68ma Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia 2011 - Pagina 11

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68ma Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia 2011
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altJonnie To, figura di punta del cinema di Hong Kong, è un cliente abituale della Mostra di Venezia, ove ha presentato, nel 2006, Exiled e ha fatto parte della giuria dell’edizione del 2008. E’ ritornato in concorso con Life Without Principle (Vita senza principi) che ruota attorno a tre personaggi: un’impiegata di banca, da poco promossa al rango di venditrice di titoli e fondi, un piccolo yakuza fedele senza riserve al clan cui appartiene, un ispettore di polizia onesto e capace che conduce una tranquilla vita piccolo borghese. La bancaria ha per cliente un usuraio, solito ritirare in contanti cospicue somme di denaro. Un giorno, per un sommarsi di casi, il cravattaro finisce ucciso da un rapinatore, proprio quando ha in borsa 5 milioni di dollari hongkonghesi, anche se in realtà formalmente ne ha prelevati dieci. Gli altri cinque li ha affidati frettolosamente all’impiegata che, in questo modo, si trova in mano una somma rilevante che nessuno sa che le è stata consegnata. Lo stesso giorno il poliziotto deve alternare la rischiosa attività quotidiana con le lamentele della moglie, che vuole un nuovo appartamento in una zona di pregio. Il piccolo malvivente, infine, fa da congiunzione inconsapevole fra questi personaggi, traendone a sua volta un congruo profitto economico, anch’esso arrivatogli in tasca in modo casuale. La regia giostra con grande abilità queste tre vicende, alternando tempi e luoghi, raccontando prima ciò che capiterà dopo. E’ un processo narrativo che richiede una grande lucidità nell’incastrare le diverse vicende e i tempi in cui si sviluppano nella costruzione di un ampio affresco in cui ogni gesto finisce coll’essere dominato dall’ossessione del denaro: tutto si svolge nelle ore in cui esplode la crisi dell’economia greca. E’ una produzione di chiaro impianto commerciale, ma che riesce a sviluppare un discorso coerente e socialmente complesso. Accade, in altre parole, la medesima cosa che si nota nel migliore cinema americano, quando la spettacolarità e la malia del racconto si sposano all’attenzione per il mondo reale.

altL’ultimo titolo in concorso è stato Texas Killing Fields (da noi uscirà col titolo Le paludi della morte). E' il secondo lungometraggio dell’americana Ami Canaan Mann che ha già alle spalle una corposa carriera di autrice televisiva, oltre ad essere figlia di Michael Mann che coproduce il film ed è uno dei maggiori registi del cinema hollywoodiano contemporaneo. Lo spunto è nato da una serie di fatti di cronaca risalenti ad alcuni anni or sono quando, nella zona paludosa che fiancheggia l’interstatale 45 nei pressi di Texas City, a una trentina di minuti d’auto a sud di Houston, si scoprono ì resti di una cinquantina di donne che erano state vittime di aggressioni sessuali. E’ in quest’atmosfera, cupa e violenta, che si muovono due detective della cittadina texana, uno dei quali proveniente dalla polizia di New York e oppresso dal ricordo di un’operazione finita male e costata la vita alla sequestrata. I due ci si mettono di buzzo buono per rintracciare un assassino seriale di donne e bambine, anche se il poliziotto locale, anche lui uscito da una burrascosa storia con una collega, tende più a limitare l’azione al raggio della circoscrizione, piuttosto che seguire il filo delle indagini, anche a costo di invadere campi altrui. Come abbastanza prevedibile, alla fine il colpevole pagherà il fio dei suoi misfatti, pur lasciandosi dietro ferite, morali e materiali, che impiegheranno tempo a rimarginarsi. Il film è lontano dall’essere una pietra miliare del cinema, anche di quello di genere, ma conferma la capacità narrativa e la professionalità di cui dispongono i cineasti americani. Vale a dire si segue dal primo all’ultimo fotogramma senza guardare l’orologio neppure una volta. Scusate se è poco!

altLa Settimana Internazionale della Critica ha chiuso malamente i battenti presentando, fuori concorso, Missione di pace, film d’esordio di Francesco Lagi. Un capitano dell’esercito, incaricato di trovare e arrestare un criminale di guerra jugoslavo, si trova nei guai quando gli capita fra capo e collo il figlio pacifista, verboso e pseudorivoluzionario. Il ragazzo riesce a mettere in subbuglio la già sgangherata pattuglia di militari italiani, ma sarà anche l’artefice della riuscita della missione. Siamo dalle parti di una sorta di Armata Brancaleone mal costruita, abborracciata, diretta in modo approssimativo e con un sottofondo razzista dimostrato dal modo in cui è rappresentato il ricercato: un selvaggio violento e stupido. E’ un cinema di bassissima qualità, del tutto privo di fantasia e inventiva, la migliore testimonianza delle ragioni per cui i nostri film risultano indigesti, totalmente inesportabili e fastidiosi.

Conclusioni

Anche se non è facile concentrare in poche righe il giudizio su una manifestazione complessa quale la Mostra Internazionale d’Arte cinematografica di Venezia, possiamo almeno dire che il cartellone non ha deluso le aspettative, proponendo almeno quattro titoli di ottimo livello. Ci riferiamo a The Ides of March (Le idi di marzo) di Gorge Clooney, Carnage (Carneficina) di Roman Polanski, Dark Horse (Pecora nera) di Todd Solondz e People Mountain People Sea (Gente di montagna gente di mare) di Cai Shang Jun. Da notare che due sono versioni cinematografiche di drammi teatrali e la cosa con è priva di significato. Abbiamo messo momentaneamente da parte Faust di Alexander Sokurov, in quanto opera tanto personale e colta da meritare una valutazione quasi estranea al solo mondo del cinema. Quattro, o cinque, titoli non sono pochi per qualificare il programma di una rassegna cinematografica, per questo, da questo punto di vista, si può dire che la manifestazione ha raggiunto il suo obiettivo. Si badi bene, stiamo parlando di ciò che è parso a noi, non di ipotesi sulle scelte della giuria che dipendono da una serie di fattori tanto ampia (valutazioni personali, ragioni diplomatiche, equilibri commerciali ...) da rendere impossibile ogni seria previsione. Nel complesso è stata una manifestazione meno affollata del solito, il numero dei giornalisti si è assottigliato e il pubblico, anche se statisticamente più numeroso dello scorso anno, qualche volta ha dovuto essere invogliato con generose elargizioni di biglietti omaggio. La cosa non sorprende, quando si mettono in conto le difficoltà economiche, gli alti prezzi del Lido e una generale disaffezione degli spettatori, in particolare dei giovani, verso il cinema di qualità. Anche questi sono segni dei tempi che possono rattristare, non essere ignorati.

altI premi

Leone d’Oro: Faust di Aleksandr Sokurov

Leone d’Argento: Cai Shangjun per Ren Shan Ren Hai (Gente di montagna, gente di mare) di Cai Shangjun

Premio Speciale della Giuria: Terraferma di Emanuele Crialese

Coppa Volpi (femminile): Deanie Yip per A Simple Life di Ann Hui

Coppa Volpi (maschile): Michael Fassbender per Shame di Steve McQueen

Premio Mastroianni (attore rivelazione): Shôta Sometani e Fumi Nikaidô per Himizu di Sion Sono

Premio Osella per la miglior sceneggiatura: Yorgos Lanthimos e Efthimis Filippou per Alpsdi Yorgos Lanthinos

Premio Osella per la miglior fotografia: Robbie Ryan per Wuthering Heights di Andrea Arnold

Premio Venezia Opera Prima Luigi De Laurentiis: Là-Bas di Guido Lombardi

Premio Orizzonti: Kotoko di Shinya Tsukamoto

Premio speciale della giuria: Whore’s Glory di Michael Glawogger

Premio Orizzonti Cortometraggio: In attesa dell’avvento di Felice D’Agostino e Arturo Lavorato

Premio Orizzonti Mediometraggio: Accidentes Gloriosos di Mauro Andrizzi e Marcus Lindeen

Premio Controcampo italiano: Scialla! di Francesco Bruni.