30° Festroia Setubal - Pagina 5

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30° Festroia Setubal
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cupcakesCupcakes (Dolcetti) dell’israeliano Eytan Fox è un film di difficile valutazione e ancor più ardua sopportazione. In poche parole segue le fatiche di un gruppo – in verità piuttosto mal assortito – di cantanti dilettanti che partecipano, classificandosi al secondo porto, ad un concorso internazionale televisivo per la migliore nuova canzone dell’anno. Forse l’intento era quello di mettere alla berlina le molte competizioni canore che riempiono i palinsesti televisivi, ma il risultato finale è un film slabbrato, presuntuoso, privo di un qualsiasi interesse. Le perorazioni in favore dell'omosessualità, maschile e femminile, così come la presa in giro dell’ufficialità governativa naufragano in sequenze che non raggiungono la consistenza di una barzelletta scema. Davvero tempo e fatica perduti.
heart-of-a-lion-Molto meglio, anche se non vi mancano ambiguità, Leijonasydän (Cuor di leone) del finlandese, nato a Cipro, Dome Karukoski, un invitato abituale di questa manifestazione. La storia che racconta è quella di Teppo, un fascista e razzista membro di una banda (Finlandia Bianca) dedita al pestaggio degli immigrati, che s’innamora di Sari, una bionda con un figlio marocchino nato da un precedente matrimonio. Non appena la donna scopre dai numerosi tatuaggi che l’uomo ha sul corpo chi è il suo compagno lo mette alla porta, ma la scintilla dell’amore è scoccata da entrambe le parti e la storia sentimentale si sviluppa con inciampi e ostacoli facilmente prevedibili. Il finale assume toni decisamente accomodanti con il picchiatore fascista che si converte alla tolleranza e, pagando il doloroso prezzo della cancellazione mediante levigatrice, del tatuaggio che lo identificava come membro della banda, scopre il valore della tolleranza e del rispetto dei diritti di tutti gli esseri umani. Una chiusura ottimista e buonista che sorvola sui numerosi crimini commessi dalla gang (distruzione di chioschi gestiti da neri, aggressione a gente di colore, incendio di campi nomadi) e aggiusta ogni cosa per il futuro cancellando il passato. Allo stesso modo la regia presta ben poca attenzione alle lacerazioni sociali che stanno alla base del successo di questi, purtroppo, numerosi movimenti xenofobi che pullulano nei paesi del nord e centro Europa. Sono difetti che non compromettono in modo definitivo il bilancio di un'opera be’ costruita e consistente nella costruzione narrativa. Un riconoscimento particolare va a Peter Franzén che riesce a dare credibilità ai triboli di questo fascista messo in crisi dagli occhioni del figlio della sua compagna.
the priest s children-Il regista croato Vinko Brešan ha tratto Svećenikova djeca (I figli del prete) da una commedia di successo di Mate Matišić (1965), messa in scena nel 1999. Lo scenario è quello di un’isola damata. Qui esercita un maturo parroco, molto amato dalla gente, a lui è affiancato un giovane prete che non riesce a trovare fedeli che si fidino di lui ed è ossessionato dal continuo calo nel numero dei parrocchiani. Da tempo, infatti, il bilancio demografico dell’isoletta registra più decessi che nascite. Quasi casualmente viene a sapere che una delle ragioni di questo andamento è il numero straordinario di preservativi venduti in un chioschetto che si affaccia sul molo principale del paese. Lì si servono abbondantemente non solo i turisti, ma anche quasi tutti gli abitanti maschi del borgo. Ecco allora l’idea, d’accordo con il titolare della rivendita, di fornire ai compratori profilattici forati in modo da renderne ancor più incerta l’efficacia anticoncezionale. Tuttavia, neanche questo basta e allora nasce un’insolita alleanza con il farmacista del paese, un tipo dalle simpatia decisamente militariste, per vendere come pillole anti-procreative innocue vitamine. La cosa finalmente funziona e le gravidanze subiscono un rapido incremento, solo che con esse arrivano anche non pochi problemi legati a disconoscimenti di paternità, nascite indesiderate, rapporti irregolari. Fra questi anche la relazione fra il vecchio curato e una giovane parrocchiana. Tutto è raccontato in flash back attraverso la confessione che il prete, ricoverato in un centro per malattie mentali, fa ad un altro religioso che, subito dopo, corre a confessare i suoi peccati sessuali che si suppongono piuttosto numerosi. Il film nasce come una commedia basata su un’idea felice – le sequenze delle forature, sempre tecnicamente più aggiornate, dei profilattici sono piuttosto divertenti – ma perde la strada quasi subito, oscillando fra la farsa, la riflessione morale e il dramma. Ne nasce un prodotto ibrido che non soddisfa né lo spettatore che ama le produzioni ridanciane, né quello che cerca riflessioni più approfondite. Certo, il modello è quello del cinema iugoslavo dei tempi d’oro, quando si mettevano assieme in modo omogeneo risate e lacrime, preoccupazioni e sguardi disincantati. In questo caso è proprio l’equilibrio a mancare, facendo deragliare il film ora verso il riso, senza eccedere nei risultati, ora verso la meditazione, senza approfondimenti del discorso .

U.R.