10 Novembre 2014
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11°Sevilla Festival de Cine Europeo |
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Presentato fuori concorso al Festival merita una citazione La ignorancia de la sangre (L’ignoranza del sangue) di Manuel Gòmez Pereira. Non è un bel film, ma è stato girato a Siviglia con due bravi attori, Juan Diego Botto e Paz Vega. Miglior film del regista, Reinas, distribuito anche in Italia, e qualche commedia. Qui, adattando il romanzo di Robert Wilson, il cineasta si trova impelagato in una storia di ricatti e di sequestri tra la mafia russa e la jihad islamica. Un noto mafioso russo che stava scappando con otto milioni di euro perde la vita in un incidente stradale. Appena se ne occupa Javier Falcòn, detective della Omicidi, il bambino della sua compagna è sequestrato. Convinto di una lotta tra due potenti mafiosi russi, il poliziotto non considera che il suo miglior amico, agente segreto marocchino, è sotto ricatto da parte dei suoi superiori che vogliono il suo figlio diciassettenne come soldato per la jihad. Girato tra Spagna e Marocco, il film si protrae per centotredici minuti, ma c’è molta più suspense in quranracinque minuti di serie TV che in questo prevedibile film d’azione.
Promettente, invece, il secondo film di Angel Santos Las altas presiones (Le alte pressioni) che getta uno sguardo malinconico sulla gioventù della Galizia, a Pontevedra, dove un giovane ritorna alla ricerca di alcune localizzazioni per un film. Miguel, irrisolto e frustrato, torna tra vecchi amici giocando la carta di chi si è affermato fuori. Filmando i luoghi e gli amici, il giovane ha la sensazione di riprendere una vita che gli era sfuggita. Ritrova l’affetto degli amici e delle ragazze, ma si mantiene freddo e distaccato. Alla fine si trova a suo agio con una giovane che lavora in una clinica ma che dedica il tempo libero alla recitazione: lei sembra ricambiarlo, ed è come uno spiraglio che si apre per un nuovo inizio. Un incontro imprevisto rompe l’incanto. Miguel si richiude in se stesso e si abbandona ad atti di autolesionismo. Non tutto, però, è deciso. Ottantacinque minuti che ricordano gli inizi di Eric Rohmer. E’ stato presentato in prima visione spagnola dopo l’anteprima mondiale al Festival coreano di Pusan.
Molto peggio vanno le cose per Jason, gitano di diciotto anni che sta per abbracciare la fede cristiana. Mange tes morts (Mangia i tuoi morti), secondo film del francese Jean-Charles Hue, già nella Quinzaine di Cannes, si apre su un campo nomadi dove improvvisamente irrompe rumorosamente il fratellastro di Jason, Fred, rilasciato dopo quindici anni di prigione per aver investito un agente durante il furto di un camion. All’euforia del ritorno, segue subito l’invadenza di Fred che mobilita fratellastro, fratello e cugino per il furto di un camion di rame a spese di un amico di Jason che è il guardiano della piazzola di sosta. Dapprima riluttanti, i giovani accettano, ma l’impresa notturna è destinata a fallire. Dopo quindici anni, Fred ha perso smalto, non conosce più la rete stradale, e sbaglia anche i tempi. Inoltre l’improvviso e violento assalto del cane da guardia li costringe alla fuga. Con un atto di coraggio, Fred riesce a eludere la polizia e a riportare i tre al campo, ma per uno che è stato tanto tempo al fresco non c’è scampo. Film d’azione, teso e notturno, scorre rapidamente lungo novantaquattro minuti, affrontando anche il problema dei nomadi, le cui tradizionali attività sono state superate dai tempi. Il regista sembra suggerire che o ci si integra nella società accettandone i comportamenti o si rischia di essere eliminati.
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