11° Festival del Cinema Europeo - Pagina 3

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11° Festival del Cinema Europeo
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Poter passare attraverso la pelle
Poter passare attraverso la pelle
Ecco ora una veloce rassegna degli altri titoli in concorso. Can Go Through Shin (Poter passare attraverso la pelle) segna l'esordio nel lungometraggio dell'olandese Esther Rots. E' un'opera girata sulla soggettiva di una donna ossessionata da una violenza subita o immaginata, oltraggio che non è mai ben definito: potrebbe essere uno stupro, l'abbandono del partner, una tensione sessuale non soddisfatta. La protagonista si auto-esilia in una bicocca deruta, a pochi chilometri da Amsterdam, e là vive in solitudine con i suoi fantasmi fra muri cadenti, arredi fatiscenti, topi e relitti vari. Scopre, in un nascondiglio, alcuni residuati bellici, fra cui un fucile con cui immagina di ferire o uccidere l'uomo che l'ha offesa. Allo stesso modo sogna (o agisce veramente?) di aggredire un tassista stupratore, anche se la cosa non è accaduta a lei, ma a un'altra donna che gli l'ha raccontata, una storia che lei ha trasformato in vissuto personale. Il film è girato bene, anche se non manca di una certa dose di compiacimento e alcune fastidiose ripetizioni. E' il quadro di una psicologia estrema che ricorda Repulsion (1965) di Roman Polanski, solo che in quel film l'ossessione arriva dalla mente della protagonista, mentre in questo caso ha il tono della conseguenza di un atto violento, reale o immaginato che sia. Uno dei punti di forza è l’interpretazione di Rifka Lodeizen, attrice di grande forza espressiva capace di rendere credibili anche le fantasie più sfrenate di una mente turbata.
Applausi
Applausi
Applause (Applausi) del danese Martin Pieter Zandvliet è ritratto di un'attrice alcolizzata che ottiene grandi successi sul palcoscenico, ma ha una vita personale devastata. Divorziata da un anno e mezzo, non riesce a darsi pace di aver lasciato la cura dei figli al marito, ora accasato con una psicologa, e vorrebbe ritornate ad avere un rapporto con i piccoli. Per riuscirci, smetterà di bere, anche se, alla fine, sarà il teatro con i suoi applausi ad averla vinta. E’ il classico film da camera riletto in versione Dogma: quasi nessuna musica, macchina da presa sempre in movimento, preminenza del lavoro sugli attori. Un testo molto interessante anche se non originalissimo, ma sorretto dal lavoro di una grande attrice: Paprika Steen.
La non amata
La non amata
In The Unloved (La non amata) la britannica Samantha Morton tratteggia il ritratto di un’undicenne sottratta al padre, cui il tribunale l’aveva affidata dopo la separazione dalla moglie, che finisce in una sorta di casa – famiglia gestita dai servizi sociali dopo che si è scoperto che il genitore la picchiava selvaggiamente. Nel nuovo ambiente la ragazzina fa conoscenza di una sedicenne ladra e ribelle che diventa per lei una sorta di sorella maggiore cui affidarsi. Il film è centrato sui sussulti e la psicologia di questa non amata che cerca disperatamente qualcuno cui volere bene e che la accetti e prenda cura di lei. E’ un ritratto terribile della condizione dei giovani - un quadro finale ci fornisce le cifre impressionanti di quanti ragazzi sono a carico dei servizi sociali inglesi – e delle lacerazioni che colpiscono il loro animo. E' un film dal taglio tradizionale ma costruito con grande forza e commozione.
Gamberetto di fiume
Gamberetto di fiume
Raci (Gamberetto di fiume) del bulgaro Ivan Cherkelov rientra a pieno titolo nel filone cinematografico teso a rispecchiare la grande confusione e i crimini nati dal caos che ha accompagnato la fine dei cari regimi realsocialisti nell’est Europa. In questo caso tutto ruota attorno al conflitto fra due gruppi mafiosi che si contendono il controllo di una vecchia Ferriera che interessa a un industriale greco. Entrambi i contendenti non lesinano colpi per primeggiare e coinvolgono anche giovani disoccupati che, senza averne coscienza, finiscono per diventare i reciproci carnefici. Il film è realizzato con grandissima professionalità, cosa che non sorprende perché il regista ha alle spalle una lunga carriera iniziata nel 1982 con Balade (Ballata) e nella quale emerge con particolare forza Obarnata elha (Il viaggio dell’albero di Natale) un film molto bello basato su una serie di racconti cadenzati dal percorso compiuto da un abete gigantesco dalle montagne alla piazza principale di Sofia. Il problema non sta, dunque, nella professionalità della narrazione, quanto nell’approccio fenomenologico della regia che, come in molte opere di questo tipo, affronta la degenerazione sociale e i fenomeni criminali alla stregua di fatti quasi naturali, eventi che non hanno né origine né spiegazione. Ripetuto, ancora una volta, che non è al cinema che si devono chiedere ricette politiche, rimane la necessità, qui non soddisfatta, di dare un significato ai fatti raccontati indagandone, ovviamente artisticamente, cause e ragioni. Non percorrendo questa strada si rischia di limitare il discorso alla pura fenomenologia privando personaggi e fatti di qualsiasi radice storica o politica che sia.