11°Sevilla Festival de Cine Europeo

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11° Festival del cinema europeo di Siviglia

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posterlaignoranciadelasangreLa ignorancia de la sangre (L’ignoranza del sangue) del regista spagnolo Manuel Gòmez Pereira ha inaugurato in anteprima mondiale il Festival, giunto alla 11° edizione, che presenta in catalogo duecento film inediti in Spagna e diciotto nella sezione ufficiale di concorso. Forse sono i meno interessanti a livello internazionale perché circa la metà erano a Cannes e Venezia. Quattro i film francesi, tre quelli italiani (Hungry Hearts di Saverio Costanzo, Incompresa di Asia Argento, Le meraviglie di Alice Rohrwacher). Le opere da scoprire sono, invece, nella dozzina di sezioni parallele, tra le quali emergono Las Nuevas Olas, Resistencias, Europa Junior, Selecciòn Efa, Panorama Andaluz e il paese ospite, l’Austria.

Curioso il film dell’estone Veiko Ounpuu, nella sezione Nuevas Olas, Free Range / Ballaad maailma heakskiitmisest (Gamma libera / Ballata sull’approvazione del mondo). Premiato a Venezia Orizzonti nel 2007 per Autumn ball (Palla autunnale), il 42enne regista ha tentato la carta dell’artista maledetto raccontando le stravaganze di Fred, critico cinematografico ventinovenne con pretese di autore, licenziato dal direttore per aver scritto critiche piene di imprecazioni. A casa scopre che la moglie è incinta. Che fare? Va a lavorare in cantiere, ma è subito cacciato. Assunto in un magazzino per sistemare la merce in arrivo, combina guai e viene messo a free-range-ballaad-maailma-heakskiitmisest-dvdcontrollare entrata e uscita dei camion. E lì si addormenta come faceva spesso nei lavori precedenti. Indispettito, molla tutto. Difficile prendere sul serio il percorso di un autore che ha scritto una cosa a metà e che persino la moglie si rifiuta di leggere. E più difficile accettare un giovane contro il Sistema che fa spesso bisboccia con gli amici, dorme sul lavoro e che più che in rivolta si mostra apatico e distante. Il regista ha puntato anche sulla musica di Janne Laine e su alcune immagini evocative, ma non sollecita empatia un personaggio sbandato, spesso arrogante e che se ne frega degli altri.
Più interessante, nella stessa sezione, Los hongos (I funghi) del colombiano Oscar Ruiz Nava, premio della giuria nella sezione registi del presente al festival di Locarno. Girato a Cali, città colombiana di oltre un paio di milioni di abitanti, il film narra di due adolescenti, Ras e Calvin, che di notte riempiono di graffiti i muri della città. Raf viene dai sobborghi e si realizza nelle pitture murali; Calvin frequenta l’accademia di belle arti, vive con la nonna malata di cancro, e a volte visita il padre, los-hongos-web-contravianoto cantante con apparizioni in Tivù. Diversi per estrazione sociale, ma uniti da sogni adolescenziali i due partecipano a popolari raduni musicali. A notte inoltrata vanno poi a completare le pitture murali. Uno in bicicletta, l’altro su pattini, sfuggono sempre alle incursioni della polizia. La notte che sono catturati, gli agenti li puniscono abbandonandoli nella campagna, molti chilometri fuori città. E lì scoprono la natura, il piacere di camminare nei boschi e di bagnarsi sotto una cascata. E’ una rivelazione, forse il momento di uscire dall’adolescenza. Interpretato con misura, lungo cento tre minuti, il film è come uno sguardo sul passato, sulla propria adolescenza, narrato con realismo e con perfetta conoscenza dei tempi cinematografici.


10634019 10152893288837265 4582613489378385334 oIn concorso al Festival è stato presentato il film portoghese che ha vinto il premio di regia del recente Festival di Locarno. Cavalo dinheiro (Cavallo soldi) di Pedro Costa si riallaccia all’ultimo della sua trilogia (Ossos, No quarto de Wanda, Juventude en marcha) e dell’ultimo ripropone il protagonista, Ventura, capoverdiano che vive a Lisbona nel quartiere di immigrati di Fontainhas. A cavallo tra la rivoluzione dei garofani e l’attuale crisi, il film presenta un uomo in età avanzata, tentennante e malato di nervi, che è ricoverato, assistito da connazionali che con lui hanno condiviso la lotta per la libertà. Sfiancato da anni di clandestinità, le mani tremolanti, Ventura tuttavia mostra una sorprendente lucidità, turbata però dal peso dei ricordi e di situazioni non risolte. Ha perso tutto, incluso il cavallo che dà il titolo al film, ma è rimasto integro nei suoi convincimenti. Il film dura centoquattro minuti, mostra gli aspetti più degradati del quartiere, fabbriche dismesse e fatiscenti, scantinati e gallerie senza luce, vicoli insicuri. Ripreso essenzialmente di notte, con immagini non prive di suggestioni, il film si affida a un personaggio con alle spalle una storia di povertà e di lavoro logorante, il quale si sente spinto a rispondere a tanti interrogativi che sorgono dal suo passato, convinto però che ormai vita e morte si equivalgano. Nella seconda parte viene ripresa la disanima col soldato sconosciuto in uno spazio chiuso, iniziata nel film precedente. Interpreti: Ventura, Vitalina Varela, Tito Furtado.
In concorso anche un film che era nella Semaine de la critique a Cannes, la produzione franco-israeliana 339171Haganenet (Maestra d’asilo) di Nadav Lapid, secondo film dopo il premiato Policeman del 2011. E anche qui come nel film portoghese si potrebbe dire che l’inferno è tutto nella testa della protagonista. Siamo a Tel Aviv ai nostri giorni e i fantasmi che si agitano nella mente di Nira, felicemente sposata e madre di due adolescenti, nascono dall’incontro col piccolo Yoav, capace a cinque anni di brevi e sorprendenti componimenti poetici. Il padre è un uomo d’affari, sua madre se ne è andata, la giovane governante utilizza i suoi testi declamandoli in un cabaret. Anche lei ne approfitta citandoli durante sedute di poesia tra gli insegnanti della scuola, ma sa che il padre vuol fare di Yoav un uomo d’affari, e che l’ispirazione poetica del bambino potrebbe esaurirsi presto. Quindi farà di tutto per sottrarlo alla tutela della governante, ma la sua convinzione la spingerà a soluzioni estreme. Interpretato da Sarit Larry e dal piccolo Avi Shnaidman, il film è una cronaca lunga due ore di un desiderio di protezione trasformatosi in ossessione.
stdNella sezione Nuevas Olas, il terzo film del catalano Pere Vilà Barcelò La fossa, ambientato alcune settimane dopo la morte di Franco. Josep, ultraottantenne ricoverato in un ospizio per anziani, sentendo alla radio la notizia del ritrovamento di una fossa comune nella zona dove si era combattuta la battaglia dell’Ebro, scappa dalla clinica e s’inoltra nei boschi immettendosi su sentieri percorsi durante la guerra civile. Rivive nella memoria l’incontro burrascoso con la moglie dopo vent’anni di clandestinità, quando di ritorno dalla Francia la ritrovò sposata e madre di due figli, poi si riconcilia con quei luoghi dove vorrebbe concludere la sua esistenza. E farà di tutto per sfuggire agli infermieri che lo stanno cercando. Interpretato da Alex Monner, Emma Vilarasau e Lluis Homar, novanta minuti in bianco e nero, il film tenta una riflessione sulle fosse comuni della guerra civile, luoghi di vite troncate, di drammi dolorosi, di vicende sospese e di immense frustrazioni.


La ignorancia de la sangre-638064259-largePresentato fuori concorso al Festival merita una citazione La ignorancia de la sangre (L’ignoranza del sangue) di Manuel Gòmez Pereira. Non è un bel film, ma è stato girato a Siviglia con due bravi attori, Juan Diego Botto e Paz Vega. Miglior film del regista, Reinas, distribuito anche in Italia, e qualche commedia. Qui, adattando il romanzo di Robert Wilson, il cineasta si trova impelagato in una storia di ricatti e di sequestri tra la mafia russa e la jihad islamica. Un noto mafioso russo che stava scappando con otto milioni di euro perde la vita in un incidente stradale. Appena se ne occupa Javier Falcòn, detective della Omicidi, il bambino della sua compagna è sequestrato. Convinto di una lotta tra due potenti mafiosi russi, il poliziotto non considera che il suo miglior amico, agente segreto marocchino, è sotto ricatto da parte dei suoi superiori che vogliono il suo figlio diciassettenne come soldato per la jihad. Girato tra Spagna e Marocco, il film si protrae per centotredici minuti, ma c’è molta più suspense in quranracinque minuti di serie TV che in questo prevedibile film d’azione.
lasaltaspresionesPromettente, invece, il secondo film di Angel Santos Las altas presiones (Le alte pressioni) che getta uno sguardo malinconico sulla gioventù della Galizia, a Pontevedra, dove un giovane ritorna alla ricerca di alcune localizzazioni per un film. Miguel, irrisolto e frustrato, torna tra vecchi amici giocando la carta di chi si è affermato fuori. Filmando i luoghi e gli amici, il giovane ha la sensazione di riprendere una vita che gli era sfuggita. Ritrova l’affetto degli amici e delle ragazze, ma si mantiene freddo e distaccato. Alla fine si trova a suo agio con una giovane che lavora in una clinica ma che dedica il tempo libero alla recitazione: lei sembra ricambiarlo, ed è come uno spiraglio che si apre per un nuovo inizio. Un incontro imprevisto rompe l’incanto. Miguel si richiude in se stesso e si abbandona ad atti di autolesionismo. Non tutto, però, è deciso. Ottantacinque minuti che ricordano gli inizi di Eric Rohmer. E’ stato presentato in prima visione spagnola dopo l’anteprima mondiale al Festival coreano di Pusan.
eSsnIbHHegwprqUTdauvshHxEYNMolto peggio vanno le cose per Jason, gitano di diciotto anni che sta per abbracciare la fede cristiana. Mange tes morts (Mangia i tuoi morti), secondo film del francese Jean-Charles Hue, già nella Quinzaine di Cannes, si apre su un campo nomadi dove improvvisamente irrompe rumorosamente il fratellastro di Jason, Fred, rilasciato dopo quindici anni di prigione per aver investito un agente durante il furto di un camion. All’euforia del ritorno, segue subito l’invadenza di Fred che mobilita fratellastro, fratello e cugino per il furto di un camion di rame a spese di un amico di Jason che è il guardiano della piazzola di sosta. Dapprima riluttanti, i giovani accettano, ma l’impresa notturna è destinata a fallire. Dopo quindici anni, Fred ha perso smalto, non conosce più la rete stradale, e sbaglia anche i tempi. Inoltre l’improvviso e violento assalto del cane da guardia li costringe alla fuga. Con un atto di coraggio, Fred riesce a eludere la polizia e a riportare i tre al campo, ma per uno che è stato tanto tempo al fresco non c’è scampo. Film d’azione, teso e notturno, scorre rapidamente lungo novantaquattro minuti, affrontando anche il problema dei nomadi, le cui tradizionali attività sono state superate dai tempi. Il regista sembra suggerire che o ci si integra nella società accettandone i comportamenti o si rischia di essere eliminati.   


BetoniyöE’ un brillante osservatorio sulla vita dei giovani quello delle sezioni parallele del Festival. Sono molti i film e spesso girati da giovanissimi. Cominciamo tuttavia con una signora di sessantasette anni, la finlandese Pirjo Honkasalo, non solo regista, ma anche attrice, fotografa e produttrice, premiata a Venezia nel 2004 per The 3 Rooms of Melancholia (I tre stati della melanconia). Qui ha presentato Betoniyo (Notte palpabile), un elegante film in bianco e nero di novantasei minuti che racchiude in un notte l’esperienza più profonda di un ragazzo di quattordici anni. In una casa fatiscente, nella periferia di Helsinki, Simo trascorre il fine settimana con la madre e con Ilka, il fratello maggiore che il lunedì dovrà entrare in carcere. Persona di poche parole, ma di forte impatto sul fratello, Ilka è un duro che, insegna a essere duri. Non sa, né si preoccupa di come il suo comportamento possa incidere sul ragazzo. Ne farà le spese un giovane colto e raffinato, considerato il gay del condominio, e lo stesso equilibrio mentale dell’adolescente salterà. In un ambiente degradato, e con un bianco e nero che rimanda a quello di Un tram che si chiama desiderio (A Streetcar Named Desire, 1951) di Elia Kazan, il film mostra immagini originali della notte e della periferia abbandonata. Descrive i silenzi e i guizzi del ragazzo, l’azione moderatrice della madre, e l’addensarsi dell’atmosfera prima del dramma che nessuno aveva previsto. I quattro protagonisti sono Johannes Brotherus, Jari Virman, Juhan Ulfsak, Anneli Karppinen.
334678Non storia di famiglie, ma cronaca della vita di due giovani nel film svedese Nånting måste gå sönder (Qualcosa deve rompersi), premiato al Festival di Rotterdam. Regista il giovane Ester Martin Bergsmark, ex studente di Belle Arti, già coronato nel 2012 col documentario Pojktanten (Lei lumaca maschio). Sebastian, che vorrebbe chiamarsi Ellie, è un androgino che frequenta le discoteche di Stoccolma. Selvaggiamente aggredito in un bagno pubblico, viene soccorso da Andreas, un eterosessuale che mostra simpatia per il malcapitato. I due avranno occasione di rincontrarsi in una notte di sbornie e avranno un rapporto sessuale. Il mattino seguente, Andreas se ne andrà alla chetichella, a disagio per quanto accaduto. Sebastian lo cercherà ancora, e lo seguirà per capire se la loro relazione ha un futuro. Interpretato da Saga Becker e Iggy Malmborg, il film prende il titolo dalla canzone di Joy Division che dice: davanti al filo del rasoio, resta dietro o buttati avanti. Opera lineare di ottantun minuti, descrive con rigore e con sentimento il possibile idillio tra due giovani essenzialmente soli nella grande città.
Bande-de-fillesDi adolescenti si parla nel francese Bande de filles, (Banda di ragazze), terzo film di Céline Sciamma, premiato al Festival di San Sebastiàn. Periferia parigina, in un quartiere abitato in maggioranza da immigrati, Marieme vede chiudersi la possibilità di continuare gli studi. Sola, succube di un fratello autoritario, aiuta la madre, donna delle pulizie. L’incontro con tre ragazze determinate, la cui quarta compagna, diventata madre, ha cambiato vita, le permette di fare amicizia. Dapprima timida e indecisa, la giovane apprende presto a vestirsi in maniera più disinvolta, a cambiare pettinatura e a farsi rispettare. Dedite a piccoli furti e a trucchi che le permettono di vivere al di sopra delle loro possibilità, le ragazze formano una banda che spesso si scontra con altre del quartiere. Marieme s’innamora, viene brutalmente redarguita dal fratello e decide di rendersi indipendente. Non sarà facile.  Dovrà trattare con persone poco raccomandabili, ma alla fine riuscirà a essere se stessa. Interpretato da Idrissa Diabaté, il film dura centododici minuti e procede spesso con momenti di suspense ma è soprattutto una celebrazione del coraggio, dell’amicizia e del rispetto.


172057-blind-0-230-0-341-cropNella sezione EFA del Festival abbiamo visto Blind (Cieca), film d’esordio del norvegese Eskil Vogt, premiato nei Festival di Sundance, Berlino e Istanbul. Racconto di due storie parallele, quella di Ingrid (Ellen Dorrit Petersen) e di Elin (Vera Vitali), eroina di una piccante avventura che lei sta scrivendo. Ingrid è giovane, il marito Morten (Henrik Rafaelsen) è architetto. Da quando lei ha perso la vista, si è rinchiusa in casa, dove si sente protetta, e scrive al computer le disavventure di Elin, madre di una bambina. Sorta di alter ego di Ingrid, anche Elin ha perso la vista e lei la immagina tradita dal marito. Nella sua immaginazione, poi, vede il marito nascondersi in un angolo per osservarla a sua insaputa. E suggerisce che molte scene vengano viste da Einar, (Marius Kolbenstvedt), voyeur della finestra dirimpetto, navigato e solitario pornografo. Considerando che la vista di Ingrid è legata ai ricordi, il regista punta sul fatto che lei voglia inventarsene un’altra ricca di risvolti improbabili. Ne scaturisce una vicenda apparentemente confusa, ora attenta alla psicologia della non vedente, ora grottesca e a volte leggermente erotica. Dura novantasei minuti.
El camino más largo para volver a casaIn concorso è stato presentato El camì més larg per tornar a casa (Il cammino più lungo per tornare a casa), film d’esordio dello spagnolo Sergi Pérez. C’era materia per un mediometraggio, ma il regista ha scelto una chiave esistenziale per descrivere il malessere di Joel, (Agost Alustiza), giovanotto lasciato dalla moglie, e i tempi del racconto si allungano. Lo troviamo a letto, appena scosso dal suono del telefono. Non sentendo reagire il cane che la moglie gli ha lasciato, si alza e scopre che sta male. Lo porta in fretta dal veterinario e dimentica le chiavi di casa. E’ l’inizio di un’odissea urbana alla ricerca di una copia delle chiavi visto che lui non vuol parlare con i genitori. L’amico che potrebbe aiutarlo, sta traslocando. Indispettito dalla situazione abbandona il cane in un prato. Qualcuno lo trova e lo porta alla protezione animali. Rintracciato, Joel riprende il cane, ma questa volta va più lontano, nel bosco, deciso a seppellirlo. Improvvisamente un barlume di coscienza sembra farlo emergere dal torpore. Corre dal veterinario, accetta la spesa per operarlo, e se ne torna sotto casa, sedendo sul marciapiede, in attesa. Dura novantacinque minuti, anche se sembrano molti di più: tra speranza e desolazione, un film che non si cura dei modelli del cinema commerciale.   
Affiche-CabalaSperimentale, ma ficcante è anche un altro film spagnolo, visto nella sezione Resistencias. Càbala canìbal (Cabala cannibale), sono sessantasei minuti di Daniel V. Villamediana, trentanovenne insegnante di cinema a Valladolid, qui al terzo lungometraggio. Girato con una doppia immagine, e a volte con una sorta di finestra che sembra aprirsi verso l’infinito, tra documento e finzione, il film trae spunto dal ritrovamento, nell’intercapedine di un vecchio muro della casa familiare, di un antico libro, Zohar di Mosé de Leòn. Ritrovato in terra di Castiglia, è il libro essenziale della cabala ebraica. Parla degli antenati del regista, ma anche dell’inquisizione, dell’esodo e dei giudei convertiti, e delle correnti sotterranee della cultura spagnola. Sul filo della memoria dei ricordi di sua nonna, associati a ricerche colte, l’opera, ricca di nozioni e di curiosità storiche, suggerisce, spesso in maniera vivace, che nel libro era previsto anche il cinematografo, prima della sua nascita come industria.


HeavenKnowsWhat1Rimasti quasi invisibili in altri Festival, tre film in concorso al Festival. Heaven knows what (Lo sa il cielo), terzo film dei fratelli Ben e Joshua Safdie, era alla Mostra di Venezia e al festival di Toronto. Interpretato da Arielle Holmes, diciannovenne autrice delle memorie Mad Love in New York City (Amore pazzo a New York), dal quale è stato tratto il film, fotografa il quotidiano di giovani drogati nelle strade della megalopoli americana.  Niente di nuovo per chi negli ultimi decenni ha seguito le notizie sui guasti della dipendenza da droghe. Di qualche interesse per giovani che non ne conoscono le drammatiche conseguenze. Si apre con Harley pronta a suicidarsi come dimostrazione d’amore a Ilya, giovane junkie freddo ed egoista. Si ferisce al polso con una lametta e viene ricoverata d’urgenza. Il ragazzo, che la prendeva in giro, chiama un’ambulanza e se ne va. Dimessa, la ragazza si accompagna a un giovane spacciatore, ma è sempre innamorata di Ilya, che la riprenderà e la abbandonerà di nuovo. Racchiuso in novantatré minuti, il film descrive sotterfugi, furti, litigi e tradimenti, su marciapiedi e terreni abbandonati della Grande Mela, mettendo a fuoco la lotta quotidiana per procurarsi le dosi.
la-sapienza-ludovico-succio-in-una-scena-del-film-287783Già ai festival di Locarno e Toronto il film che il presto sarà presentato alla rassegna di Torino, La sapienza di Eugène Green, nato a New York ma da anni attivo a Parigi. Fondatore nel 1977 del Théatre de la Sapience, difensore della modernità del barocco, e regista di film premiati [Toutes les nuits (Tutte le notti, 1999), A religiosa portuguesa (La suora portoghese, 2009)], questo regista rende omaggio a Francesco Borromini (1599 – 1667), tessendo un elogio della luce nell’architettura. Cinema didattico, colto e inconsueto, con personaggi che parlano ostentando una fissità che rimanda a insegnamenti scolastici, narra di un architetto idealista che deve affrontare persone che ragionano soltanto in termini di profitto. Alexandre, interpretato da Fabrizio Rongione, si concede una breve vacanza in Italia. A Stresa, però, conosce Lavinia e suo fratello Goffredo. Quando la ragazza accusa un malessere, la moglie di Alexandre decide di restare con lei. Al suo posto viaggia Goffredo che vuole studiare architettura a Venezia. E sarà un viaggio di apprendistato per tutti e due. Tra Torino e Roma, il buon senso del ragazzo ha la meglio sui fantasmi del passato che tormentano l’architetto, mentre la compagnia di sua moglie aiuta Lavinia a liberarsi dal malessere che da anni l’assilla. Prodotto da Francia e Italia, parlato nelle due lingue, e interpretato da Christelle Prot Landman, Ludovico Succio e Arianna Nastro, il film dura centoquattro minuti.
Bird PeopleDal Festival di Cannes, (sezione Un Certain Regard), il terzo dei tre film in concorso. Bird people (Il popolo degli uccelli) della francese Pascale Ferran. Altro film insolito che in centoventotto minuti abborda il tema dell’alienazione attraverso due prese di coscienza. Nello stesso albergo a Parigi. Un ingegnere della Silicon Valley ha un incontro di lavoro prima di partire per Dubai. Un malessere durante la notte e un forte senso di soffocamento lo spingono in strada per riprendere una normale respirazione. Segue una notte di riflessioni e di decisioni. Stanco dello stress da lavoro e di una moglie rissosa, decide di lasciar tutto e di restarsene in Europa. Seguono dense telefonate ai colleghi e un lungo collegamento via internet con la moglie, ma la sua decisione è presa. Audrey è la ragazza che riordina la sua stanza. Studentessa universitaria, la giovane sbarca il lunario come donna delle pulizie nell'albergo. Stressata dalle frequenti richieste di lavoro supplementare, assillata dal padre, si distrae seguendo il volo di un passero e sviene. Soccorsa da un turista, riprende i sensi: si infila nel suo letto e si concede un lungo sonno ristoratore. Quando si sveglia, capisce che deve cambiar vita. Scende in ascensore e si trova a tu per tu con l’ingegnere della Silicon Valley. Interpretato da Anais Demoustier e da Josh Charles, il protagonista sella serie televisiva The Good Wife (La buona moglie, 2009) il film segue forme narrative nuove che a volte sfiorano nel documentario, ma in larga parte concede insospettati spazi all’immaginazione con suggestive immagini poetiche. 


locandinaLe meraviglie di Alice Rohrwacher ha vinto il Premio Speciale della giuria dell’11mo Sevilla Festival de Cine Europeo. La protagonista del film, Maria Alexandra Lungu, ha vinto il premio quale miglior attrice, diviso ex aequo con l'americana Arielle Holmes di Heaven knows what (Il cielo lo sa).
La giuria internazionale ha assegnato il Girardillo de oro* al film prodotto da Svezia, Danimarca e Norvegia, Turist, Force Majeure (Turisti, Forza maggiore) dello svedese Ruben Őstlund, che ha ottenuto anche il premio per la migliore sceneggiatura.
Il Girardillo de plata è andato a The Kindergarten Teacher (La maestra d’asilo), prodotto da Francia e Israele e diretto dall’israeliano Nadav Lapid.
Per la Gran Bretagna, il film di Mike Leigh Mr. Turner, di cui abbiamo parlato dal Festival di Cannes di quest’anno, ha vinto il premio per la migliore regia e quello per il miglior attore andato a Timothy Spall.
Migliore fotografia quella di Mikhail Krichman per il film russo Leviathan di Andrei Zvyagintsev.
Nella sezione Nuevas Olas il primo premio è stato assegnato a Las altas presiones (Le alte pressioni) dello spagnolo Angel Santos. Il secondo premio è andato al film svizzero L’abri (Il ricovero) di Fernand Melgar. Una menzione speciale per il film prodotto da Colombia, Francia, Argentina, Germania Los Bongos (I bongos) del colombiano di Ōscar Ruiz Nava. Il documentario premiato nella sezione Nuevas Olas No Fiction è Remine, el ūltimo movimento obrero (Remine, l’ultimo movimento operaio) dello spagnolo Marcos Martìnez Merino.
Il Premio della critica internazionale (FIPRESCI), da assegnare a un film della sezione Resistencias, è andato allo spagnolo Equì y n’otru tiempu (Qui e in un altro tempo) di Ramòn Luis Bande.
Paolo Virzì con Il capitale umano ha vinto il Gran Premio del Pubblico.
Il premio Girardillo Junior è andato al film d’animazione tedesco Der 7bte Zwerg (Il settimo nano) di Harald Siepermann e Boris Aljinovic.
White God (Dio bianco) dell’ungherese Kornél Mundruczò è stato coronato dal Premio EURIMAGES alla migliore coproduzione europea.
VII Premio de Cine Universidad de Sevilla con una dotazione di tremila euro è stato assegnato alla sceneggiatura di un corto da presentare alla prossima edizione del Festival: El nudista (Il nudista) di Alejandro Philip Waudby.
Quale miglior cortometraggio della sezione Panorama Andaluso è stato scelto lo spagnolo Oasis (Oasi) di Carmen Jiménez.  

*El Girardillo è la popolare statua che si erge sulla sommità della torre campanaria della Cattedrale, conosciuta come la Giralda.