Festival di Cannes 2009 - 6° giorno

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Festival di Cannes 2009
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Lunedì 18 maggio – Sesto giorno
Vendetta
Vendetta
C'è un tipo di cinema la cui migliore definizione è: giocattolo. Questo nel senso che il suo primo obiettivo è stupire, il secondo divertire, che poi se ne possano, volendolo fermamente, ricavare anche altri significati, sia stilistici che morali, è altro discorso ed esula quasi del tutto dall'evidenza dello schermo. Il cino - hongkonghese Jonnie To, una sessantina di titoli all'attivo come produttore e regista, appartiene all'universo dei cineasti che amano questo tipo di cinema. Lo conferma Vengeance (in mandarino Fu chou, Vendetta) accolto in concorso al Festival. Un ristoratore parigino, interprete un Johnny Hollyday sempre più imbolsito, con un passato di killer arriva a Macao per assistere e vendicare la figlia, unica, casuale superstite di un massacro ordito da un mafioso locale che ha fatto sterminare tutta la sua famiglia. Il francese entra casualmente in contatto con un gruppo di fuoco che si dedica agli omicidi a pagamento, li assolda cedendo loro tutto ciò che possiede e accompagna nella ricerca degli assassini. Un percorso ricco di sparatorie e colpi di scena che si sviluppa fra la città ex portoghese e Hong Kong. Alla fine, sarà il solo a sopravvivere e, anche se ha perso la memoria, a riuscire a farsi giustizia. Questo autore è diventato famoso per l'abilità con cui riesce ad organizzare le scene d'azione, quasi sempre simili a balletti, per le immagini dettagliate di armi e oggetti – retaggio di una forte vocazione pubblicitaria – e l'abilità nella gestione di interminabili sparatorie in cui sono esplosi migliaia di colpi con esiti raramente letali per i protagonisti del film. E' un cinema che mira al grande pubblico, al successo presso i giovani spettatori, ma che ha trovato estimatori anche presso una parte della critica. Francamente, non riusciamo proprio ad entusiasmarci. Certo la confezione è accattivante, il ritmo quasi sempre ammagliante, alcuni inserti ironici riescono a rompere la ripetitività degli scontri. Tuttavia, questo non basta a fare di un film un'opera d'autore o, quantomeno, una proposta intrigante.
Anticristo
Anticristo
Indignazione e delusione ha suscitato il tanto atteso Antichrist (Anticristo) del regista danese Lars Von Trier, in cui una coppia perde il figlio infante che cade dalla finestra mentre i due fanno all'amore. Il marito, nel tentativo di porre rimedio alla profonda depressione in cui è caduta la moglie, la conduce in un capanno circondato da una foresta debitamente misteriosa. Solo che la donna perde completamente la bussola e, nell'ordine, colpisce con una terribile tranvata i genitali dello sposo, lo masturba facendo sgorgare sangue, gli trapana una caviglia e vi applica una pesante mola in modo che non possa fuggire, dopo di che si taglia la clitoride con una paio di forbici. L'uomo, da parte sua la strangola non appena riesce a liberarsi. Tutto questo dovrebbe a servire ad annunciare l'arrivo dell'Anticristo (il piccino che muore all'inizio? La moglie? L'uomo che la uccide?) suscitato dalla brama di sesso delle donne. Raramente ci è capitato di assistere ad un film più antifemminile, volgare, gratuito, opportunista. Vi è, unica ragione evidente, una continua tensione alla ricerca dello scandalo e del far parlare di se, cosa che è probabile accada nelle prossime ore. L'inizio ha un tono quasi bergmamiano, che la regia abbandona quasi subito deliziandosi di amplessi e efferatezze varie.
Il padre dei miei figli
Il padre dei miei figli
La sezione Un Certain Regard ha presentato un film francese, tipico esempio di quella qualità media transalpina universalmente riconosciuta da critici e dalla parte più colta e sensibile degli spettatori. Le père de mes enfants (Il padre dei miei figli) è l'opera seconda di Mia Hansen- Løve, una cineasta arrivata dietro la macchina da presa passando per la recitazione e la critica. Un produttore di film di qualità, con molto prestigio e altrettanti debiti, è giunto alla resa dei conti e si uccide. La seconda moglie tenta di raddrizzare l'azienda, ma è costretta ad abbandonare la partita assistendo impotente alla liquidazione della ditta. Il film è ben sceneggiato, con psicologie precise, guarda con abilità al mondo della produzione qualitativamente pregevole, ma economicamente fallimentare, e tratteggia un bel ritratto di famiglia borghese in un interno. Lo fa con alta professionalità, ma senza vera originalità, per cui spesso si ha l'impressione di assistere ad un film già visto.
L'armata del crimine
L'armata del criminne
Molto più interessante L'arnèe du crime (L'esercito del crimine), presentato come proiezione speciale e diretto dal marsigliese Robert Guédiguian che riprende la vicenda di quel gruppo partigiano, comunista e internazionalista, che è stato già al centro de L'affiche rouge (Il manifesto rosso, 1976) di Frank Cassenti. Siamo nella Francia occupata dai tedeschi, qui un poeta e combattente d'origine armena, Missak Manouchian, mette in assieme una brigata formata da ungheresi, polacchi, italiani, rumeni, spagnoli. Ventitré di loro, fra cui una donna, saranno fucilati, con grande clamore propagandistico nel febbraio del 1944. I nazisti li indicheranno l'opinione pubblica come l'armata del crimine e punteranno molto sulla loro natura di immigrati e, in molti casi, reduci dalla guerra di Spagna. Il regista affronta questa storia con l'obiettivo sia di rendere omaggio ai resistenti comunisti, sia di esaltare il valore degli immigrate verso la patria d'adozione. Il film ha un taglio popolare, nel senso migliore del termine, e mira a far comprendere ad un vasto pubblico una storia che ha non pochi agganci con i pessimi sentimenti verso i nuovi arrivati che circolano anche oggi e non solo nella società francese.