68ma Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia 2011 - Pagina 7

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68ma Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia 2011
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altTodd Solondoz è un regista americano il cui lavoro si muove lungo linee stilistiche molto precise: l’uso di elementi figurativi – punti di ripresa, colori – che rimandano all’iconografia delle soap opera inserendovi racconti dal tono notevolmente tragico. Nel caso di Dark Horse (letteralmente Cavallo Scuro, ma il senso è quello legato alla locuzione italiana Pecora Nera) è il ritratto di un trentenne brutto, grasso, mai uscito veramente dall’infanzia (colleziona pupazzetti) che incontra una donna piacente non meno sola e, per giunta, ammalata di epatite B. La storia della sua vita, dai rapporti con il padre titolare della ditta in cui lavora a quelli con la madre falsamente protettiva, è vista attraverso una serie di sequenze in cui compaiono personaggi che, nella realtà hanno ruoli del tutto diversi da quelli immaginati. Scopriremo alla fine che sono gli incubi di un moribondo (uscendo dall’ufficio, dopo l’ennesima litigata con il padre, ha causato un incidente d’auto che l’ha privato delle gambe) e che anche quel poco di positivo che ci è stato presentato sino a quel momento è solo frutto di sogni e speranze. Il poveraccio subirà un’ultima beffa al cimitero: la data della morte incisa sulla lapide è sbagliata! Il film ha un taglio pessimistico e straziante, non concede nulla al sogno americano che trasforma in incubo crudele. Un film molto importante, percorso da un cinismo sano e terribile capace di trasformare anche le sequenze più divertenti, ce ne sono molte, in un preannuncio di morte.
altAtmosfere strazianti anche quelle evocate dalla cinese Ann Hui che, in Tao jie (Una vita semplice), ricostruisce il tenero e doloroso rapporto fra un regista famoso e la domestica che l’ha allevato e curato durante la convalescenza per un difficile intervento al cuore. La donna è stata colpita da un infarto e ha perso parzialmente l’uso della parte sinistra del corpo, il figlioccio le paga il ricovero in una casa per anziani – per la verità più simile a un lager che a un luogo di riposo, va a trovarla regolarmente e la accompagna sino alla tomba dopo che un secondo infarto l’ha resa in pratica incapace di governare se stessa. Il film ha un andamento lento e un taglio dolce e doloroso, scandaglia con attenzione e partecipazione le relazioni fra un giovane e l’anziana che gli ha dedicato la vita intera. E’ un film molto bello, forte nei sentimenti che non usa in maniera ricattatoria verso lo spettatore, preferendo guidarlo alla riflessione sulla bellezza e tragicità della vita.
altIl piatto forte della pattuglia di film in concorso presentati oggi era Tinker, Tailor, Soldier, Spy (Stagnino, sarto, soldato, spia) che Tomas Alfredson ha tratto dal romanzo omonimo di John Le Carrè (1931), edito in Italia con il titolo La talpa. Il libro, uscito nel 1974, è considerato il primo della cosiddetta trilogia di Karla, che comprende anche L'onorevole scolaro (The honourable schoolboy, 1977) e Tutti gli uomini di Smiley (Smiley's people, 1980), dove Karla è lo pseudonimo del capo del KGB russo. Il libro appartiene a quel genere che ha reso realistica la rappresentazione del lavoro delle spie, privandole di qualsiasi alone romantico per immergerle in atmosfere sordide, violente e per niente eroiche. Il libro aveva già avuto un’ottima trasposizione in una serie televisiva nel 1979 per opera della BBC, regia di John Irvin, ove il personaggio del grigio ma astutissimo funzionario George Smiley era affidato all’arte di Alec Guinness. Siamo nel 1973 e lo spionaggio inglese assiste al fallimento di una serie di operazioni oltrecortina, una delle quali, sviluppata a Budapest, porta alla morte – almeno così si dice – di un agente operativo. Il capo del dipartimento, Control, è rimosso e, assieme a lui, il fido George Smiley che riceve dal ministro l’incarico riservato di verificare le voci secondo cui una spia russa, in gergo talpa, si sarebbe infiltrata ai massimi livelli. Il funzionario, che ha già non pochi guai con la moglie fedifraga, assolverà brillantemente il compito, anche se non esiterà a far ricorso a manovre e pratiche tutt’altro che legali. Il film odierno ha almeno due meriti. Il primo è la capacità di ricostruire con dovizia di particolari e notazioni adeguate il clima di un’epoca. Il secondo è la bravura di un gruppo di attori – Gary Oldman, Colin Firth, Katty Burke, John Hurt, per citare solo i primi nomi che vengono alla memoria – davvero eccezionale. Se c’è una cosa che latita, invece, è l’approfondimento psicologico della figura del protagonista il cui dibattersi fra il dovere e il dramma familiare è risolto interamente a favore del primo aspetto lasciando alquanto in ombra il secondo.
altIl cartellone della Settimana Internazionale della Critica ha presentato La-bas (Laggiù) di Guido Lombardi (1975), un esordiente che ha alle spalle due premi Solinas per la sceneggiatura. Il film prende spunto da un fatto di cronaca nera. Il 18 settembre 2008 un gruppo di fuoco, facente riferimento a Giuseppe Setola, capo degli scissionisti del Clan dei Casalesi, uccise, in due diverse azioni, Antonio Caliento, responsabile di una sala giochi di Baia Verde, affiliato ai camorristi del gruppo avverso, e sei immigrati africani che si trovavano casualmente presso la sartoria Ob Ob exotic fashions a Varcaturo. Il gravissimo crimine causò, il giorno dopo, una rivolta degli immigrati presenti nella zona, impegnati soprattutto nella raccolta di ortaggi, che reclamavano sicurezza e giustizia. Il film arriva alla ricostruzione di questo terribile massacro attraverso la storia del giovane Yssouf, un nigeriano arrivato clandestinamente in Italia chiamato da uno zio, potente boss della malavita africana e ricco trafficante di droga. Il ragazzo sogna di diventare un famoso scultore, ma è costretto a fare i conti con la brutalità del mondo malavitoso e la violenza che accompagna i traffici di cui si nutre. E’ un percorso dall’innocenza all’inferno che si chiude con la forzata riconciliazione con quella parte dell’immigrazione africana che paga un durissimo prezzo, in termini di sfruttamento e condizioni di vita, al permanere entro i binari della legalità. Il film ha toni che oscillano fra il documento sociologico e il melodramma, quest’ultimo con snodi abbastanza prevedibili, approdando a un prodotto professionalmente d’ottimo livello e politicamente encomiabile