68ma Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia 2011 - Pagina 5

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68ma Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia 2011
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altSecondo brutto scivolone della Mostra con la presentazione di Alpes (Alpi), opera terza del greco Yorgos Lanthinos, già autore del discusso Kynodontas (Dente canino) pluripremiato da molti festival, ma anche oggetto di critiche feroci. Il tema di questa nuova opera è ancora una volta l’isolamento e il rifiuto di fare i conti con la realtà. Nel caso specifico sono quattro personaggi - una giovane ginnasta, il suo allenatore, un’infermiera e un organizzatore sportivo – che si mettono assieme in un’associazione denominata Alpi che ha lo scopo di guidare l’elaborazione del lutto da parte dei parenti dei defunti. Per denaro accettano di presentarsi nelle famiglie dei trapassati per prolungare fittiziamente la presenza dei morti. E’ una mascheratura della realtà che tende a costruire un falso prolungamento della vita e, nei protagonisti, un altrettanto falso aggiustamento di affetti. Ovvio che le messe in scena avranno effetti disastrosi sia sui dolenti, sia sui protagonisti. A pagare il prezzo più elevato sarà l’infermiera che, colpevole di esseri messa in proprio, sarà picchiata a sangue dal capo della strana impresa. Il film ha passaggi e sviluppi ancor più oscuri di quelli che segnavano lo svolgimento dell’opera precedente. Un accumulo di ambiguità irrisolte che non aggiunge, bensì sottrae fascino all’opera.
altMolto meglio il pastiche stilistico messo assieme da Marjane Saprapi e Vincent Paronnaud con Polet aux Prunes (Pollo alle prugne). E’ una coppia che viene dal racconto a fumetti e che aveva già fornito ottima prova con Persepolis (2007). Marjane Satrapi, in particolare, ha una biografia molto interessante. Nata in Iran nel 1969 è espatriata prima in Austria, poi a Parigi ove vive. La sua è una delle voci più ostili e critiche nei confronti del regime clericale che regge il paese, regime di cui le sue storie hanno dato un’immagine particolarmente fosca. Questo nuovo film è ambientato a Teheran nel 1958, quando è ancora vivo il ricordo del tentativo, fallito, di Mohammad Mosadeq (1882 – 1967) di restituire allo stato il controllo delle risorse petrolifere, sino a quel momento appaltate a grandi società britanniche. Il film racconta una storia d’amore che è anche la metafora del difficile rapporto fra arte e situazioni politiche. Nasser (nome non scelto a caso) Ali Khan è un famoso violinista che ha tenuto concerti in tutto il mondo. La sua vita è segnata dal dolore per il rifiuto del padre dell’amata di dargliela in moglie, preferendo maritarla con un militare anche a costo di renderla infelice. Ora il musicista è sposato con una donna che non ama e che, in un eccesso di rabbia, gli fracassa l’amato strumento. Privato del violino non riesce a trovarne un altro degno della sua arte e decide di lasciarsi morire. La cosa avviene dopo otto giorni in cui rivediamo i più importanti momenti della sua vita, assistiamo al racconto di storie fantastiche, partecipiamo ai momenti più espressivi del suo rapporto con la madre. I registi mescolano i più svariati strumenti espressivi, dal disegno animato, al computer grafica, dal surreale all’iperrealistico. E’ un’opera complessa che nasconde sotto un’apparente patina di semplicità, un discorso articolato, commuovente, politicamente maturo.
altFuori concorso si è visto Contagion (Contagio) di Steven Soderberg in cui il regista americano conferma la solida fama di narratore consacrata con la serie dei film della serie Ocean's: eleven (2001), twelve (2005) e thirteen (2007). In questo caso il racconto muove dall’esplosione, a Hong Kong, di una terribile epidemia che, in breve contagia il mondo intero causando milioni di morti. La regia disegna questo scenario con grande abilità, trasforma in elementi di un thriller magistrale le pratiche e i protocolli adottati dagli enti posti a tutela della salute pubblica, negli Stati Uniti come nel mondo. E’ un’opera appassionante, girata e montata in modo magistrale che sa trasformare un possibile incubo in realtà. Il film prende duramente posizione contro la faciloneria con cui, usando internet, individui spregiudicati si arricchiscono terrorizzando una vasta platea credulona e facile al panico. La cosa ah dato fastidio ad alcuni che hanno protestato quasi che lo svelamento della faccia nascosta del sistema mondiale di comunicazione fosse un attacco alla rete stessa. Non hanno capito che quella che interessa al regista è la denuncia della facilità con cui internet può essere piegata agli interessi di personaggi oscuri. Anche questo fa parte dei pericoli con cui qualsiasi essere pensante deve misurarsi ogni giorno.
altLa Settimana Internazionale della Critica ha presentato La Terre Outragée (La terra oltraggiata) opera prima della francese Michale Boganim. Il 26 aprile 1986, in piena notte, una terribile esplosione scoperchiò il quarto reattore della centrale nucleare Vladimir Il'ič Lenin, situata tre chilometri dalla cittadina modello di Pripjat', un centro abitato da cinquantamila persone, e a diciotto da quella di Černobyl', in Ucraina, in pratica sul confine con la Bielorussia. Era capitato che l’imperizia e la superficialità dei tecnici addetti al complesso li avessero portati a violare le norme di sicurezza e a tentare un esperimento dall’esito disastroso. Si era nel pieno del ponte del 1° maggio e l’allarme fu dato in ritardo e con gravissima sottovalutazione. Questo causò una risposta lenta dell’intero sistema statale, gli abitanti - 336.000 persone - furono evacuati solo quattro giorni dopo, in pieno caos organizzativo, con conseguente esposizione alle radiazioni di un vasto territorio e di migliaia di persone. Il film ha per sfondo questa situazione, colta nelle ore della tragedia e nelle conseguenze che ne sono derivate dieci anni dopo. Lo fa con le vicende di una giovane che si sta sposando proprio in quelle ore e perderà il marito, un vigile del fuoco accorso fra i primi sul luogo del disastro, e di un ingegnere che scomparirà nel caos dopo aver tentato, con poveri mezzi, di riparare quante più persone possibili dalla terribile pioggia radioattiva che si abbatté sul territorio. A distanza di un decennio la vedova e il figlio del tecnico ritornano nella città morta, far edifici sventati e monumenti mutilati. Lei è diventata una sorta di guida turistica per visitatori professionali, lui non accetta l’idea della morte del padre. La donna potrebbe rifarsi una vita emigrando in Francia con un nuovo compagno, ma non riesce, per quanto ammalata senza speranze, ad abbandonare i luoghi dove è stata felice. Lui cerca di recuperare una memoria e un filo esistenziale brutalmente spezzato. Il film ha un taglio drammatico e quasi documentario, con immagini che straziano proprio perché rimandano a una normalità spezzata dalla follia degli uomini. E’ un testo maturo retto da una narrazione professionalmente alta e segnata da un forte impegno morale e umano.