02 Novembre 2014
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55° Thessaloniki Film Festival 2014 |
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Composta essenzialmente di prime e seconde opere, la sezione ufficiale del Festival privilegia quest’anno temi concernenti studenti e istituzioni scolastiche, e soprattutto i problemi della donna nella società contemporanea. Quelli contenuti nel secondo film dell’israeliano Asaf Korman, autore anche di sei corti, parlano di una giovane donna coraggiosa, Chelli, che preferisce prendersi cura di Gabby, la sorella disabile, invece di affidarla a un istituto. Lo fa malgrado la madre suggerisca di affidarla a terapeuti che si prendano cura di lei, e lo fa malgrado il suo lavoro a scuola che la separa per parte del giorno dalla sorella ventiquattrenne, dall’imprevedibile comportamento infantile. At ti layla (Vicino a lei), di cui abbiamo parlato anche dall’ultimo festival di Montpellier, racchiude in novanta minuti un breve periodo della vita delle sue sorelle e mostra la dedizione di Chelli, il suo affetto e il lavoro per proteggere la sorella da atti di autolesionismo. Al mattino la conduce in un centro di accoglienza, per riprenderla all’uscita da scuola e per passare con lei il resto del giorno, spesso guardando la Tivù. Una svolta si delinea quando a scuola arriva Zohar, supplente di educazione fisica. E’ attrazione reciproca. I due si mettono insieme, e lui, che vive con la madre in un miniappartamento, trasloca a casa di Chelli. La vita a tre non è facile, perché le sorelle avevano l’abitudine di dormire insieme e anche perché per lei è più importante l’affetto per la sorella dell’amore per il collega. Tuttavia i rapporti si stabilizzano. Il dramma esplode quando Chelli scopre che Gabby è incinta. Infuriata, mette alla porta Zohar e si ritrova sola e desolata. Un velo di tristezza copre le sue giornate, ma il vero dramma per lei sarà la scoperta del fatto che non è stato il suo fidanzato a ingravidare la sorella. Film lineare, premiato in alcuni Festival, e ben interpretato da Liron Ben-Shlush (Chelli), Dana Ivgy e Yaacov Daniel Zada.
Una donna è anche la protagonista di Risttuules (Il vento di traverso) del regista estone Martti Helde, ventisette anni e una dozzina di spot per la Tivù. Si chiama Erna, e insieme a circa mezzo milione di estoni, lettoni e lituani, venne deportata in Siberia il 14 giugno del 1941 in seguito alla pulizia etnica ordinata da Stalin. I prigionieri furono costretti a lavorare fino alla morte del dittatore, quando il comitato centrale decise che potevano tornare a casa. La loro vicenda è narrata attraverso le lettere che Erna spediva al marito Heldur, e che soltanto al suo ritorno, seppe che era morto cinque giorni dopo la deportazione. Io non comprendo – scriveva - cosa diavolo noi semplice gente abbiamo fatto all’immane Russia. Un regime non può rapinare tutte queste persone che credono in lui e che l’amano. Singolarità del film, girato in bianco e nero, rifiuta il movimento delle immagini a favore di una rappresentazione di quadri viventi. Dura ottantasette minuti e soltanto alcune sequenze legate ai ricordi felici della protagonista mostrano immagini in movimento. Durante quasi tutto il film la cinepresa scorre lieve davanti a pose statuarie di deportati al lavoro nella tundra e nei boschi siberiani, è la voce della protagonista, Laura Peterson, a condurre il racconto. Si direbbe un audiolibro con foto, anche se su grande schermo con paesaggi innevati e sconfinati boschi di betulle. Molto probabilmente la scelta del regista ha origine da una lettera di Erna, nella quale scrive: gli anni più belli della mia vita sono passati come se io fossi rimasta immobile. Per la cronaca: molti spettatori, impreparati per l’evento, hanno lasciato la sala. Sicuramente è un azzardo proporre un’interpretazione poetica del dramma della deportazione confidando più nel messaggio che nella messinscena.
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