Festival di Cannes 2009 - 5° giorno

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Festival di Cannes 2009
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Domenica 17 maggio – Quinto giorno
Un profeta
Un profeta
Jacques Audiard ha un particolare interesse nelle storie criminali e sembra averlo raccolto ed esaltato in questo Un prophète (Un profeta) in cui racconta il percorso verso l'affermazione nel mondo della criminalità di un giovane magrebino. Malik El Djebena è diventato da poco maggiorenne quando varca il cancello della Prigione Centrale, condannato a sei anni di reclusione per aver picchiato alcuni agenti di polizia. Non sa né leggere né scrivere ed impara sin dalle prime ore come le leggi del carcere siano molto diverse da quelle che vigono fuori. Lo picchiano, gli rubano le scarpe, lo isolano. L'unica soluzione sembra quella di mettersi al servizio di una banda di corsi, metà indipendentisti, metà delinquenti. Il suo primo compito è uccidere un arabo che si appresta a testimoniare contro la banda, lui non ha mai ammazzato nessuno, ma esegue il compito e viene accolto, seppure in un ruolo servile, nelle fila della gang. Inizia così il suo apprendistato nella malavita, un percorso che lo porterà, di tappa in tappa, ad essere considerato, quando uscirà dal carcere avendo scontato la pena, un vero e proprio nuovo capo. Il film dettaglia quest'ascesa con grande attenzione alle varie tappe, acutezza psicologica, gusto per i dettagli. Sviluppa temi non consueti, come quello dei contrasti fra malavita corsa e araba, illumina la complicità dei carcerieri nel consentire ai delinquenti di continuare a gestire gli affari pur entro le mura della prigione. E' un testo robusto nella costruzione e ben articolato, con il solo difetto di eccedere in lunghezza, quasi due ore e mezzo di proiezione, e di non lesinare effettacci inutili come il fantasma del primo assassinato che compare, di tanto in tanto, davanti al protagonista. In definitiva un testo professionalmente maturo, con alcuni spunti interessanti, ma tutt'altro che originale.
Macellata
Macellata
La concisione dello stile e del ritmo non caratterizza i film criminali e carcerari messi in concorso quest'anno. Lo testimonia anche Kinatay (Macellata), del filippino Brillante Mendoza, in cui si racconta la notte interminabile passata da un giovane studente di criminologia che ha appena regolarizzato il legame con la donna che gli ha dato un figlio. Lo studente, per consentire alla compagna di studiare a sua volta, si mette al servizio di una banda incaricata di punire una prostituta che non ha pagato la droga che le è stata fornita. La donna è sequestrata, picchiata, stuprata e, alla fine, uccisa e squartata. Un bel programmino lungo poco meno di due ore, girato con macchina a mano e con toni cupi, spesso nel buio quasi totale. Lo scopo dovrebbe essere quello di denunciare la violenza e l'incapacità della polizia a porvi rimedio, in realtà il tasso di compiacimento è talmente alto da rasentare il disgusto. Come già accadeva nel precedente Serbis, visto lo scorso anno sempre qui, l'impressione è di un'operazione furba, che solletica i peggiori istinti dello spettatore facendo finta di denunciarli.
Madre
Madre
Giornata fiacca anche a Un Certain Regard, ove sono stati presentati un modesto film sudcoreano, Mother (Madre) di Bong Joon-Ho, e un ancor meno interessante film australiano, Samson and Delilah (Sansone e Dalila) di Warnick Thornton. Il primo è, nella sostanza, un giallo basato su una madre che tenta in ogni modo di scagionare il figlio, corto di mente, dall'accusa di aver ucciso una studentessa avida di rapporti con gli uomini. Quando le ricerche della donna la porteranno a raccogliere la testimonianza diretta della colpevolezza del figlio, piuttosto che arrendersi all'evidenza, ucciderà il testimone e incendierà la baracca in cui vive. Questa volta sarà il figlio a aiutarla, nascondendo la prova che potrebbe incriminarla. Il film è lento nella descrizione dei fatti, arzigogolato in quella dei personaggi, poco ritmato e sostanzialmente non va oltre ciò che porta sullo schermo.
Sansone e Dalila
Sansone e Dalila
Ancora peggiore il bilancio a cui approda il film assi, storia di due giovani aborigeni che fuggono di casa, si perdono nei meandri dello sniffo di benzina, subiscono violenze ed soprusi, ma riescono, grazie alla forza di volontà della ragazza, a risalire le china e costruire una vera famiglia. E' un testo generoso nella denuncia dell'emarginazione che colpisce gli abitanti originali dell'Australia, ma non va oltre la perorazione generosa e retorica.