12 Maggio 2010
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Cannes 7 - Martedì 18 maggio 2010
La sezione concorso del Festival ha presentato un film di grande valore, porta la firma di Xavier Beauvois e s'intitola Des Hommes et des Dieux (Uomini e Dei, ma in Italia uscirà con il titolo Uomini di dio). Il racconto s’ispira a un grave fatto di sangue avvenuto in Algeria il 26 marzo 1996 quando militanti armati - gli estremisti islamici del GIA - rapirono e uccisero sette monaci cistercensi che vivevano in un convento di Thibirine, in perfetta armonia con gli abitanti mussulmani cui prestavano preziosi servizi sanitari e sociali. La rivendicazione degli estremisti armati mussulmani no ha convinto del tutto e vari osservatori continuano a credere al coinvolgimento di qualche settore deviato dei servizi segreti algerini. In quei mesi la situazione del paese africano era diventata esplosiva dopo la vittoria elettorale degli islamici del FIS, 23 dicembre 1991, e la cancellazione del responso elettorale, con la proclamazione dello stato d’assedio, per opera del governo sorretto dall’esercito. Nonostante gli attentati si ripetessero - il 14 gennaio 1992 morirà per mano dei terroristi lo stesso presidente della repubblica Mohamed Boudiaf - i religiosi avevano rifiutato di abbandonare il monastero e continuato ad aiutare la popolazione e chiunque ne avesse bisogno, compresi i feriti dei rivoltosi. Quest’ultima scelta aveva attirato su di loro le ire dei vertici militari, da qui il sospetto di un coinvolgimento dei servizi segreti nel loro calvario. Il film mette in risalto l’umanità e la tolleranza che regnano fra i cristiani e gli islamici sino all’irrompere degli opposti estremismi. Lo fa descrivendo con grazia e bellezza la vita monastica, non rinunciando a qualche spiffero ironico, ma non nascondendo neppure la dialettica fra i religiosi, alcuni dei quali, almeno all’inizio, non sono per nulla felici di rischiare il martirio. La storia è immersa in paesaggi bellissimi che riescono a rendere sopportabile persino le atrocità degli uomini. E’ un forte messaggio di tolleranza religiosa e non solo.
Il secondo film in concorso della giornata era Schastye moe (La mia felicità) di Sergei Loznitsa, ucraino che vive in Germania. Lopera era attesa poiché è lunico esordio presente in concorso e, per giunta, era stata magnificata dai selezionatori che parlavano di autentica perla. Date queste premesse, la delusione non poteva essere più cocente. E il racconto di un insieme di situazioni che oscillano fra gli anni della grande guerra patriottica e loggi. Su entrambi i fronti ciò che domina è la violenza, il sopruso, laggressione di tutti contro di tutti. Il tenue filo lo dovrebbe fornire un giovane camionista che sta facendo il suo lavoro e incappa in un reduce che ha ucciso un ufficiale della polizia militare che gli aveva rubato le poche cose che aveva riportato dalla guerra. Incontra, poi, una prostituta bambina che rifiuta, aggressivamente, le sue attenzioni paterne, un paio di briganti che lo stordiscono per rubargli il camion lasciandolo afono e privo di memoria, una coppia di poliziotti della stradale degni di una galleria degli orrori e via elencando. Dovrebbe essere una metafora della dissoluzione criminale nata dalla fine degli stati socialisti, in particolare lUnione Sovietica, anche se il regista è ucraino e la produzione maggioritaria tedesca. A parte il fatto che quello del degrado è ormai diventato un vero e proprio filone del cinema dei paesi ex - socialisti, qui si ha limpressione che sangue e violenza siano notevolmente fini e a se stessi. Per tacere di una sceneggiatura sgangherata in cui lintreccio dei tempi narrativi stride a ogni passo, mentre la parte della storia odierna fa acqua da ogni parte.
Nella sezione Un certain Regard è stato presentato Los labios (Le labbra) dei cineasti argentini Ivan Fund e Santiago Loza. Tre donne vanno in un miserabile paesino dellinterno per porgere assistenza a madri e puerpere. Le alloggiano in un ospedale in smantellamento, le trasportano su unauto che cade a pezzi, devono protestare par avere ciò che spetta loro. Unesperienza dura che, tuttavia, servirà per capirsi meglio e annodare solide legami con i poveri. Un film ricco di buone intenzioni, girato interamente con camera a mano per dare allo spettatore un ancor maggior sensazione di verità.
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