza e desolazione, un film che non si cura dei modelli del cinema commerciale.   
Affiche-CabalaSperimentale, ma ficcante è anche un altro film spagnolo, visto nella sezione Resistencias. Càbala canìbal (Cabala cannibale), sono sessantasei minuti di Daniel V. Villamediana, trentanovenne insegnante di cinema a Valladolid, qui al terzo lungometraggio. Girato con una doppia immagine, e a volte con una sorta di finestra che sembra aprirsi verso l’infinito, tra documento e finzione, il film trae spunto dal ritrovamento, nell’intercapedine di un vecchio muro della casa familiare, di un antico libro, Zohar di Mosé de Leòn. Ritrovato in terra di Castiglia, è il libro essenziale della cabala ebraica. Parla degli antenati del regista, ma anche dell’inquisizione, dell’esodo e dei giudei convertiti, e delle correnti sotterranee della cultura spagnola. Sul filo della memoria dei ricordi di sua nonna, associati a ricerche colte, l’opera, ricca di nozioni e di curiosità storiche, suggerisce, spesso in maniera vivace, che nel libro era previsto anche il cinematografo, prima della sua nascita come industria.